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Elezione di domicilio appello: i requisiti di validità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7020/2024, ha dichiarato inammissibile un ricorso per mancata allegazione della dichiarazione di elezione di domicilio all’atto di appello. La Corte ha stabilito che, a seguito della Riforma Cartabia, la dichiarazione fatta nel primo grado di giudizio non è più valida per l’impugnazione, essendo necessaria una nuova e specifica elezione di domicilio per garantire la corretta notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Elezione di Domicilio in Appello: Un Requisito Cruciale Post-Riforma

Con la recente sentenza n. 7020 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema di fondamentale importanza nella procedura penale, reso ancora più attuale dalle modifiche introdotte dalla Riforma Cartabia: i requisiti di ammissibilità dell’atto di appello. In particolare, la Corte ha ribadito la necessità di una nuova elezione di domicilio per l’appello, chiarendo che quella effettuata nel precedente grado di giudizio non è più sufficiente. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni pratiche.

Il Fatto: Un Appello Dichiarato Inammissibile

Il caso trae origine da una decisione della Corte di appello di Torino, che aveva dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto da due imputati. La ragione era puramente formale ma decisiva: la mancata allegazione, all’atto di impugnazione, della dichiarazione o elezione di domicilio, come prescritto dall’articolo 581, comma 1-ter, del codice di procedura penale.

I difensori degli imputati avevano proposto ricorso per cassazione, sostenendo che, essendo i loro assistiti stati giudicati in presenza, l’elezione di domicilio effettuata durante l’udienza di convalida dell’arresto avrebbe dovuto essere considerata ancora valida. A loro avviso, il nuovo onere formale non avrebbe dovuto applicarsi al loro caso.

L’obbligo di una nuova elezione di domicilio in appello: l’interpretazione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, definendolo manifestamente infondato. I giudici hanno fornito una lettura rigorosa e sistematica della nuova disciplina delle notificazioni, evidenziando come la Riforma Cartabia abbia profondamente modificato il regime di validità dell’elezione di domicilio.

La Corte ha spiegato che la ratio della norma è quella di assicurare una celebrazione celere e regolare del giudizio di impugnazione, agevolando l’attività di notifica dell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado. Questo impone alla parte che impugna un preciso onere di “leale collaborazione”.

La validità limitata della dichiarazione di domicilio

A differenza del passato, dove l’elezione di domicilio aveva un’efficacia prolungata “per ogni stato e grado del procedimento”, la nuova normativa ne limita la validità. La dichiarazione o elezione di domicilio è ora funzionale alla notificazione degli specifici atti di vocatio in iudicium (come la citazione a giudizio) per un determinato grado. Una volta esaurito quel grado, perde la sua efficacia.

Di conseguenza, per avviare il giudizio di appello, è indispensabile una nuova manifestazione di volontà dell’imputato attraverso una nuova dichiarazione o elezione di domicilio, da depositare contestualmente all’atto di impugnazione. L’elezione effettuata in primo grado non è più utilizzabile.

Le motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione sulla base di una lettura coordinata delle nuove disposizioni. L’articolo 164 del codice di procedura penale, nella sua nuova formulazione, ha eliminato il riferimento alla validità dell’atto “per ogni stato e grado del procedimento”. Coerentemente, l’art. 581, comma 1-ter, introduce uno specifico requisito di forma per l’impugnazione, creando una norma speciale che deroga alla disciplina generale delle notificazioni successive alla prima (che avverrebbero presso il difensore).

L’obiettivo del legislatore è chiaro: per un atto cruciale come la citazione per il giudizio di appello, si è voluta garantire la massima certezza della notifica, affidandola a un domicilio specificamente eletto per quella fase. Questo onere, sottolinea la Corte, non costituisce una limitazione irragionevole del diritto di difesa, ma una scelta discrezionale del legislatore finalizzata a migliorare l’efficienza del processo. La Corte ha inoltre ribadito un principio consolidato: il giudizio sull’ammissibilità dell’impugnazione è preliminare a qualsiasi altra valutazione, inclusa quella su eventuali nullità assolute della sentenza impugnata. Se l’appello è inammissibile, il rapporto processuale non si costituisce validamente e il giudice non può esaminare il merito né altre eccezioni.

Le conclusioni

La sentenza in commento offre un’indicazione chiara e inequivocabile per tutti gli operatori del diritto. L’allegazione della dichiarazione o elezione di domicilio all’atto di appello non è una mera formalità, ma un requisito di ammissibilità la cui mancanza determina, senza appello, l’impossibilità di accedere al secondo grado di giudizio. Gli avvocati difensori devono prestare la massima attenzione a questo adempimento, assicurandosi di acquisire e depositare una nuova elezione di domicilio dai propri assistiti contestualmente alla presentazione dell’impugnazione, per evitare conseguenze irrimediabili per l’esito del processo.

È ancora valida per l’appello l’elezione di domicilio fatta nel primo grado di giudizio?
No. La sentenza chiarisce che, a seguito della Riforma Cartabia, l’efficacia della dichiarazione o elezione di domicilio è limitata al grado di giudizio in cui è stata effettuata. Per presentare appello è obbligatoria una nuova e specifica dichiarazione da allegare all’atto di impugnazione.

Cosa succede se non si allega la nuova elezione di domicilio all’atto di appello?
L’atto di appello viene dichiarato inammissibile. La mancata allegazione è considerata un vizio di forma insanabile che impedisce al giudice di esaminare il merito dell’impugnazione.

Questa regola si applica anche se l’imputato è stato processato in presenza e non ‘in absentia’?
Sì. La Corte di Cassazione ha specificato che l’obbligo previsto dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. si applica a tutti gli imputati, indipendentemente dal fatto che siano stati giudicati in presenza o in assenza, poiché la norma non prevede alcuna distinzione a riguardo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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