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Elezione di domicilio appello: obbligo anche per il detenuto

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato detenuto. L’appello era stato respinto per mancata elezione di domicilio, un obbligo imposto dalla Riforma Cartabia che, secondo la Corte, vale anche per chi si trova in carcere per altra causa.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Elezione di Domicilio in Appello: Un Obbligo Inderogabile Anche per l’Imputato Detenuto

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito il rigore formale introdotto dalla Riforma Cartabia in materia di impugnazioni. Al centro della questione vi è l’obbligo di elezione di domicilio in appello, un adempimento che, come chiarito dai giudici, non ammette deroghe, neppure per l’imputato che si trovi già in stato di detenzione per altra causa. La decisione sottolinea come il mancato rispetto di questa prescrizione conduca inesorabilmente a una declaratoria di inammissibilità dell’atto.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un imputato, a seguito di giudizio abbreviato, alla pena di otto mesi di reclusione per un reato previsto dalla legge sugli stupefacenti. L’imputato, tramite il suo difensore, proponeva appello avverso tale sentenza. Tuttavia, la Corte di Appello competente dichiarava l’impugnazione inammissibile. La ragione era puramente formale: con l’atto di appello non era stata depositata la dichiarazione o elezione di domicilio dell’imputato, come invece richiesto, a pena di inammissibilità, dall’art. 581, comma 1-ter, del codice di procedura penale.

Il Ricorso in Cassazione e la Posizione della Difesa

Contro l’ordinanza della Corte di Appello, la difesa proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che l’obbligo di elezione di domicilio dovesse considerarsi già assolto. L’imputato, infatti, si trovava in stato di detenzione e aveva già effettuato un’elezione di domicilio durante l’udienza di convalida dell’arresto. Secondo la tesi difensiva, tale precedente dichiarazione avrebbe dovuto essere ritenuta valida e sufficiente anche per la fase di appello, specialmente considerando lo stato di restrizione della libertà personale del suo assistito.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno fornito una motivazione chiara e rigorosa, fondata su un’interpretazione letterale e sistematica delle norme processuali introdotte dalla Riforma Cartabia.

Il fulcro del ragionamento risiede nella natura perentoria dell’art. 581, comma 1-ter, c.p.p. La norma prevede espressamente che «con l’atto d’impugnazione (…) è depositata, a pena d’inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio». La Corte ha sottolineato che questa disposizione non prevede eccezioni. L’onere formale è posto a carico della parte privata e del suo difensore e deve essere adempiuto contestualmente al deposito dell’impugnazione.

Inoltre, la Corte ha specificato che lo stato di detenzione dell’imputato non costituisce una causa di esonero. Citando un proprio precedente consolidato, ha affermato che le regole sull’elezione di domicilio in appello si applicano anche all’imputato detenuto per altra causa. La condizione di detenuto rileva ai fini delle notificazioni solo per il procedimento specifico che ha dato origine alla carcerazione, ma non esime dall’adempiere agli obblighi formali previsti per l’impugnazione di altre sentenze.

Le Conclusioni

La decisione in commento consolida un orientamento giurisprudenziale di estremo rigore formale. L’ordinanza della Cassazione lancia un messaggio inequivocabile ai difensori: la Riforma Cartabia ha introdotto oneri non eludibili, la cui omissione comporta conseguenze processuali gravi e definitive come l’inammissibilità dell’appello. Di fatto, il diritto a impugnare una sentenza di condanna viene subordinato al rispetto di un requisito che, sebbene formale, è considerato essenziale per garantire la corretta notificazione degli atti del giudizio di secondo grado. Per gli operatori del diritto, la lezione è chiara: ogni atto di appello deve essere sempre accompagnato dalla specifica e contestuale dichiarazione o elezione di domicilio dell’imputato, indipendentemente dal suo status di libero o detenuto, per evitare di precludere al proprio assistito l’accesso al successivo grado di giudizio.

L’obbligo di depositare la dichiarazione o elezione di domicilio con l’atto di appello si applica anche a un imputato che si trova già detenuto?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’onere previsto dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. grava anche sull’imputato detenuto per altra causa, rendendo l’appello inammissibile in caso di omissione.

Una precedente elezione di domicilio, effettuata in un’altra fase del procedimento, è sufficiente per l’atto di appello?
No, non è sufficiente. La legge richiede che la dichiarazione o elezione di domicilio sia depositata specificamente “con l’atto d’impugnazione”, a pena di inammissibilità.

Qual è la conseguenza della mancata elezione di domicilio insieme all’atto di appello?
La conseguenza è la dichiarazione di inammissibilità dell’appello, il che significa che l’impugnazione non viene esaminata nel merito e la sentenza di primo grado diventa definitiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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