Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1806 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1806 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOMECOGNOME nato in Canada il 20.07.1961, contro l’ordinanza della Corte d’appello di Milano dell’11.04.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza dell’11/04/2024, la Corte d’appello di Milano ha dichiarato inammissibile l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME contro la
sentenza emessa il 30/11/2023 dal Tribunale del capoluogo meneghino di cui ha perciò disposto l’esecuzione, condannando inoltre l’appellante alle spese del procedimento.
Ricorre per cassazione il COGNOME a mezzo del difensore che deduce violazione di legge e vizio di motivazione per erronea interpretazione dell’art. 581 comma 1-ter cod. proc. pen.: rileva, infatti, che l’imputato – come è evincibile dalla intestazione della sentenza di primo grado – aveva ritualmente eletto domicilio di cui le disposizioni introdotte dalla riforma del 2022 non contemplano affatto la perdita di efficacia o la caducazione; aggiunge che la stessa ordinanza impugnata ha dato atto che nell’atto di appello era contenuto un espresso riferimento alla nomina con procura speciale che, pur non rinvenuta all’interno del fascicolo, era stata regolarmente depositata e di cui la Corte d’appello ben avrebbe dovuto preventivamente sollecitare il deposito.
La Procura generale, in vista dell’udienza del 24/09/2024, aveva trasmesso la sua requisitoria concludendo per il rigetto del ricorso.
All’udienza del 24/09/2024 il processo era stato differito in attesa che fossero decise le questioni devolute alle Sezioni unite penali con ordinanza del 19/06/2024 della V Sezione di questa Corte.
La Procura generale, all’esito della decisione delle Sezioni unite penali, ha trasmesso una nuova requisitoria concludendo, stavolta, per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
La Quinta Sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 26458 del 19 giugno 2024, avendo ravvisato una difformità di orientamenti nelle decisioni adottate sul punto, nell’ambito del proc. RG n. 6578/24, ric. De Felice, aveva rimesso alle Sezioni unite penali le seguenti questioni: a) se “… ai fini dell perdurante applicazione della disciplina contenuta nell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. – abrogata dalla legge 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto 2024 – si debba avere riguardo alla data della sentenza impugnata ovvero alla data di presentazione dell’impugnazione”; b) se “… la previsione, a pena di inammissibilità, del deposito, insieme con l’atto di impugnazione delle parti private e dei difensori, della dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazion del decreto di citazione a giudizio (art. 581, comma 1-ter, cod. pen.), debba essere
interpretata nel senso che, ai fini indicati, sia sufficiente la sola presenza in at della dichiarazione o elezione di domicilio, benché non richiamata nell’atto di impugnazione od allegata al medesimo”.
All’esito dell’udienza del 24/10/2024 avanti alle Sezioni unite penali sono state diramate le relative informazioni provvisorie: sul primo aspetto l’informazione provvisoria è nel senso che “la disciplina contenuta nell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. – abrogata dalla legge 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto 2024 – continua ad applicarsi alle impugnazioni proposte sino al 24 agosto 2024”; sulla seconda questione l’informazione provvisoria è nel senso che “… la previsione ai sensi dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. deve essere interpretata nel senso che è sufficiente che l’impugnazione contenga il richiamo espresso e specifico ad una precedente dichiarazione o elezione di domicilio e alla sua collocazione nel fascicolo processuale, tale da consentire l’immediata e inequivoca individuazione del luogo in cui eseguire la notificazione”.
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Milano aveva dichiarato l’inammissibilità del gravame proposto nell’interesse del De Benedictis poiché “… all’atto di appello, proposto il 14 gennaio 2024, non è allegato – a differenza di quanto indicato in epigrafe dall’atto di appello – alcun atto contenente dichiarazione e/o elezione di domicilio dell’imputato”.
4.1. L’art. 33 del D. L.vo n. 150 del 2022 aveva inserito, nell’articolo 581 del codice di procedura penale, i commi 1-ter e 1-quater cod. proc. pen.: il comma 1-ter stabiliva, testualmente, che “con l’atto di impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fella notificazione del decreto di citazione a giudizio”; il comma 1quater stabiliva, a sua volta, che “nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l’atto di impugnazione del difensore è depositato, a pena d’inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio”.
4.2. L’art. 2, comma 1, lett. o), della legge 9 agosto 2024 n. 114 ha soppresso il comma 1-ter che, tuttavia, come hanno chiarito le Sezioni unite penali, continua a trovare applicazione per gli atti di impugnazione introdotti come nel caso di specie – in data antecedente al 25 agosto 2024.
4.3. Come accennato, nell’immediatezza dell’entrata in vigore del D. Lg.vo 150 del 2022, si era posto il problema della corretta interpretazione della disposizione di cui si discute di cui, tuttavia, al di là delle diverse soluzio ermeneutiche elaborate, era unanimemente condivisa la finalità che era quella di
snellire gli adempimenti propedeutici all’instaurazione del giudizio d’appello onerando l’imputato appellante, “ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio”, della specifica indicazione del domicilio ove il provvedimento di fissazione avrebbe dovuto essergli recapitato, in tal modo assicurando per un verso la conoscenza del processo da parte dell’interessato ma, per altro verso, la semplificazione del lavoro della cancelleria, con la garanzia del buon fine della notifica dell’atto di citazione per il giudizio.
Si era allora discusso (nei termini ampiamente riassunti nell’ordinanza di remissione alle Sezioni unite penali) se tale esigenza richiedesse una nuova ed autonoma elezione di domicilio ovvero se, a quei fini, fosse sufficiente il richiamo ad una elezione/dichiarazione di domicilio o di residenza che fosse già presente in atti; le Sezioni unite, come risulta dall’informazione provvisoria che risulta, ai nostri fini, del tutto esaustiva, hanno per l’appunto affermato che “la previsione ai sensi dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. deve essere interpretata nel senso che è sufficiente che l’impugnazione contenga il richiamo espresso e specifico ad una precedente dichiarazione o elezione di domicilio e alla sua collocazione nel fascicolo processuale, tale da consentire l’immediata e inequivoca individuazione del luogo in cui eseguire la notificazione”.
Fermo quanto precede, il Collegio deve tuttavia rilevare che nell’atto d’appello proposto nell’interesse del De Benedictis manca ogni sia pure indiretto riferimento non soltanto alla sua collocazione nel fascicolo ma, invero, alla stessa esistenza di una preesistente elezione/dichiarazione di domicilio.
Consegue la correttezza della decisione qui impugnata essendo preciso onere del difensore – anche in presenza di una elezione di domicilio già effettuata nel precedente grado di giudizio – quello di richiamarla espressamente e specificamente, indicandone anche la collocazione nel fascicolo processuale, proprio nell’ottica di semplificare l’attività propedeutica alla celebrazione del giudizio di secondo grado.
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero, alla luce delle considerazioni sopra sviluppate.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 05.12.2024.