Elezione di Domicilio: Un Requisito Formale Inderogabile per le Misure Alternative
Nel complesso mondo della procedura penale, la forma è spesso sostanza. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ce lo ricorda, sottolineando l’importanza cruciale della corretta elezione di domicilio per poter accedere a misure alternative alla detenzione. La mancanza di questo adempimento, apparentemente burocratico, può precludere l’esame nel merito di un’istanza, con conseguenze significative per il condannato. Analizziamo insieme la vicenda e le ragioni della decisione dei giudici.
Il Caso in Esame: Un’Istanza Incompleta
Un soggetto condannato presentava, tramite il proprio difensore, un’istanza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale e la semilibertà, misure che consentono di scontare la pena al di fuori del carcere. Il Tribunale di Sorveglianza, però, dichiarava la richiesta inammissibile. Il motivo? L’istanza non era corredata dalla necessaria dichiarazione o elezione di domicilio da parte del diretto interessato.
Contro questa decisione, il condannato proponeva ricorso per Cassazione. La sua difesa sosteneva che la volontà di modificare il domicilio eletto nel precedente procedimento penale fosse palese e desumibile da altri elementi, come l’intestazione dell’istanza stessa e la produzione di un certificato di residenza. Si trattava, secondo il ricorrente, di una manifestazione di volontà “tacita ed indiretta” che il giudice avrebbe dovuto considerare sufficiente.
Le Norme di Riferimento per l’Elezione di Domicilio
La questione ruota attorno all’interpretazione di norme precise del codice di procedura penale, in particolare l’art. 677, comma 2-bis. Questa disposizione stabilisce che, a pena di inammissibilità, l’istanza per ottenere una misura alternativa da parte di un condannato non detenuto deve essere accompagnata dalla dichiarazione o elezione di domicilio. Questo requisito formale è posto a garanzia del corretto svolgimento del procedimento, assicurando che le comunicazioni e le notifiche raggiungano effettivamente l’interessato.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. I giudici hanno ribadito un principio consolidato, già espresso dalle Sezioni Unite nel 2009: l’obbligo di dichiarare o eleggere domicilio è un onere personale del condannato e non può essere surrogato da atti equipollenti o da indicazioni indirette.
La Corte ha specificato che non è possibile “recuperare” l’informazione mancante da altri documenti processuali, anche se questi contengono indicazioni sulla residenza o sul domicilio dell’istante. La legge richiede un atto formale, specifico e personale. La produzione di un certificato di residenza o l’indicazione di un indirizzo nell’intestazione dell’atto redatto dal difensore non equivalgono alla dichiarazione personale richiesta dalla norma. L’assenza di tale specifica dichiarazione, effettuata personalmente dall’interessato, rende l’istanza irrimediabilmente viziata e quindi inammissibile.
Le Conclusioni
La decisione della Cassazione conferma che nel procedimento di sorveglianza gli adempimenti formali non sono semplici cavilli burocratici, ma requisiti essenziali posti a tutela del corretto contraddittorio e dei diritti di tutte le parti. L’elezione di domicilio è un atto fondamentale che garantisce la reperibilità del condannato e il regolare flusso delle comunicazioni giudiziarie.
La lezione pratica è chiara: chi intende presentare un’istanza per ottenere misure alternative deve prestare la massima attenzione a tutti i requisiti formali. È indispensabile che il condannato non detenuto alleghi all’istanza, anche se presentata dal difensore, una dichiarazione esplicita e personale con cui elegge il proprio domicilio. Affidarsi a indicazioni implicite o a documenti non specifici espone al rischio concreto di vedersi dichiarare inammissibile la richiesta, senza neppure una valutazione sul merito della stessa. L’inammissibilità del ricorso, inoltre, comporta la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, aggravando ulteriormente la posizione del ricorrente.
Perché l’istanza per le misure alternative è stata dichiarata inammissibile?
L’istanza è stata dichiarata inammissibile perché non era corredata dalla dichiarazione o elezione di domicilio effettuata personalmente dal condannato, un requisito previsto a pena di inammissibilità dalla legge.
Un certificato di residenza può sostituire la formale elezione di domicilio?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’obbligo di elezione di domicilio non può essere assolto attraverso indicazioni equipollenti desumibili da altri atti, come un certificato di residenza. È necessaria una dichiarazione specifica e personale dell’interessato.
Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, come in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12085 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12085 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 26/10/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Rilevato che con il provvedimento impugnato il Tribunale di sorveglianza di Torino ha dichiarato inammissibile ex art. 666, comma 2, cod. proc. pen. l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale e di semilibertà proposta ex art. 656, comma 5, cod. proc. pen. da NOME COGNOME a mezzo del difensore, atteso che la stessa non risultava corredata dalla dichiarazione o elezione di domicilio;
Rilevato che con il ricorso per Cassazione l’interessato deduce, rispetto alla inammissibilità dell’affidamento in prova, la violazione degli artt. 161, comma 1, 178, lett. c, e 677, comma 2-bis, cod. proc. pen., osservando come risulti evidente dall’intestazione dell’istanza e dalla produzione del certificato di residenza, la volontà del condannato (“tacita ed indiretta”) di modificare il luogo di elezione di domicilio rispetto a quello del procedimento penale;
Considerato che la richiesta di misura alternativa, ai sensi dell’art. 656, comma sesto, cod. proc. pen., deve essere corredata, a pena di inammissibilità ex art. 677, comma 2-bis, cod. proc. pen., anche se presentata dal difensore, dalla dichiarazione o dalla elezione di domicilio effettuata dal condannato non detenuto e che tale obbligo non può essere assolto attraverso il “recupero” di indicazioni equipollenti pur desumibili dagli atti processuali (quali le mere indicazioni circa il domicilio o la residenza dell’istante) (v. Sez. U, n. 18775 del 17/12/2009, Mammoliti, Rv. 246720).
Rilevato, quindi, che il ricorso è manifestamente infondato, posto che dagli atti allegati, così come dalle stesse prospettazioni difensive, emerge l’assenza di una specifica dichiarazione di domicilio effettuata personalmente dall’interessato; Ritenuto che il ricorso è pertanto inammissibile;
Considerato che alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7/03/2024