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Elezione di domicilio: la Cassazione e il tempus regit actum

Un individuo condannato per evasione si è visto dichiarare inammissibile l’appello per mancata elezione di domicilio, requisito introdotto dalla Riforma Cartabia. In Cassazione, sosteneva che una precedente elezione fosse sufficiente. La Suprema Corte ha respinto il ricorso, affermando che, in base al principio tempus regit actum, si applica la legge in vigore al momento del deposito dell’impugnazione, che in quel caso richiedeva una specifica dichiarazione o elezione di domicilio a pena di inammissibilità.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Elezione di Domicilio: L’Importanza del Momento in Cui si Presenta l’Appello

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di impugnazioni penali: la legge da applicare per i requisiti di ammissibilità è quella in vigore al momento del deposito dell’atto, non al momento della decisione. Il caso in esame riguarda l’obbligo di elezione di domicilio nell’atto di appello, un requisito introdotto dalla Riforma Cartabia e successivamente abrogato. La decisione chiarisce l’applicazione del principio tempus regit actum, offrendo importanti spunti per la pratica legale.

I Fatti del Caso: Dall’Evasione all’Appello Inammissibile

La vicenda processuale ha origine dalla condanna in primo grado di un individuo per il reato di evasione, previsto dall’art. 385 del codice penale. L’imputato, tramite il suo difensore, presentava appello avverso la sentenza di condanna.

Tuttavia, la Corte d’appello di Roma dichiarava l’impugnazione inammissibile. La ragione? La mancata elezione di domicilio o dichiarazione di domicilio nell’atto di appello. Secondo la Corte territoriale, tale adempimento era richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 581, comma 1-ter, del codice di procedura penale, nella versione all’epoca vigente.

Il Ricorso in Cassazione e l’elezione di domicilio

Contro l’ordinanza della Corte d’appello, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge. La tesi difensiva sosteneva che la Corte d’appello avrebbe dovuto considerare sufficiente l’elezione di domicilio effettuata personalmente dall’imputato durante l’udienza conclusiva del processo di primo grado. Secondo il ricorrente, tale elezione, ai sensi dell’art. 164 c.p.p., avrebbe dovuto mantenere la sua efficacia anche per le notifiche relative al giudizio di appello, rendendo superfluo un nuovo adempimento formale.

La questione del ‘Tempus Regit Actum’

Il cuore della questione giuridica ruotava attorno a quale disciplina dovesse applicarsi. L’art. 581, comma 1-ter, c.p.p., che imponeva la dichiarazione o elezione di domicilio a pena di inammissibilità, era stato introdotto dalla c.d. Riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022) ma successivamente abrogato con una legge dell’agosto 2024. Il ricorso era stato presentato quando la norma era in vigore, ma la decisione della Cassazione avveniva dopo la sua abrogazione. Quale legge doveva prevalere?

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, confermando la decisione della Corte d’appello. I giudici di legittimità hanno richiamato un’importante pronuncia delle Sezioni Unite (n. 13808/2024), la quale aveva già risolto la questione della successione delle leggi nel tempo in questa specifica materia.

Il principio cardine applicato è quello del tempus regit actum (‘il tempo regola l’atto’). La Cassazione ha chiarito che, ai fini della verifica dei requisiti di ammissibilità di un’impugnazione, si deve fare riferimento esclusivamente alla legge in vigore nel momento in cui l’atto di impugnazione viene presentato, e non a quella vigente al momento della pronuncia impugnata o della decisione sull’impugnazione stessa.

Poiché l’appello era stato depositato in un periodo in cui l’art. 581, comma 1-ter, c.p.p. era in vigore, la mancata dichiarazione o elezione di domicilio nell’atto stesso ne determinava inevitabilmente l’inammissibilità. La precedente elezione di domicilio effettuata in primo grado non era sufficiente a sanare questa mancanza formale, poiché la norma richiedeva un adempimento specifico proprio nell’atto di impugnazione.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un’importante lezione sulla rigorosità delle forme processuali e sull’applicazione del principio tempus regit actum. Anche se una norma viene successivamente abrogata, i suoi effetti si consolidano sugli atti compiuti durante la sua vigenza. Per i professionisti legali, ciò si traduce nella necessità di prestare la massima attenzione alla normativa in vigore al momento preciso del deposito di ogni atto processuale, in particolare delle impugnazioni, per non incorrere in sanzioni di inammissibilità che possono precludere la tutela dei diritti del proprio assistito.

Una dichiarazione di domicilio fatta durante il processo di primo grado è valida anche per l’atto di appello?
No. Secondo la sentenza, basata sulla normativa applicabile ai fatti (ratione temporis), l’atto di appello doveva contenere una specifica dichiarazione o elezione di domicilio, oppure un richiamo a una precedente elezione con indicazione della sua collocazione nel fascicolo. Una generica elezione fatta in primo grado non era sufficiente.

Quale legge si applica per i requisiti di ammissibilità di un’impugnazione?
Si applica la legge in vigore al momento della presentazione dell’atto di impugnazione. Questo è il principio del tempus regit actum, come ribadito dalla Corte di Cassazione. Non rileva la legge in vigore al momento della pronuncia del provvedimento impugnato né quella vigente al momento della decisione sull’appello.

Cosa succede se l’atto di appello non contiene la dichiarazione o elezione di domicilio richiesta dalla legge (nella vigenza dell’art. 581, comma 1-ter c.p.p.)?
L’appello viene dichiarato inammissibile. Ciò significa che la Corte d’appello non esamina il merito della questione e la condanna di primo grado può diventare definitiva, come accaduto nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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