Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30562 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30562 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME a TORRE DEL GRECO DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 02/02/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti e letto il ricorso dell’AVV_NOTAIO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Vivace NOME ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avverso l’ordinanza del 2/02/2024, con la quale la Corte d’appello di Bologna ha dichiarato inammissibile l’appello presentato contro la sentenza del Tribunale di Bologna del 22/11/2023, per il mancato deposito della dichiarazione o elezione di domicilio, adempimento previsto a pena di inammissibilità dall’art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen., disposizione che è stata ritenuta applicabile al caso di specie, attesa la data di deposito della sentenza impugnata successiva al 31/12/2022.
Con un unico motivo censura la motivazione impugnata per violazione e inosservanza od erronea applicazione della legge penale e processuale, in relazione alla violazione degli artt. 420-bis, 581, commi ter e quater, cod. proc. pen., 591, comma 1, lett. c) e 592 cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 6 CEDU, 1, 24, 27, 111 e 117 Cost.
2.1. Il ricorrente si duole, anzitutto, dell’affermazione – che sostiene errata che la procura speciale allegata all’atto di appello depositato sarebbe “priva della sottoscrizione dell’imputato essendo nello stesso presente … la sola stampa di suo nome”, circostanza non corretta atteso che la procura era stata correttamente sottoscritta dall’imputato, sempre presente nel corso del giudizio di primo grado.
2.2. Lamenta, poi, l’applicabilità delle previsioni normative introdotte dalla riforma cd. Cartabia in ordine alla fase di impugnazione della sentenza di condanna da parte dell’imputato che sia stato dichiarato assente, nonché della disposizione che esige una dichiarazione e/o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio, atteso che l’imputato era presente nel giudizio di primo grado nel corso del quale aveva già eletto domicilio per l’intero procedimento a suo carico. Di tali disposizioni eccepisce, anche, in riferimento ai parametri in premessa indicati, l’illegittimità costituzionale.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituti procuratore generale NOME COGNOME, con requisitoria del 26/04/2024, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Per come puntualmente evidenziato nella requisitoria del Procuratore generale, alle cui conclusioni ed argomentazioni il Collegio intende riportarsi, dall’esame del fascicolo del giudizio d’appello risulta che all’impugnazione fu allegato un atto intitolato “Atto di nomina difensore fiduciario – Procura speciale” contenente anche l’elezione di domicilio in INDIRIZZO presso lo studio
del difensore AVV_NOTAIO datato 16/01/2024, effettivamente privo della sottoscrizione dell’imputato, il cui nome è riportato esclusivamente in caratteri di stampa (COGNOME NOME) in calce ai quali è riprodotta l’autentica sotto scritta con firma digitale del difensore.
Il ricorrente allega all’impugnazione un atto apparentemente coincidente che reca, sovrascritta al blocco firma, un’apparente sottoscrizione manoscritta che non si rileva però nell’atto versato nel fascicolo d’appello e non deduce alcuna circostanza idonea a giustificare la discrasia o ad asseverare che quello allegato fu l’atto trasmesso alla Corte con la PEC del 17.01.2024 che conteneva l’atto di impugnazione.
Tanto premesso in fatto, appare corretta la decisione della Corte territoriale che ha ritenuto insufficiente la mera indicazione nell’intestazione dell’atto di appello, sottoscritto dal solo difensore, dell’elezione di domicilio dell’imputato presso lo studio legale del difensore di fiducia, attesa la carenza di sottoscrizione dell’imputato.
La necessità che l’elezione di domicilio sia sottoscritta dalla parte interessata alla vocatio in iudicum, è volta ad assicurare la provenienza certa della dichiarazione dall’imputato ed è condizione perché non possa successivamente essere messa in discussione la validità ed efficacia della citazione e la consapevole scelta dell’imputato di avvalersi dell’impugnazione, obiettivi ai quali tende la previsione dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen.
Il ricorrente deduce l’esistenza di precedenti elezioni di domicilio formulate nel corso del procedimento che, oltre a non coincidere con quella indicata nell’intestazione dell’appello (posto che l’elezione avvenne presso lo studio del difensore), non appaiono soddisfare il requisito, correttamente ritenuto imprescindibile dalla Corte di merito, dell’attualità della dichiarazione.
A tale riguardo, dall’esame delle disposizioni di nuovo conio introdotte dalla riforma Cartabia in tema di notificazioni all’imputato, risulta che la dichiarazione/elezione di domicilio introdotta abbia durata circoscritta in ragione degli atti di vocatio in iudicium espressamente indicati dal legislatore (avviso di fissazione dell’udienza preliminare, citazione per il giudizio direttissimo, per i giudizio immediato, per l’udienza dibattimentale monocratica, per l’appello, decreto penale di condanna).
