Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26941 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26941 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 09/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a TORINO il 15/11/1968
avverso la sentenza del 23/10/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale la Corte territoriale ha confermato la sentenza del Tribunale di Torino del 23/03/2023 d condanna per il reato di cui all’art. 8 del d.lgs. 74 del 2000 perché, nella qualità di titolare ditta individuale, al fine di consentire a terzi di evadere le imposte sui redditi e sul aggiunto, emetteva fatture riferite ad operazioni soggettivamente inesistenti.
Con un primo motivo, il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, nella parte relativa all’asserita falsità delle fatture 5/2015, 6/2015, 7/ 13/2015, 14/2015, che non ricorrerebbe posto che le prestazioni oggetto delle cinque fatture sono state eseguite dalla società RAGIONE_SOCIALE in ragione di un contratto di subvezione stipulato tra ditta di NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE di cui lo stesso COGNOME era amministratore.
Con un secondo motivo, il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione nella parte relativa alla sussistenza dell’elemento psicologico del d specifico contestato, non avendo la Corte di appello considerato che la posizione del rappresentante legale della società nei confronti della quale erano state emesse le fatture era stata archiviata. Nella sentenza di appello non vi sarebbe, peraltro, alcun riferimento al recupe dell’IVA nei confronti dell’imputato.
Con un terzo ed ultimo motivo, il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per aver Corte di appello ritenuto fondata la penale responsabilità del ricorrente nonostante l’assenza d prova dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato contestato.
Il ricorso è basato su motivi che non rientrano nel numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione de riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindaca in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha affermato che le cinque fatture emesse fossero soggettivamente false in quanto è emerso in modo inconfutabile che la ditta COGNOME non ha eseguito le attività di traspor che, al contrario, sono state eseguite dalla RAGIONE_SOCIALE, non rilevando la sussistenza di contratto di subvenzione intercorso tra il ricorrente e la RAGIONE_SOCIALE. Inoltre, la Corte ha eviden che né la società utilizzatrice delle fatture RAGIONE_SOCIALE né la RAGIONE_SOCIALE ch eseguito la prestazione erano iscritte al VIES, e pertanto, non potevano emettere fatture avvalendosi del regime di esenzione iva infra comunitaria.
Quando al secondo e al terzo motivo, si è affermato che, in tema di emissione di fatture per operazioni inesistenti, sussiste il dolo specifico richiesto per la configurabilità del deli caso in cui l’emittente, pur perseguendo un proprio interesse, agisce nella consapevolezza che il destinatario intende utilizzare la fattura a fini di evasione fiscale (Sez 42819 del 01/10/2024, Rv. 287093). Nel caso in disamina, conformemente al suddetto principio, la Corte territoriale ha ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del reato, richiamando quan dichiarato dal medesimo ricorrente e da COGNOME COGNOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE società utilizzatrice delle fatture, il quale, nell’interrogatorio del 28/05/2
dichiarato che lo COGNOME era ben consapevole di emettere le fatture per operazioni inesistent al fine di consentire alla G.F. Trasporti di evadere le imposte, pur di non perdere il cliente.
Rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 09/05/2025
Il Presidente