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Elezione di domicilio appello: la Cassazione decide

L’appello di un imputato era stato dichiarato inammissibile per mancata presentazione di una nuova dichiarazione di domicilio. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, statuendo che per l’elezione di domicilio appello è valida anche una dichiarazione effettuata in primo grado, purché allegata all’impugnazione. La Corte ha specificato che tale requisito è superfluo per un imputato già detenuto, a cui le notifiche vanno fatte personalmente.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Elezione di domicilio appello: non serve una nuova dichiarazione post-sentenza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 26793/2024) ha fatto chiarezza su un punto cruciale della procedura penale, spesso fonte di contrasti giurisprudenziali: i requisiti per una valida elezione di domicilio appello. La questione centrale riguarda l’articolo 581, comma 1-ter, del codice di procedura penale e se la dichiarazione di domicilio da allegare all’atto di appello debba essere necessariamente successiva alla sentenza di primo grado. Con questa pronuncia, la Suprema Corte adotta un’interpretazione meno formalistica, favorendo il diritto di difesa.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da una decisione della Corte d’Appello di Roma, che aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto da un imputato. La ragione? L’atto di impugnazione era privo della dichiarazione o elezione di domicilio, un adempimento richiesto a pena di inammissibilità. L’imputato, tra l’altro, si trovava già in stato di detenzione per un’altra causa fin dal primo grado di giudizio. La difesa ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e sostenendo che, per un soggetto detenuto, tale requisito sarebbe superfluo, dato che le notifiche devono essere eseguite personalmente presso l’istituto di pena.

Il contrasto giurisprudenziale sulla elezione di domicilio appello

La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, ha dato atto dell’esistenza di due orientamenti interpretativi opposti riguardo l’art. 581, comma 1-ter c.p.p.

1. L’orientamento rigoroso: Una parte della giurisprudenza sosteneva che la dichiarazione di domicilio dovesse essere necessariamente effettuata dopo la pronuncia della sentenza di primo grado. Secondo questa tesi, l’elezione di domicilio fatta in precedenza esaurirebbe i suoi effetti con la conclusione del primo grado. La nuova dichiarazione servirebbe quindi a garantire la consapevolezza dell’imputato riguardo all’impugnazione e ad assicurare la certezza delle notifiche per il giudizio di appello.

2. L’orientamento meno formalistico: Un altro filone, invece, affermava che la legge non richiede esplicitamente la posteriorità della dichiarazione. Pertanto, l’onere sarebbe assolto anche allegando all’atto di appello una dichiarazione di domicilio già resa nel corso del primo grado. Questo approccio mira a non introdurre, in via interpretativa, ulteriori requisiti restrittivi che potrebbero limitare il diritto di difesa.

Le Motivazioni della Cassazione

La Quarta Sezione Penale ha aderito al secondo e più garantista orientamento. La Corte ha chiarito che l’articolo 581, comma 1-ter, richiede unicamente che la dichiarazione di domicilio sia depositata unitamente all’atto di impugnazione, senza specificare il momento in cui tale dichiarazione debba essere resa. L’obiettivo della norma è pratico: agevolare la notifica della citazione per il giudizio di appello, non verificare la rinnovata volontà dell’imputato di impugnare (compito assolto, per l’imputato assente, dal comma 1-quater che richiede un mandato specifico).

Inoltre, la Corte ha sottolineato un punto decisivo per il caso in esame: la superfluità dell’adempimento per l’imputato detenuto. Poiché la legge impone la notifica personale all’imputato detenuto, pretendere una nuova elezione di domicilio sarebbe un formalismo privo di scopo, contrario al principio di accesso effettivo alla giustizia sancito anche dall’articolo 6 della CEDU.

Le Conclusioni

In definitiva, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di inammissibilità e ha disposto la trasmissione degli atti a un’altra sezione della Corte d’Appello di Roma per la celebrazione del giudizio. Il principio di diritto affermato è chiaro: la dichiarazione o elezione di domicilio da allegare all’appello non deve essere necessariamente rilasciata dopo la sentenza di primo grado. È sufficiente che una dichiarazione valida, anche se resa in precedenza, sia materialmente allegata all’atto di impugnazione. Tale principio è valido a fortiori per l’imputato detenuto, per il quale questo adempimento è da considerarsi superfluo.

Per presentare appello, la dichiarazione di domicilio deve essere fatta dopo la sentenza di primo grado?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che non è necessario. È sufficiente allegare all’atto di impugnazione la dichiarazione o elezione di domicilio effettuata anche nel corso del procedimento di primo grado.

Cosa succede se l’imputato è detenuto per altra causa? Deve comunque eleggere domicilio per l’appello?
No. La Corte ha chiarito che per l’imputato già detenuto, questo adempimento è superfluo. La legge prevede già la notifica personale in carcere, garantendo la conoscenza degli atti, e richiedere una nuova elezione di domicilio violerebbe il diritto di accesso alla giustizia.

Qual è la differenza tra la disciplina per l’imputato presente e quella per l’imputato assente in primo grado?
Per l’imputato che ha partecipato al primo grado, è sufficiente allegare all’appello una dichiarazione di domicilio (anche precedente). Per l’imputato dichiarato assente, invece, la legge (art. 581, comma 1-quater c.p.p.) richiede uno specifico mandato a impugnare, rilasciato dopo la sentenza, che contenga anche l’elezione di domicilio, per garantire la sua effettiva e attuale volontà di appellare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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