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Elezione di domicilio: appello inammissibile

L’appello di un imputato è stato dichiarato inammissibile per non aver depositato, con l’atto di impugnazione, una specifica dichiarazione o elezione di domicilio come richiesto dalla Riforma Cartabia. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, chiarendo che il semplice richiamo a una precedente elezione di domicilio non è sufficiente a soddisfare questo nuovo e tassativo requisito processuale.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Elezione di Domicilio: Requisito Essenziale per l’Appello Penale

Con la recente sentenza n. 3386/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale introdotto dalla Riforma Cartabia: la necessità di una specifica elezione di domicilio al momento della presentazione dell’atto di appello. L’omissione di questo adempimento, come vedremo nel caso di specie, comporta una sanzione drastica: l’inammissibilità dell’impugnazione. Questa pronuncia offre importanti chiarimenti sulla portata e l’inderogabilità del nuovo art. 581, comma 1-ter del codice di procedura penale.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una condanna emessa dal Tribunale di Torino per il reato di guida in stato di ebbrezza. La difesa dell’imputato proponeva appello, ma la Corte di Appello di Torino dichiarava l’impugnazione inammissibile. La ragione? La mancata osservanza del nuovo art. 581, comma 1-ter c.p.p., che impone alla parte che impugna di depositare, contestualmente all’atto, una dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notifica del decreto di citazione a giudizio.

La difesa ricorreva quindi in Cassazione, sostenendo di aver soddisfatto il requisito. Nell’atto di appello, infatti, si menzionava che l’imputato aveva eletto domicilio presso lo studio del difensore, indicandone gli estremi. Secondo il ricorrente, questo richiamo a una precedente elezione di domicilio era sufficiente e, in ogni caso, il giudice avrebbe dovuto, in un’ottica di collaborazione processuale, sollecitare un’eventuale integrazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’elezione di domicilio

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando in pieno la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno chiarito che la norma introdotta dalla Riforma Cartabia non si limita a richiedere l’esistenza di una qualsiasi elezione di domicilio effettuata nel corso del procedimento. Al contrario, essa impone un adempimento specifico e contestuale all’atto di impugnazione: il deposito di una nuova dichiarazione o elezione di domicilio.

La Corte ha specificato che il semplice riferimento, contenuto nell’atto di appello e sottoscritto dal solo difensore, a una precedente dichiarazione non è idoneo a soddisfare il requisito di legge. La norma prevede una sanzione esplicita di inammissibilità e non lascia spazio a interlocuzioni o richieste di integrazione da parte del giudice. Si tratta di un onere a carico della parte privata, non sanabile a posteriori.

Le Motivazioni: la “Ratio Legis” della norma sull’elezione di domicilio

La Corte di Cassazione ha approfondito le ragioni che stanno alla base di questo nuovo onere processuale. La ratio legis dell’art. 581, comma 1-ter c.p.p. è duplice.

Da un lato, mira a responsabilizzare la parte privata che intende impugnare una sentenza. Richiedendo un suo contributo personale e attivo (la dichiarazione di domicilio), la legge si assicura che l’imputato sia pienamente consapevole dell’avvio del giudizio di appello e della necessità di interagire con il proprio difensore. Questo personalizza il gravame e previene l’uso di rimedi successivi, come la restituzione nel termine, basati su una presunta mancata conoscenza del processo.

Dall’altro lato, la norma ha una finalità di razionalizzazione e semplificazione. Garantire che vi sia un domicilio certo e attuale, dichiarato ai fini specifici della notifica della citazione in appello, agevola il buon esito del procedimento notificatorio, assicurando che l’atto raggiunga effettivamente il destinatario. Questo si inserisce in un più ampio disegno di collaborazione e lealtà processuale, dove alla parte è richiesto un adempimento preliminare per garantire l’efficienza del giudizio.

La Corte ha concluso che il riferimento a una precedente dichiarazione, non formalizzato in un atto depositato contestualmente all’impugnazione, è un mero richiamo che non assolve a questa funzione di collaborazione e partecipazione attiva richiesta dalla nuova legge.

Conclusioni

La sentenza in esame lancia un messaggio inequivocabile a difensori e imputati. Con l’entrata in vigore della Riforma Cartabia, l’atto di impugnazione deve essere obbligatoriamente accompagnato, a pena di inammissibilità, da una dichiarazione o elezione di domicilio ad hoc. Non è più sufficiente fare affidamento su precedenti elezioni di domicilio effettuate durante le indagini o il primo grado di giudizio. Si tratta di un onere formale, tassativo e non sanabile, la cui omissione preclude irrimediabilmente l’accesso al giudizio di appello. La collaborazione processuale, in questo contesto, si traduce in un preciso dovere della parte di attivarsi per garantire la propria reperibilità e la celere definizione del processo.

È sufficiente richiamare una precedente elezione di domicilio nell’atto di appello?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che non è sufficiente. La legge richiede il deposito di una nuova e specifica dichiarazione o elezione di domicilio contestualmente all’atto di impugnazione, non un mero richiamo a una precedente.

Cosa succede se si omette di depositare la dichiarazione o elezione di domicilio con l’atto di impugnazione?
L’omissione di questo adempimento comporta la sanzione processuale della inammissibilità dell’impugnazione. Il giudice non potrà esaminare il merito dell’appello.

Il giudice può chiedere di integrare la documentazione in caso di mancata elezione di domicilio?
No. La sentenza chiarisce che la norma non prevede alcun tipo di interlocuzione o richiesta di integrazione da parte del giudice. L’onere è posto interamente a carico della parte che impugna e la sua omissione non è sanabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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