Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26584 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26584 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a DOLO il 12/11/1971
avverso l’ordinanza del 17/10/2024 della Corte d’appello di Venezia
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Venezia ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza emessa il 30/04/2024 dal Tribunale di Venezia e con la quale la suddetta imputata era stata cond annata, per il reato previsto dall’art.186, comma 2, lett.c), d.lgs. 30 aprile 1992, n.285, alla pena di mesi nove di arresto ed € 3.000,00 di ammenda.
La Corte territoriale ha osservato che l’art. 581, comma 1 ter , cod.proc.pen. (applicabile a tutte le impugnazioni proposte in data successiva all’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n.150) prevedeva, a pena di inammissibilità dell’impugnazione medesima, il deposito contestuale dell’elezione di domicilio, i ncombente nel caso in esame non adempiuto; giungendo, quindi, alla conseguente dichiarazione di inammissibilità dell’appello.
Avverso la predetta ordinanza ha presentato ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando quattro motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto -ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. -l’erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art.581, commi 1 ter e 1 quater, cod.proc.pen..
Ha esposto che le suddette disposizioni erano state abrogate per effetto della l. 9 agosto 2024, n.114, con conseguente violazione del principio tempus regit actum, in base al quale dovevano intendersi immediatamente efficaci le norme innestantesi su processi ancora in corso; con la conseguenza che, alla data dell’ordinanza gravata (18/10/2024), la Corte territoriale avrebbe erroneamente applicato una norma non più in vigore.
Con il secondo motivo ha dedotto -ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. -la violazione dell’art.161 cod.proc.pen..
Ha dedotto che, nel corso del giudizio di primo grado, l’imputata aveva operato una valida elezione di domicilio presso il difensore di fiducia ai sensi del citato articolo, conservante quindi la propria validità per tutta la durata del processo in assenza di successivo mutamento.
Con il terzo motivo ha dedotto -ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. -la violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Ha dedotto che la declaratoria di inammissibilità derivante da una mera irregolarità formale era da ritenersi del tutto sproporzionata rispetto al principio di tutela effettiva del diritto di difesa sancito dalla Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Con il quarto motivo ha dedotto -ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. -l’errore derivante dal mancato esame e accoglimento dei motivi di appello e che venivano ivi ribaditi, con conseguente richiesta di dichiarare la prescrizione del re ato ovvero di assolvere l’imputata nel merito.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale -richiamando l’abrogazione dell’art.581 ter cod.proc.pen. intervenuta per effetto della l. 9 agosto 2024, n.114 ha concluso per l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata con trasmissione degli atti alla Corte di appello di Venezia.
Parte ricorrente ha depositato motivi aggiunti, nei quali ha dedotto l’ammissibilità dell’appello alla luce dell’arresto espresso dalle Sezioni Unite all’udienza del 24/10/2024 nonché depositato successiva memoria illustrativa, nella quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. In ordine al quadro normativo di riferimento, va premesso che l’art.581 ter cod.proc.pen. -ai sensi del quale «Con l’atto d’impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena d’inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio» – è stato inserito per effetto dell’art. 33, comma 1, lett.d), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n.150, applicabile (ai sensi della disciplina transitoria contenuta nell’art.89, comma 3) alle impugnazioni proposte dopo l’entrata in vigore dello stesso decreto.
Successivamente, per effetto dell’art.2, comma 1, lett.o), della l. 9 agosto 2024, n.114 (pubblicata nella G.U. n.187 del 10 agosto 2024), la disposizione suddetta è stata abrogata.
In assenza di disciplina transitoria e stante la natura processuale della predetta disposizione, ne consegue che si applica il principio in base al quale tempus regit actum, per effetto del quale l’applicazione della norma sopravvenuta alle fattispecie anteriori alla riforma non è regolata dal principio della necessaria retroattività della disposizione più favorevole (principio espresso da Sez. U, n. 44895 del 17/07/2014, Pinna, Rv. 260927; in senso conforme, Sez. 5, n. 35588 del 03/04/2017, P., Rv. 271207; Sez. 5, n. 13014 del 12/12/2023, Padovan, Rv. 286112); difatti, le Sezioni Unite di questa Corte, (Sez. U, n. 13808 del 24/10/2024, COGNOME, Rv. 287855), hanno espressamente dettato il principio per il quale ‘ La disciplina contenuta nell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., abrogata dalla legge 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto 2024, continua ad applicarsi alle impugnazioni proposte sino al 24 agosto 2024’.
Pertanto, attesa l’epoca di presentazione dell’appello (05/06/2024), si applica alla fattispecie in esame l’abrogato testo dell’art.581, comma 1 ter, cod.proc.pen., inserito dal d.lgs. n.150 del 2022 derivandone l’infondatezza della prospettazione difensiva operata nel secondo motivo di ricorso.
3. Anche il secondo motivo è inammissibile.
Difatti, risulta pacifico che -nel caso di specie -l’elezione di domicilio finalizzata alla presentazione dell’atto di impugnazione non sia stata depositata contestualmente all’appello, il quale neanche conteneva, nella relativa intestazione, il riferime nto alla precedente elezione di domicilio operata dalla ricorrente, presso il difensore, nella fase delle indagini preliminari.
Va quindi applicato altro e ulteriore principio dettato dalle Sezioni Unite nel predetto arresto, in base al quale ‘ La previsione ai sensi dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. deve essere interpretata nel senso che è sufficiente che l’impugnazione contenga il richiamo espresso e specifico ad una precedente dichiarazione o elezione di domicilio e alla sua collocazione nel fascicolo processuale, tale da consentire l’immediata e
inequivoca individuazione del luogo in cui eseguire la notificazione ‘ (tanto secondo l’orientamento già espresso, tra le altre, da Sez. 2, n. 16480 del 29/02/2024. COGNOME, Rv. 286269; Sez. 2, n. 23275 del 09/05/2024, Recchia, Rv. 286361).
Ne consegue che, in assenza di qualsiasi richiamo -nell’intestazione dell’atto alla precedente dichiarazione o elezione di domicilio e alla collocazione nel fascicolo processuale, il relativo motivo di doglianza (nonché il motivo aggiunto, allo stesso strettamente connesso) deve ritenersi inammissibile.
Derivandone, altresì, l’inammissibilità del terzo motivo teso a censurare la tenuta costituzionale della disposizione abrogata -atteso che le disposizioni predette non comportavano alcuna limitazione all’esercizio del potere di impugnazione spettante personalmente all’imputato, ma solo regolavano le modalità di esercizio della concorrente ed accessoria facoltà riconosciuta al suo difensore, sicché essi non collidevano né con il principio della inviolabilità del diritto di difesa, né con la presunzione di non colpevolezza operante fino alla definitività della condanna, né con il diritto ad impugnare le sentenze con il ricorso per cassazione per il vizio di violazione di legge (Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, COGNOME, Rv. 285324; Sez. 6, n. 3365 del 20/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285900).
Consegue l’inammissibilità del quarto motivo di ricorso, con il quale sono stati riproposti i motivi posti alla base dell’originario appello.
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», la ricorrente va condannata al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 6 giugno 2025