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Elezione domicilio appello: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10053/2025, ha dichiarato inammissibile un ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello. Il motivo risiede nella mancata allegazione della dichiarazione di elezione di domicilio appello, un requisito formale richiesto dalla legge in vigore al momento della presentazione del gravame. La Corte ha applicato il principio ‘tempus regit actum’, ritenendo irrilevante la successiva abrogazione della norma e respingendo le giustificazioni del ricorrente come non provate.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Elezione di Domicilio Appello: la Cassazione ribadisce il Principio ‘Tempus Regit Actum’

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 10053/2025, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale della procedura penale: i requisiti di ammissibilità dell’atto di appello. In particolare, la decisione si concentra sull’obbligo di allegare la dichiarazione o elezione di domicilio appello, come previsto dalla normativa vigente al momento del deposito del gravame, sottolineando l’irrilevanza di una successiva abrogazione della norma. Questa sentenza offre un importante chiarimento sul principio ‘tempus regit actum’ e sulla rigorosità delle forme processuali.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da una sentenza del Tribunale di Brindisi in materia di disciplina dei rifiuti. La parte soccombente presentava appello presso la Corte di Appello di Lecce. Tuttavia, la Corte territoriale dichiarava l’inammissibilità del gravame. La ragione era puramente procedurale: l’atto di appello mancava della prescritta dichiarazione o elezione di domicilio della parte privata, un requisito introdotto dalla riforma Cartabia (d.lgs. n. 150/2022) e previsto, a pena di inammissibilità, dall’art. 581, comma 1-ter, del codice di procedura penale, all’epoca in vigore.

Contro tale ordinanza, l’imputato proponeva ricorso per cassazione, affidandosi a due principali motivi di doglianza.

I Motivi del Ricorso per Cassazione

Il ricorrente sosteneva, in primo luogo, di essere incorso in un errore non a lui imputabile. Affermava di aver inizialmente depositato telematicamente l’atto di appello completo di tutti gli allegati, inclusa la nomina del difensore. A suo dire, un disservizio del sistema telematico del Tribunale lo avrebbe costretto, su indicazione della stessa cancelleria, a inviare nuovamente l’atto tramite posta elettronica certificata, ma senza allegati. Sarebbe stato quindi un errore della cancelleria a inoltrare alla Corte d’Appello un atto di gravame incompleto.

In secondo luogo, il ricorrente argomentava che la norma non dovesse essere interpretata in senso eccessivamente formalistico, dato che la sua residenza era già nota e non era mutata rispetto al primo grado di giudizio. Contestava quindi la necessità di una nuova ed esplicita elezione di domicilio successiva alla sentenza di primo grado.

Le motivazioni della Cassazione sulla elezione di domicilio appello

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, rigettando entrambe le argomentazioni difensive. Anzitutto, ha qualificato la ricostruzione del presunto disservizio telematico come un mero flatus vocis, ovvero un’affermazione priva di qualsiasi supporto probatorio. La difesa, infatti, non ha fornito alcuna prova a sostegno della sua tesi.

Inoltre, la Corte ha sottolineato una distinzione fondamentale: l’atto di nomina del difensore fiduciario è ‘ontologicamente diverso’ dalla dichiarazione o elezione di domicilio appello. Quest’ultima è un atto specifico richiesto dalla legge per scopi di notificazione, mentre la nomina del legale attiene al mandato difensivo. Confondere i due documenti è un errore che non può giustificare la violazione di un requisito di ammissibilità.

Il punto centrale della decisione, tuttavia, risiede nell’applicazione del principio tempus regit actum. La Corte ha chiarito che la disciplina applicabile alla validità di un atto processuale è quella in vigore nel momento in cui l’atto viene compiuto. L’appello era stato depositato nel marzo 2024, quando l’art. 581, comma 1-ter, c.p.p. era pienamente efficace. La successiva abrogazione di tale comma, avvenuta con la legge n. 114 del 2024 (in vigore dal 25 agosto 2024), non ha alcuna incidenza sulla vicenda. La legge non ha effetto retroattivo e non può sanare un’inammissibilità già maturata. A conferma di ciò, la Corte ha richiamato un recente intervento delle Sezioni Unite Penali che ha ribadito proprio questo principio.

Le conclusioni

La sentenza in esame riafferma un caposaldo del diritto processuale: le forme e i termini sono posti a garanzia della certezza del diritto e del corretto svolgimento del processo. La decisione della Cassazione serve da monito sulla necessità di un’osservanza scrupolosa dei requisiti di ammissibilità delle impugnazioni. Anche se una norma viene successivamente modificata o abrogata, gli atti compiuti durante la sua vigenza restano disciplinati da essa. Pertanto, la mancata allegazione della elezione di domicilio appello, quando richiesta, determina un’inammissibilità insanabile del gravame, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Perché il ricorso in appello è stato dichiarato inammissibile in primo luogo?
Il ricorso in appello è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Appello perché l’atto introduttivo non era corredato dalla dichiarazione o elezione di domicilio dell’appellante. Questo era un requisito richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 581, comma 1-ter, del codice di procedura penale, in vigore al momento della presentazione dell’impugnazione.

La successiva abrogazione della norma che prevedeva l’obbligo di elezione di domicilio ha avuto qualche effetto sul caso?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che, in base al principio ‘tempus regit actum’, la validità di un atto processuale è regolata dalla legge in vigore al momento del suo compimento. Poiché l’appello è stato depositato quando la norma era in vigore, la sua successiva abrogazione non ha avuto alcun effetto retroattivo e non ha potuto sanare l’inammissibilità già verificatasi.

L’atto di nomina del proprio avvocato può sostituire la dichiarazione di elezione di domicilio?
No. La Corte ha chiarito che la nomina del difensore e la dichiarazione o elezione di domicilio sono due atti ‘ontologicamente diversi’ sia per contenuto che per finalità. La nomina del legale conferisce il mandato difensivo, mentre l’elezione di domicilio è un atto specifico finalizzato a garantire la corretta notificazione degli atti del procedimento alla parte. L’uno non può sostituire l’altra.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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