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Elezione di domicilio: consenso del difensore essenziale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28903/2025, ha stabilito che l’elezione di domicilio presso lo studio di un difensore d’ufficio è inefficace senza il suo esplicito consenso. Una notifica dell’avviso di conclusione delle indagini effettuata in assenza di tale assenso è nulla. La Corte ha rigettato il ricorso del Pubblico Ministero, che riteneva abnorme la decisione del Tribunale di restituire gli atti, confermando che il consenso del legale è una condizione imprescindibile per la validità della domiciliazione.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Elezione di Domicilio: Perché il Consenso del Difensore d’Ufficio è Cruciale

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 28903/2025) ha riaffermato un principio fondamentale nella procedura penale: l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio richiede il suo consenso esplicito per essere valida. Questa decisione sottolinea l’importanza del rispetto delle forme procedurali a garanzia del diritto di difesa dell’indagato e chiarisce i confini entro cui le notifiche degli atti giudiziari possono ritenersi correttamente eseguite. Analizziamo insieme i dettagli di questo importante caso.

I Fatti del Caso

Il procedimento ha origine da una decisione del Tribunale di Torino che, in fase predibattimentale, aveva disposto la restituzione degli atti al Pubblico Ministero. Il motivo? L’irregolarità della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari (atto previsto dall’art. 415 bis del codice di procedura penale) a un’indagata.

La notifica era stata effettuata presso lo studio del difensore d’ufficio. Tuttavia, il legale non era mai stato interpellato per accettare l’elezione di domicilio presso il suo studio da parte dell’indagata. Il Tribunale ha quindi ritenuto la notifica invalida, bloccando di fatto il progresso del processo verso la fase dibattimentale.

Il Ricorso del Pubblico Ministero e la questione dell’elezione di domicilio

Contro questa ordinanza, il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che il provvedimento del Tribunale fosse ‘abnorme’. Secondo il ricorrente, la decisione di restituire gli atti avrebbe causato un’indebita regressione del procedimento e una situazione di stasi, costringendo l’ufficio della procura a ripetere una notifica che, a suo avviso, era stata eseguita regolarmente secondo le norme. Il P.M. riteneva che, una volta eletto il domicilio, la notifica presso il difensore fosse corretta, indipendentemente da un’accettazione formale.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, giudicandolo infondato e confermando la correttezza della decisione del Tribunale di Torino. I giudici hanno chiarito in modo inequivocabile l’interpretazione dell’art. 162, comma 4-bis, del codice di procedura penale, modificato dalla recente Riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022).

La norma stabilisce che: “L’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio non ha effetto se l’autorità che procede non riceve, unitamente alla dichiarazione di elezione, l’assenso del difensore domiciliatario.”

La Corte ha spiegato che l’espresso assenso del difensore non è una mera formalità, ma una vera e propria condizione di efficacia dell’elezione stessa. In sua assenza, la dichiarazione dell’indagato è priva di qualsiasi effetto giuridico. Di conseguenza, la notifica eseguita presso lo studio del legale d’ufficio che non ha prestato il suo consenso deve considerarsi effettuata in un luogo non valido. Tale notifica è, pertanto, affetta da nullità assoluta perché radicalmente inidonea ad assicurare la reale ed effettiva conoscenza del processo all’imputato.

La Cassazione ha inoltre precisato che non è possibile applicare altre forme di notifica, come quelle previste per gli atti successivi al primo, poiché la procedura in esame riguardava proprio uno degli atti fondamentali per l’esercizio del diritto di difesa, successivo solo all’identificazione dell’indagato.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio di garanzia fondamentale: il diritto alla difesa non può essere pregiudicato da procedure di notifica che non assicurino la piena conoscenza degli atti all’interessato. L’elezione di domicilio è uno strumento cruciale in questo contesto, ma la sua validità è subordinata a requisiti precisi. Quando la domiciliazione avviene presso il difensore d’ufficio, il suo consenso attivo diventa un elemento imprescindibile. La decisione del giudice di merito di restituire gli atti al P.M. per sanare tale vizio non è, quindi, un provvedimento abnorme, ma un atto dovuto per ripristinare la correttezza del procedimento e tutelare i diritti dell’imputato.

È valida l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio senza il suo consenso?
No, la sentenza chiarisce che l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio non ha effetto se l’autorità giudiziaria non riceve, insieme alla dichiarazione dell’indagato, anche l’assenso esplicito del difensore stesso, come previsto dall’art. 162, comma 4-bis, c.p.p.

Cosa succede se la notifica dell’avviso di conclusione indagini viene effettuata a un difensore d’ufficio che non ha accettato la domiciliazione?
La notifica è considerata irregolare e affetta da nullità assoluta. Di conseguenza, il giudice può disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero affinché provveda a una nuova e corretta notifica all’indagato.

La decisione del giudice di restituire gli atti al P.M. per irregolarità della notifica è un provvedimento ‘abnorme’?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che tale decisione è corretta e non costituisce un’anomalia procedurale (abnormità). Si tratta di un atto necessario per ripristinare la regolarità del procedimento e garantire il pieno esercizio del diritto di difesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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