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Elezione di domicilio: non basta per l’assenza

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore Generale contro la revoca di una sentenza. La Corte ha confermato che la sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio non è sufficiente a considerare l’imputato a conoscenza del procedimento. È necessario che il giudice verifichi l’esistenza di un effettivo rapporto professionale tra l’imputato e il legale, un accertamento che la Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto mancante.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Elezione di Domicilio: Quando Non Basta a Provare la Conoscenza del Processo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2167/2024, torna su un tema cruciale del diritto processuale penale: la validità della elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio ai fini della dichiarazione di assenza dell’imputato. Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale, già sancito dalle Sezioni Unite, a tutela del diritto di difesa: la formalità non può prevalere sulla sostanza. La semplice indicazione dello studio del legale come luogo per le notifiche non è, da sola, una prova sufficiente che l’imputato sia a conoscenza del procedimento a suo carico.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una sentenza del Tribunale di Pisa. Successivamente, la Corte di Appello di Firenze, accogliendo un’istanza dell’imputata ai sensi dell’art. 625 ter c.p.p., revocava tale sentenza. La decisione della Corte territoriale si basava sulla constatazione che non vi era prova dell’effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputata, giudicata in assenza. Contro questa ordinanza di revoca, il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Firenze proponeva ricorso per cassazione, lamentando un’omessa motivazione. In particolare, il PG sosteneva che la Corte non avesse adeguatamente valutato la sussistenza di specifici rapporti tra l’imputata e il suo difensore d’ufficio, presso cui aveva eletto domicilio.

La Decisione della Cassazione sull’Elezione di Domicilio

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso del Procuratore Generale manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. Gli Ermellini hanno confermato la correttezza della decisione della Corte d’Appello, ritenendola perfettamente allineata ai principi espressi dalle Sezioni Unite della Cassazione. Il punto centrale è che la sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio non può essere considerata un presupposto idoneo e sufficiente per dichiarare l’assenza dell’indagato. È un indizio, ma non una prova certa.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha ampiamente argomentato la sua decisione, basandosi sul principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite (sent. n. 23948/2019). Secondo tale principio, per ritenere che l’imputato abbia avuto conoscenza del procedimento o si sia volontariamente sottratto ad esso, non basta un atto formale come l’elezione di domicilio. Il giudice ha il dovere di verificare, caso per caso, se si sia instaurato un rapporto professionale effettivo tra l’indagato e il legale domiciliatario. Questo rapporto deve essere tale da generare la certezza che l’imputato sia stato informato degli sviluppi processuali.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente rilevato che non erano stati verificati concreti rapporti tra l’imputata e il suo difensore d’ufficio. Di conseguenza, ha giustamente accolto l’istanza di revoca della sentenza. La Cassazione ha inoltre qualificato come ‘generico’ il ricorso del Procuratore Generale, poiché non specificava quali dati o elementi concreti la Corte territoriale avrebbe dovuto esaminare per accertare l’esistenza di tali rapporti. In assenza di prove di un contatto reale, la presunzione di conoscenza non può sussistere.

Le Conclusioni

Questa sentenza rafforza un importante baluardo a garanzia del diritto di difesa. Impone ai giudici un onere di verifica sostanziale, che va oltre la mera presa d’atto di adempimenti formali. La dichiarazione di assenza è un istituto delicato, che può avere conseguenze gravissime per l’imputato, e deve quindi poggiare su basi solide e inequivocabili. La decisione chiarisce che l’elezione di domicilio è solo un punto di partenza. Per poter procedere in assenza, il giudice deve acquisire elementi concreti che dimostrino, senza ombra di dubbio, un legame informativo reale e attivo tra l’avvocato e il suo assistito, tale da garantire che quest’ultimo sia stato messo nelle condizioni di partecipare consapevolmente al processo.

La sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio è sufficiente per dichiarare un imputato assente?
No, secondo la Corte di Cassazione, la sola elezione di domicilio non è un presupposto idoneo. Il giudice deve verificare l’esistenza di un effettivo rapporto professionale che garantisca la conoscenza del procedimento da parte dell’imputato.

Cosa deve verificare concretamente il giudice in questi casi?
Il giudice deve accertare se tra l’indagato e il difensore d’ufficio si sia instaurato un reale rapporto professionale, tale da fargli ritenere con certezza che l’imputato abbia avuto conoscenza del procedimento o si sia volontariamente sottratto ad esso.

Perché il ricorso del Procuratore Generale è stato dichiarato inammissibile?
È stato ritenuto inammissibile perché manifestamente infondato e generico. La Corte d’Appello aveva correttamente applicato il principio di diritto delle Sezioni Unite e il ricorso non specificava quali elementi concreti avrebbero dovuto essere valutati per dimostrare la sussistenza di un rapporto effettivo tra imputata e difensore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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