In tal senso si è pronunciata la giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 7020 del 16/01/2024, COGNOME, Rv. 285985 – 01; Sez. 6, n. 6264 del 10/01/2024, COGNOME, Rv. 285984 – 01).
In particolare, persuasivi argomenti testuali si traggono dalla lettura combinata degli artt. 161, comma 1, e 164 cod. proc. pen., come riformati appunto dal d.lgs. n. 150 del 2022: «La prima disposizione prevede espressamene che il
giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, nel primo atto compiuto con la presenza dell’indagato o dell’imputato, non detenuto né interNOME, lo invita a dichiarare o eleggere domicilio – fisico o digitale – «per le notificazioni» degli at di vocatio in iudicium sopra indicati. Coerentemente con tale disposizione, all’art. 164 cod. proc. pen. – la cui rubrica è stata significativamente sostituita con la locuzione “Efficacia della dichiarazione o dell’elezione di domicilio” – è stato elimiNOME il riferimento alla validità di tale atto «per ogni stato e grado d procedimento». La norma prevede, infatti, che, con la sola eccezione delle notificazioni all’imputato detenuto (da eseguire sempre, ai sensi dell’art. 156, comma 1, nel luogo di detenzione), la determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per la notificazione dei singoli atti di vocatio in iudicium sopra indicati».
La conferma dell’efficacia temporalmente limitata della dichiarazione o elezione di domicilio si ricava, altresì, anche dalla riformulazione delle disposizioni in tema di notifica: «(…) solo per la notificazione degli atti di vocatio in iudicium l’art. 157-ter cod. proc. pen. prevede che questa sia eseguita presso il domicilio dichiarato o eletto (anche digitale) o, in mancanza di questo, nei luoghi e con le modalità di cui all’art. 157, escludendo espressamente l’impiego della modalità telematica di cui all’art. 148, comma 1, cod. proc. pen.
Tale disposizione costituisce un logico corollario della disciplina del processo in assenza la cui celebrazione è consentita solo se vi è prova che l’imputato è a conoscenza della pendenza del processo. Potendo, infatti, le modalità della notificazione rilevare quali indici presuntivi della sussistenza della conoscenza della pendenza del processo, il legislatore ha accordato prevalenza, ai soli fini della notificazione degli atti di vocatio in iudicium, alla manifestazione di volontà dell’imputato, prevedendo solo in via subordinata, per il solo caso in cui manchi una dichiarazione o elezione di domicilio, il ricorso alle modalità ordinarie di esecuzione della prima notificazione all’imputato non detenuto. Per le medesime ragioni, è stato, al contempo, escluso il ricorso alla notificazione con modalità telematiche, evidentemente reputate inidonee, in assenza di una specifica dichiarazione di domicilio digitale dell’imputato (si veda, in tal senso, l’art. 161 comma 1, cod. proc. pen. che consente la sola dichiarazione – e non l’elezione – di un proprio indirizzo di posta elettronica certificata o di altro servizio elettronico recapito certificato qualificato), a costituire una adeguata base fattuale da porre a fondamento della presunzione di conoscenza della pendenza del processo.
Sulla base di tali disposizioni, deve, dunque, ritenersi che la validità della manifestazione di volontà dell’imputato cessa con l’esecuzione della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio presso il domicilio dichiarato o eletto. Da ta momento, infatti, al domicilio “volontario”, si sostituisce il domicilio ex lege presso
il difensore, rispetto al quale il legislatore ha elimiNOME ogni possibilità di derog correlata ad una eventuale diversa manifestazione di volontà dell’imputato (l’art. 157-ter non prevede, infatti, alcuna eccezione alla regola della notificazione di tutti gli atti successivi presso il difensore) o del difensore. A tale ultimo riguardo, va infatti, considerato che la riforma del 2022 ha abrogato il comma 8-bis dell’art. 157, che consentiva al difensore di fiducia di impedire la domiciliazione ex lege dell’imputato per le notificazioni successive alla prima.
In questo rigoroso quadro sistematico si colloca la disposizione dell’art. 581 comma 1-ter cod. proc. pen. che consacra per la notifica della citazione in appello la decisiva rilevanza del domicilio dichiarato o eletto dall’imputato in relazione a quella fase.
