Elezione di Domicilio: Quando Non Basta a Provare la Conoscenza del Processo
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2167/2024, torna su un tema cruciale del diritto processuale penale: la validità della elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio ai fini della dichiarazione di assenza dell’imputato. Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale, già sancito dalle Sezioni Unite, a tutela del diritto di difesa: la formalità non può prevalere sulla sostanza. La semplice indicazione dello studio del legale come luogo per le notifiche non è, da sola, una prova sufficiente che l’imputato sia a conoscenza del procedimento a suo carico.
I Fatti del Caso
La vicenda processuale ha origine da una sentenza del Tribunale di Pisa. Successivamente, la Corte di Appello di Firenze, accogliendo un’istanza dell’imputata ai sensi dell’art. 625 ter c.p.p., revocava tale sentenza. La decisione della Corte territoriale si basava sulla constatazione che non vi era prova dell’effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputata, giudicata in assenza. Contro questa ordinanza di revoca, il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Firenze proponeva ricorso per cassazione, lamentando un’omessa motivazione. In particolare, il PG sosteneva che la Corte non avesse adeguatamente valutato la sussistenza di specifici rapporti tra l’imputata e il suo difensore d’ufficio, presso cui aveva eletto domicilio.
La Decisione della Cassazione sull’Elezione di Domicilio
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso del Procuratore Generale manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. Gli Ermellini hanno confermato la correttezza della decisione della Corte d’Appello, ritenendola perfettamente allineata ai principi espressi dalle Sezioni Unite della Cassazione. Il punto centrale è che la sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio non può essere considerata un presupposto idoneo e sufficiente per dichiarare l’assenza dell’indagato. È un indizio, ma non una prova certa.
Le Motivazioni
La Corte di Cassazione ha ampiamente argomentato la sua decisione, basandosi sul principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite (sent. n. 23948/2019). Secondo tale principio, per ritenere che l’imputato abbia avuto conoscenza del procedimento o si sia volontariamente sottratto ad esso, non basta un atto formale come l’elezione di domicilio. Il giudice ha il dovere di verificare, caso per caso, se si sia instaurato un rapporto professionale effettivo tra l’indagato e il legale domiciliatario. Questo rapporto deve essere tale da generare la certezza che l’imputato sia stato informato degli sviluppi processuali.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente rilevato che non erano stati verificati concreti rapporti tra l’imputata e il suo difensore d’ufficio. Di conseguenza, ha giustamente accolto l’istanza di revoca della sentenza. La Cassazione ha inoltre qualificato come ‘generico’ il ricorso del Procuratore Generale, poiché non specificava quali dati o elementi concreti la Corte territoriale avrebbe dovuto esaminare per accertare l’esistenza di tali rapporti. In assenza di prove di un contatto reale, la presunzione di conoscenza non può sussistere.
Le Conclusioni
Questa sentenza rafforza un importante baluardo a garanzia del diritto di difesa. Impone ai giudici un onere di verifica sostanziale, che va oltre la mera presa d’atto di adempimenti formali. La dichiarazione di assenza è un istituto delicato, che può avere conseguenze gravissime per l’imputato, e deve quindi poggiare su basi solide e inequivocabili. La decisione chiarisce che l’elezione di domicilio è solo un punto di partenza. Per poter procedere in assenza, il giudice deve acquisire elementi concreti che dimostrino, senza ombra di dubbio, un legame informativo reale e attivo tra l’avvocato e il suo assistito, tale da garantire che quest’ultimo sia stato messo nelle condizioni di partecipare consapevolmente al processo.
La sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio è sufficiente per dichiarare un imputato assente?
No, secondo la Corte di Cassazione, la sola elezione di domicilio non è un presupposto idoneo. Il giudice deve verificare l’esistenza di un effettivo rapporto professionale che garantisca la conoscenza del procedimento da parte dell’imputato.
Cosa deve verificare concretamente il giudice in questi casi?
Il giudice deve accertare se tra l’indagato e il difensore d’ufficio si sia instaurato un reale rapporto professionale, tale da fargli ritenere con certezza che l’imputato abbia avuto conoscenza del procedimento o si sia volontariamente sottratto ad esso.
Perché il ricorso del Procuratore Generale è stato dichiarato inammissibile?
È stato ritenuto inammissibile perché manifestamente infondato e generico. La Corte d’Appello aveva correttamente applicato il principio di diritto delle Sezioni Unite e il ricorso non specificava quali elementi concreti avrebbero dovuto essere valutati per dimostrare la sussistenza di un rapporto effettivo tra imputata e difensore.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 2167 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 2167 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI FIRENZE NOME nato il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 13/12/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Firenze, con ordinanza in data 13 dicembre 2022, in accoglimento dell’istanza avanzata nell’interesse di Durac Aurica ex art. 625 ter cod.proc.pen. revocava sentenza del 16 ottobre 2017 del Tribunale di Pisa.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il Procuratore Generale di Firenze deducendo con unico motivo qui riassunto ex art. 173 disp. att. cod.proc.pen. omessa motivazione quanto alla valutazione della sussistenza di specifici rapporti tra imputat difensore di ufficio mai verificati dalla corte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Ed invero, come ricordato anche dal parere del Procuratore Generale presso questa Corte di cassazione, la corte di appello appare avere fatto corretta applicazione del principio stabilito Sezioni Unite e secondo cui ai fini della dichiarazione di assenza non può considerarsi presuppost idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, da parte dell’indagato, do il giudice, in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l
instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da ritenere con certezza che quest’ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla stessa (Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020 Rv. 279420 – 01). E nel caso in esame, non essendo stati verificati rapporti tra imputata e difensor ufficio, correttamente il giudice di appello accoglieva l’istanza ex art. 625 ter cod.proc mentre, del tutto generico appare il ricorso nella parte in cui non prospetta a quali dati spe avrebbe dovuto riferirsi il giudice per valutare la sussistenza di tali rapporti.
In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 comma terzo cod.proc.pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Roma, 21 novembre 2023
CONSIGLIERE EST.
IL PRESIDENTE
NOME COGNOME