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Elezione di domicilio: requisito per misure alternative

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12085/2024, ha dichiarato inammissibile un ricorso riguardante la richiesta di misure alternative alla detenzione. Il motivo risiede nella mancanza di una formale dichiarazione o elezione di domicilio da parte del condannato. La Corte ha stabilito che tale requisito è un onere personale e non può essere desunto implicitamente da altri documenti, come un certificato di residenza, confermando la necessità di un atto esplicito per la validità dell’istanza. L’inammissibilità del ricorso ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Elezione di Domicilio: Un Requisito Formale Inderogabile per le Misure Alternative

Nel complesso mondo della procedura penale, la forma è spesso sostanza. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ce lo ricorda, sottolineando l’importanza cruciale della corretta elezione di domicilio per poter accedere a misure alternative alla detenzione. La mancanza di questo adempimento, apparentemente burocratico, può precludere l’esame nel merito di un’istanza, con conseguenze significative per il condannato. Analizziamo insieme la vicenda e le ragioni della decisione dei giudici.

Il Caso in Esame: Un’Istanza Incompleta

Un soggetto condannato presentava, tramite il proprio difensore, un’istanza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale e la semilibertà, misure che consentono di scontare la pena al di fuori del carcere. Il Tribunale di Sorveglianza, però, dichiarava la richiesta inammissibile. Il motivo? L’istanza non era corredata dalla necessaria dichiarazione o elezione di domicilio da parte del diretto interessato.

Contro questa decisione, il condannato proponeva ricorso per Cassazione. La sua difesa sosteneva che la volontà di modificare il domicilio eletto nel precedente procedimento penale fosse palese e desumibile da altri elementi, come l’intestazione dell’istanza stessa e la produzione di un certificato di residenza. Si trattava, secondo il ricorrente, di una manifestazione di volontà “tacita ed indiretta” che il giudice avrebbe dovuto considerare sufficiente.

Le Norme di Riferimento per l’Elezione di Domicilio

La questione ruota attorno all’interpretazione di norme precise del codice di procedura penale, in particolare l’art. 677, comma 2-bis. Questa disposizione stabilisce che, a pena di inammissibilità, l’istanza per ottenere una misura alternativa da parte di un condannato non detenuto deve essere accompagnata dalla dichiarazione o elezione di domicilio. Questo requisito formale è posto a garanzia del corretto svolgimento del procedimento, assicurando che le comunicazioni e le notifiche raggiungano effettivamente l’interessato.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. I giudici hanno ribadito un principio consolidato, già espresso dalle Sezioni Unite nel 2009: l’obbligo di dichiarare o eleggere domicilio è un onere personale del condannato e non può essere surrogato da atti equipollenti o da indicazioni indirette.

La Corte ha specificato che non è possibile “recuperare” l’informazione mancante da altri documenti processuali, anche se questi contengono indicazioni sulla residenza o sul domicilio dell’istante. La legge richiede un atto formale, specifico e personale. La produzione di un certificato di residenza o l’indicazione di un indirizzo nell’intestazione dell’atto redatto dal difensore non equivalgono alla dichiarazione personale richiesta dalla norma. L’assenza di tale specifica dichiarazione, effettuata personalmente dall’interessato, rende l’istanza irrimediabilmente viziata e quindi inammissibile.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione conferma che nel procedimento di sorveglianza gli adempimenti formali non sono semplici cavilli burocratici, ma requisiti essenziali posti a tutela del corretto contraddittorio e dei diritti di tutte le parti. L’elezione di domicilio è un atto fondamentale che garantisce la reperibilità del condannato e il regolare flusso delle comunicazioni giudiziarie.

La lezione pratica è chiara: chi intende presentare un’istanza per ottenere misure alternative deve prestare la massima attenzione a tutti i requisiti formali. È indispensabile che il condannato non detenuto alleghi all’istanza, anche se presentata dal difensore, una dichiarazione esplicita e personale con cui elegge il proprio domicilio. Affidarsi a indicazioni implicite o a documenti non specifici espone al rischio concreto di vedersi dichiarare inammissibile la richiesta, senza neppure una valutazione sul merito della stessa. L’inammissibilità del ricorso, inoltre, comporta la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, aggravando ulteriormente la posizione del ricorrente.

Perché l’istanza per le misure alternative è stata dichiarata inammissibile?
L’istanza è stata dichiarata inammissibile perché non era corredata dalla dichiarazione o elezione di domicilio effettuata personalmente dal condannato, un requisito previsto a pena di inammissibilità dalla legge.

Un certificato di residenza può sostituire la formale elezione di domicilio?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’obbligo di elezione di domicilio non può essere assolto attraverso indicazioni equipollenti desumibili da altri atti, come un certificato di residenza. È necessaria una dichiarazione specifica e personale dell’interessato.

Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, come in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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