Neppure questo secondo orientamento, però, abilita il mancato deposito della dichiarazione o elezione di domicilio (sia pure rilasciata in precedenza) in calce o in allegato all’atto di impugnazione, posto che una tale interpretazione contrasterebbe con i dati testuali, senza trovare gli appigli sistematici che suffragano la diversa soluzione adottata per il diverso caso dell’appellante detenuto. Al riguardo, è sufficiente richiamare il passaggio motivazionale nel quale la sentenza sopra indicata sototlinea la necessità del deposito di un’elezione/dichiarazione di domicilio pregressa affermando che «L’interpretazione letterale dell’art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen. (…) induce a ritenere sufficiente depositare la dichiarazione o l’elezione di domicilio effettuata nel corso del procedimento, anche se in epoca precedente alla sentenza di primo
Trattandosi di imputato che ha presenziato al giudizio di primo grado, potrebbe al più discutersi della necessità legale che la dichiarazione o elezione di domicilio siano state rilasciate dopo il deposito del provvedimento impugNOME: necessità che è affermata dalla richiamata decisione Sez. 6, n. 7020 del 2024 («La dichiarazione o elezione di domicilio che, ai sensi dell’art. 581, comma 1-ter, c.p.p., va depositata, a pena di inammissibilità, unitamente al gravame delle parti private e dei difensori, dev’essere successiva alla pronuncia della sentenza impugnata, poiché, alla luce della nuova formulazione dell’art. 164 c.p.p., quella effettuata nel precedente grado non ha più durata illimitata») e che è, invece, superata da Sez. 2, n. 8014 del 2024, per la quale «Nel caso di imputato non processato “in absentia”, la dichiarazione o elezione di domicilio richiesta ai fini della notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello dall’art. 58 comma 1-ter, cod. proc. pen. va depositata nel corso del procedimento, non necessariamente successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, poiché la contraria interpretazione ostacola indebitamente l’accesso al giudizio di impugnazione, in violazione dei diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti» (Sez. 2, n. 8014 del 2024). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
grado e nella fase delle indagini preliminari. Né detta interpretazione svuoterebbe di contenuto l’onere a carico del difensore, che mantiene la sua concreta rilevanza ed incidenza, considerato che l’imputato presente potrebbe non avere prima della impugnazione dichiarato od eletto domicilio o potrebbe avere effettuato diverse dichiarazioni o elezioni di domicilio, nel qual caso sul difensore appellante grava l’onere di effettuare la verifica e depositare con l’impugnazione la dichiarazione o l’elezione di domicilio che la cancelleria utilizzerà per la citazione».
Pertanto, difettando nel caso in esame, per quanto evidenziato dal provvedimento impugNOME, la valida allegazione all’impugnazione di un atto di elezione di domicilio, correttamente è stata dichiarata l’inammissibilità del gravame proposto.
Infine, le deduzioni difensive intese a contestare la legittimità costituzionale dell’onere di deposito stabilito dalla norma in oggetto risultano, in parte, aspecifiche, in quanto volte a censurare l’asserita irragionevolezza della disposizione in tema di mandato specifico ad impugnare sancita dall’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., che non riguarda l’odierno procedimento, essendo stato il giudizio di primo grado celebrato in presenza dell’imputato e non, invece, in absentia.
Nella parte in cui, invece, censura la disposizione pertinente, il ricorso non sembra contenere elementi tali da giustificare il superamento dell’ormai consolidato orientamento della Corte di legittimità che ha reputato manifestamente infondate diverse questioni analoghe e con cui il ricorrente omette di confrontarsi.
Al riguardo, possono richiamarsi, tra gli altri, i precedenti per i quali «E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 e dell’art. 89 d.lgs. citato, per contrasto con gli artt. 3, 24, 27, 11 Cost. e art. 6 CEDU, nella parte in cui si richiede, a pena di inammissibilità dell’appello, che, anche nel caso di processo in assenza, siano depositati l’elezione di domicilio e lo specifico mandato, successivo al provvedimento da impugnare, trattandosi di disposizioni che costituiscono espressione di discrezionalità legislativa non manifestamente irragionevole, volte a caducare le impugnazioni non scaturite da una personale ponderazione della parte, da rinnovarsi “in limine impugnationis” ed essendo stati comunque previsti i correttivi dell’ampliamento del termine per impugnare e dell’estensione della restituzione nel termine» (Sez. 4, n. 43718 dell’11/10/2023, COGNOME, Rv. 285324 – 02; Sez. 6, n. 3365 del 20/12/2023, dep. 2024, Terrasi, Rv. 285900 – 01).
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile. Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 14 maggio 2024
Il Consigliere stensore
La Presidente