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Elezione di domicilio appello: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22550/2024, ha stabilito che l’elezione di domicilio effettuata nel primo grado di giudizio non è più valida per l’appello. A seguito della Riforma Cartabia, con l’atto di impugnazione è necessario depositare una nuova e specifica dichiarazione o elezione di domicilio, a pena di inammissibilità del ricorso. La Corte ha ritenuto la norma non incostituzionale, in quanto finalizzata a garantire la certezza della conoscenza del processo da parte dell’imputato e la celere notifica degli atti, respingendo così il ricorso di un imputato il cui appello era stato dichiarato inammissibile per tale omissione.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Elezione di domicilio in appello: la Cassazione e la Riforma Cartabia

La Riforma Cartabia ha introdotto nuove e stringenti regole per la presentazione degli atti di impugnazione nel processo penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 22550/2024) ha fatto chiarezza su un punto cruciale: la necessità di una nuova elezione di domicilio in appello. La pronuncia conferma che la precedente dichiarazione fatta nel primo grado di giudizio non è più sufficiente, stabilendo un onere specifico per l’imputato e il suo difensore, pena l’inammissibilità dell’appello stesso.

I fatti di causa

Il caso trae origine da una condanna emessa dal Tribunale di Pavia. L’imputato, tramite il suo difensore, proponeva appello, ma la Corte di Appello di Milano dichiarava l’impugnazione inammissibile. Il motivo? La violazione dell’articolo 581, comma 1-ter, del codice di procedura penale, introdotto dalla Riforma Cartabia. Questa norma prevede che, insieme all’atto di impugnazione, debba essere depositata una dichiarazione o elezione di domicilio specifica per la notifica del decreto di citazione a giudizio in appello. Nel caso di specie, il difensore si era limitato a indicare nell’atto che l’imputato era ‘domiciliato presso il difensore’, richiamando implicitamente un’elezione di domicilio effettuata durante la fase delle indagini, senza allegare alcun nuovo documento.

L’importanza della nuova elezione di domicilio in appello

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che l’elezione di domicilio già effettuata dovesse ritenersi valida e sollevando dubbi sulla costituzionalità della norma. La Suprema Corte ha però respinto il ricorso, offrendo un’analisi dettagliata della nuova disciplina.

Il punto centrale della decisione risiede nell’interpretazione della ratio legis della riforma. La modifica dell’articolo 164 del codice di procedura penale ha eliminato la validità ‘illimitata’ della prima elezione di domicilio, che prima si estendeva a ogni stato e grado del procedimento. Ora, la sua efficacia è limitata al primo grado. Di conseguenza, per il giudizio di appello è necessario un atto nuovo e specifico. L’obiettivo del legislatore è duplice:
1. Garantire la certezza della conoscenza: Assicurarsi che l’imputato sia effettivamente e personalmente a conoscenza dell’avvio del processo d’appello.
2. Efficienza processuale: Consentire una notifica rapida e certa del decreto di citazione, evitando ritardi che potrebbero portare alla prescrizione o a dichiarazioni di improcedibilità.

La Corte chiarisce che il semplice richiamo a una precedente elezione di domicilio nell’atto di appello non soddisfa il requisito di legge, poiché quella dichiarazione ha perso la sua validità per i gradi successivi.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Cassazione ha ritenuto manifestamente infondata anche la questione di legittimità costituzionale. L’obbligo di depositare una nuova elezione di domicilio non rappresenta una disparità di trattamento né un onere sproporzionato. Si tratta, invece, di un ‘onere di collaborazione’ richiesto all’imputato per assicurare il corretto e celere svolgimento del processo che lo riguarda. Questo ‘sacrificio’, come lo definisce la Corte, è ragionevole e giustificato dall’esigenza superiore di garantire la partecipazione consapevole dell’imputato e la ragionevole durata del processo.

La Corte sottolinea che tale adempimento è finalizzato a consentire la notifica personale dell’atto introduttivo del giudizio di appello, come previsto dall’art. 157-ter c.p.p., direttamente presso il domicilio specificamente indicato per quella fase. Pertanto, l’indicazione generica nell’atto di appello di essere domiciliato presso il difensore, senza allegare una nuova e formale elezione di domicilio, non è sufficiente e conduce inevitabilmente all’inammissibilità dell’impugnazione.

Le conclusioni

La sentenza 22550/2024 consolida un principio fondamentale introdotto dalla Riforma Cartabia: la presentazione dell’appello penale richiede un adempimento formale non eludibile. L’elezione di domicilio non è più un atto valido per l’intero procedimento, ma deve essere rinnovato specificamente per il giudizio di impugnazione. Per avvocati e assistiti, ciò significa che al momento della redazione dell’atto di appello è indispensabile predisporre e allegare una nuova dichiarazione o elezione di domicilio. Omettere questo passaggio, anche per una semplice svista, ha una conseguenza drastica: la chiusura definitiva del processo di appello con la declaratoria di inammissibilità.

Dopo la Riforma Cartabia, l’elezione di domicilio fatta nel primo grado di giudizio è ancora valida per l’appello?
No, la sentenza chiarisce che la nuova formulazione dell’art. 164 cod. proc. pen. ha limitato l’efficacia della dichiarazione o elezione di domicilio al grado in cui è stata effettuata. Per il giudizio d’appello è quindi necessaria una nuova e specifica dichiarazione.

Cosa si rischia se non si deposita una nuova elezione di domicilio con l’atto di appello?
Si rischia la declaratoria di inammissibilità dell’appello, come previsto dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. Ciò significa che l’impugnazione non verrà esaminata nel merito e la sentenza di primo grado diventerà definitiva.

Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto che questo nuovo obbligo non sia incostituzionale?
La Corte ha stabilito che l’obbligo non è irragionevole né sproporzionato, ma costituisce un ‘onere di collaborazione’ finalizzato a garantire la certezza della conoscenza del processo da parte dell’imputato e ad assicurare la celerità ed efficienza del giudizio d’appello, in linea con i principi della ragionevole durata del processo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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