Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9404 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9404 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TARTAGLIA COGNOME
NOME nata a POMARICO il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 20/10/2023 della CORTE DI APPELLO DI MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto la inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza depositata il 20 ottobre 2023 la Corte di appello di Milano dichiarava inammissibile l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza di condanna per il reato di truffa aggravata, emessa il 10 marzo 2023 dal Tribunale di Busto Arsizio, in quanto con l’atto d’impugnazione non era stata depositata la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di appello, in violazione de
disposto dell’art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen., la cui inosservanza comportava l’inammissibilità dell’appello, come previsto dall’art. 591, comma 1, lett. c), del codice di rito.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, chiedendone l’annullamento in ragione di due motivi.
2.1. Violazione di legge (erronea applicazione degli artt. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., 111 Cost. e 6 CEDU), contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
L’imputata in primo grado aveva eletto domicilio presso il difensore di fiducia, la cui nomina era stata espressamente confermata nell’atto di appello, pur non essendovi una espressa nuova elezione di domicilio.
Era chiara, dunque, l’intenzione della ricorrente di eleggere domicilio presso il medesimo difensore e una diversa interpretazione sarebbe in contrasto con il principio del giusto processo e con il diritto di difesa.
2.2. Violazione di legge (erronea applicazione degli artt. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., e 6 CEDU), contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
L’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen, contrasta con gli artt. 161 e 162, comma 4, dello stesso codice, norme che sono state abrogate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi manifestamente infondati.
L’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. stabilisce che «Con l’atto d’impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena d’inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio».
L’inammissibilità dell’impugnazione, COGNOME in caso di COGNOME inosservanza NOME delle disposizioni di cui all’art. 581 cod. proc. pen. è prevista anche dall’art. 591, comma 1, lett. c), del codice di rito.
Il novellato art. 157-ter, comma 3, cod. proc. pen., riguardante le notifiche degli atti introduttivi del giudizio all’imputato non detenuto, prevede che «In caso di impugnazione proposta dall’imputato o nel suo interesse, la notificazione dell’atto di citazione a giudizio nei suoi confronti è eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell’articolo 581, commi 1 ter e 1 quater».
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L’interpretazione propugnata dalla ricorrente contrasta con il chiaro disposto delle norme ora richiamate e con la loro ratio: la necessità che l’appellante provveda chiaramente a dichiarare o eleggere domicilio per la nuova fase processuale («…ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio») risponde alla finalità di agevolare l’attività di notificazione e persegue anche lo scopo di responsabilizzare l’imputato e di assicurare la sua consapevolezza circa la scelta di proporre appello, enfatizzato nel comma successivo con la previsione del conferimento di un nuovo mandato da parte dell’imputato nei confronti del quale si sia proceduto in assenza.
Inoltre, anche di recente, richiamando la pronuncia delle Sezioni Unite sul significato della dichiarazione o elezione di domicilio (Sez. U, n. 41280 del 17/10/2006, Rv. 234905), questa Corte ha ribadito che «l’aver semplicemente indicato in un atto processuale la propria residenza e il proprio domicilio non può costituire valida dichiarazione di domicilio, proprio perché manca la manifestazione di un consapevole atto di volontà volto ad effettuare una scelta tra i luoghi indicati nell’art. 157 c.p.p.» (Sez. 2, n. 18469 del 01/03/2022, Luongo, Rv. 283180-01).
Non si può poi con fondamento porre alcuna questione di legittimità costituzionale della nuova norma, come già ritenuto da questa Corte in numerose pronunce.
Si è ricordato, in primo luogo, che nella sentenza n. 34 del 26 febbraio 2020 la Corte costituzionale ha «ribadito che la garanzia del doppio grado di giurisdizione non fruisce, di per sé, di riconoscimento costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 274 e n. 242 del 2009, n. 298 del 2008, n. 26 del 2007, n. 288 del 1997, n. 280 del 1995; ordinanze n. 316 del 2002 e n. 421 del 2001)» e si è affermato che «le norme tacciate d’incostituzionalità non prevedono affatto un restringimento della facoltà di impugnazione, bensì perseguono il legittimo scopo di far sì che le impugnazioni vengano celebrate solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell’imputato, per evitare la pendenza di regiudicande nei confronti di imputati non consapevoli del processo, oltre che far sì che l’impugnazione sia espressione del personale interesse dell’imputato medesimo e non si traduca invece in una sorta di automatismo difensivo» (Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, COGNOME, Rv. 285324-01).
L’onere richiesto all’appellante non è irragionevole o ingiustificato rispetto all’esigenza di consentirgli la certa conoscenza della celebrazione del processo di appello e, dunque, la possibilità di parteciparvi con piena consapevolezza. Si è rimarcato che «la scelta del legislatore di modulare la durata di efficacia della
OR
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prima elezione o dichiarazione di domicilio, chiedendo di rinnovarla a chi la abbia già compiuta, attualizzandola, consegue ad una saggia e razionale presa d’atto dell’esperienza giudiziaria, in attuazione del cd. principio di realtà, che vede anche accrescersi l’esercizio del diritto alla mobilità del cittadino, il che implica l necessità di un aggiornamento quanto al domicilio eletto o dichiarato. Pertanto, non è assolutamente irragionevole richiedere un nuovo atto di volontà (elezione) o di scienza (dichiarazione) avente comunque valore processual-negoziale (cfr. Sez. 6, n. 26631 del 12/05/2016, Andronache, Rv. 267433-01; Sez. 6, n. 4921 del 09/12/2003, Fiilocamo, Rv. 228319) a ridosso del nuovo grado di giudizio, quindi maggiormente in grado, per “prossimità” al giudizio di impugnazione, di garantire l’effettività della conoscenza della citazione per il giudizio medesimo»; pertanto, «quello richiesto all’impugnante è un onere di diligenza, di natura collaborativa, che ben si giustifica a fronte della complessità dei giudizi di impugnazione e della necessità della giusta – per la corretta e certa istaurazione del contraddittorio – e celere definizione degli stessi, nello stesso interesse dell’impugnante» (così Sez. 5, n. 46831 del 22/09/2023, COGNOME, non mass.).
È stata altresì rimarcata la conformità alla Costituzione e alla Convenzione EDU della vigente disciplina processuale penale, anche in casi di limitazioni ben più gravi di quella posta dall’art. 581, comma 1-ter, come nella parte in cui non consente la difesa personale o in cui non permette la proposizione personalmente, da parte dell’imputato, del ricorso per cassazione; è ragionevole, quindi, lo «scopo perseguito dal Legislatore, ossia la proposizione di impugnazioni consapevoli da parte dell’imputato senza che dai più stringenti requisiti posti dalla stessa norma a pena di inammissibilità derivi un pregiudizio per lo stesso imputato» (Sez. 5, n. 39166 del 04/07/2023, N., Rv. 285305).
Il Collegio condivide le argomentazioni e i princìpi ora richiamati, recepiti dalla costante giurisprudenza di legittimità (cfr., fra le tante pronunce non massimate, Sez. 4, n. 37 del 14/12/2023, dep. 2024, COGNOME; Sez. 6, n. 2323 del 07/12/2023, dep. 2024, COGNOME; Sez. 6, n. 233 del 07/11/2023, dep. 2024, COGNOME; Sez. 3, n. 50322 del 30/11/2023, COGNOME; Sez. 4, n. 44630 del 10/10/2023, COGNOME; Sez. 5, n. 41763 del 12/07/2023, COGNOME).
All’inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa de ammende.
Così deciso il 01/02/2024.