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Elezione di domicilio appello: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato, confermando l’inammissibilità del suo atto di impugnazione. La sentenza chiarisce che, secondo la normativa previgente alla modifica del 2024, la semplice indicazione della residenza non era sufficiente a soddisfare il requisito della elezione di domicilio appello. Era invece necessario un richiamo espresso e specifico a una precedente elezione di domicilio già presente nel fascicolo processuale, al fine di garantire una notifica rapida e certa del decreto di citazione.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Elezione di domicilio nell’appello penale: la Cassazione fa il punto sulla normativa pre-riforma

Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione è tornata su un tema procedurale di grande rilevanza, quello relativo all’elezione di domicilio appello come requisito di ammissibilità. La pronuncia offre un’interpretazione rigorosa dell’art. 581, comma 1-ter del codice di procedura penale, nella sua formulazione introdotta dalla Riforma Cartabia e prima della sua successiva abrogazione. Il caso in esame ha visto un appello dichiarato inammissibile proprio per il mancato rispetto di questa formalità, una decisione ora confermata dalla Suprema Corte.

I fatti del caso

La vicenda trae origine da una condanna emessa dal Tribunale di Matera per il reato di minaccia aggravata. L’imputato, tramite il suo difensore, proponeva appello, ma la Corte d’Appello di Potenza dichiarava l’impugnazione inammissibile. La ragione? La violazione dell’articolo 581, comma 1-ter c.p.p., che imponeva, a pena di inammissibilità, di depositare con l’atto di impugnazione la dichiarazione o l’elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.

L’imputato ha quindi presentato ricorso per cassazione, sostenendo che nell’atto di appello era stata indicata la sua residenza, luogo dove, di fatto, il decreto di citazione di primo grado era stato regolarmente notificato. Secondo la tesi difensiva, questo avrebbe dovuto essere sufficiente per considerare raggiunto lo scopo della norma, ovvero garantire la conoscenza del processo all’imputato.

La questione della corretta elezione di domicilio appello

Il cuore della controversia giuridica si è concentrato sull’interpretazione del requisito formale introdotto dalla Riforma Cartabia. Era sufficiente una semplice indicazione della residenza o la legge richiedeva un adempimento più specifico? La difesa ha puntato su un’interpretazione sostanzialistica, evidenziando come la notifica fosse comunque andata a buon fine, dimostrando l’assenza di un reale pregiudizio. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha sposato una linea interpretativa più formale, in linea con un recentissimo orientamento delle Sezioni Unite.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, basando la propria decisione sull’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite in un’udienza del 24 ottobre 2024. Secondo tale orientamento, per soddisfare il requisito previsto dalla norma (nella sua versione applicabile al caso), non bastava una generica indicazione. Era invece necessario che l’atto di impugnazione contenesse “il richiamo espresso e specifico ad una precedente dichiarazione o elezione di domicilio e alla sua collocazione nel fascicolo processuale, tale da consentire l’immediata e inequivoca individuazione del luogo in cui eseguire la notificazione”.

Nel caso specifico, l’imputato si era limitato a indicare di essere “residente in…”, senza alcun riferimento a una formale e precedente elezione di domicilio depositata agli atti. Questa modalità è stata ritenuta insufficiente. La Corte ha sottolineato la duplice finalità della norma: non solo garantire la conoscenza del processo all’imputato, ma anche e soprattutto consentire la “rapida notifica” del decreto di citazione a giudizio, un atto che deve essere notificato personalmente presso il domicilio dichiarato o eletto. La semplice indicazione della residenza, quindi, non soddisfa questa esigenza di celerità e certezza voluta dal legislatore.

Interessante anche il passaggio sulle spese legali della parte civile. La Corte ha negato la liquidazione, richiamando un altro principio delle Sezioni Unite (sentenza Sacchettino, 2023): nei giudizi in cassazione celebrati con rito camerale non partecipato, la parte civile ha diritto al rimborso delle spese solo se ha fornito un “utile contributo alla decisione” con le proprie memorie, e non limitandosi a una mera richiesta di rigetto del ricorso.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce l’importanza del rigore formale negli atti processuali, specialmente in relazione a requisiti previsti a pena di inammissibilità. La decisione chiarisce che, per la normativa in vigore prima delle recenti modifiche del 2024, l’elezione di domicilio appello richiedeva più di una semplice menzione della residenza. Era indispensabile un rinvio esplicito e puntuale a un atto formale già presente nel fascicolo, al fine di assicurare non solo la conoscibilità ma anche l’efficienza e la celerità del procedimento di notificazione. Un monito sull’importanza della precisione tecnica nella redazione degli atti difensivi.

Prima della modifica legislativa del 2024, era sufficiente indicare la propria residenza nell’atto di appello per evitare l’inammissibilità?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non era sufficiente. La legge richiedeva un richiamo espresso e specifico a una precedente e formale dichiarazione o elezione di domicilio già presente agli atti del fascicolo processuale.

Perché la legge richiedeva una formale elezione di domicilio nell’atto di appello?
La norma aveva una duplice finalità: da un lato, garantire la certa conoscenza del processo da parte dell’imputato; dall’altro, e in modo cruciale, consentire una notifica rapida e certa del decreto di citazione a giudizio, che deve essere eseguita personalmente presso il domicilio formalmente dichiarato o eletto.

La parte civile ottiene sempre la liquidazione delle spese se il ricorso dell’imputato è dichiarato inammissibile?
No. In procedimenti specifici come il rito camerale “non partecipato” in Cassazione, la parte civile ha diritto al pagamento delle spese solo se ha fornito un contributo utile alla decisione, ad esempio attraverso memorie scritte che contengono argomentazioni giuridiche e non si limitano a una semplice richiesta di rigetto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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