Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 7020 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 7020 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: TRIPICCIONE DEBORA
Data Udienza: 16/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME NOME NOME a Terni DATA_NASCITA
NOME nata a Noto il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa il 14 giugno 2023 dalla Corte di appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugNOME e i ricorsi; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata la Corte di appello di Torino ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME, giudicati in presenza con sentenza emessa dal Tribunale di Ivrea del 24/1/2023, in ragione della
mancata allegazione all’atto di appello della dichiarazione o elezione di domicilio prescritta dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., nonché della mancanza della procura speciale ad impugnare, indicata quale allegato dell’atto di appello, non rinvenuta neanche a seguito di specifica richiesta avanzata d’ufficio al Tribunale di Ivrea.
2.Propongono ricorso per cassazione i difensori di NOME COGNOME e NOME COGNOME deducendo due motivi di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1 Con il primo motivo deducono la violazione degli artt. 96 e 581, commi 1-ter e 1-quater cod. proc. pen. in quanto, trattandosi di imputati giudicati in presenza, trova applicazione il solo comma 1-ter dell’art. 581 cpp in relazione al quale deve ritenersi valida l’elezione di domicilio formulata all’udienza di convalida dell’arresto.
2.2 Con il secondo motivo deducono il vizio di violazione di legge in quanto la Corte territoriale ha omesso di valutare la nullità assoluta eccepita al punto 1 dell’atto di appello, nullità che deve essere rilevata d’ufficio in via preliminare rispetto all valutazione della inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
I ricorrenti, infatti, senza considerare il chiaro dettato norrnativo, sostengono erroneamente che la sanzione di inammissibilità dell’impugnazione prevista dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. in caso di mancato contestuale deposito della dichiarazione o elezione di domicilio, non sarebbe applicabile nel caso in esame in quanto, essendo stati giudicati in presenza, deve ritenersi valido il domicilio eletto nell’udienza di convalida dell’arresto.
Tale soluzione non trova alcun riscontro nella lettera della legge in cui, a differenza della previsione contenuta nel successivo comma 1-quater, non si fa alcun riferimento alla circostanza che l’imputato impugnante sia stato processato o meno in absentia. Inoltre, sebbene la norma non richieda espressamente che la dichiarazione o elezione di domicilio sia successiva alla pronuncia oggetto di impugnazione, ritiene il Collegio che tale soluzione sia l’unica coerente con la ratio della norma e con una lettura sistematica delle nuove disposizioni in tema di notificazioni introdotte dal d. Igs. 10 ottobre 2022, n. 150.
Quanto al primo profilo, ad avviso del Collegio, la ratio della disposizione introdotta al comma 1-ter dell’art. 581 cod. proc. pen., va individuata, in termini coerenti con gli obiettivi di miglioramento dell’efficienza e speditezza del processo penale perseguiti dalla Riforma del 2022, nella finalità di assicurare la regolare e celere celebrazione del giudizio di impugnazione e di agevolare l’attività di notificazione dell’atto introduttivo del giudizio. La norma, dunque, impone alla parte impugnante un onere di leale collaborazione, funzionale alla regolare e celere notificazione del decreto di citazione a giudizio, in relazione alla quale la cancelleria viene evidentemente sgravata dall’onere di ricerca delle precedenti dichiarazioni o elezioni di domicilio e alla individuazione, in caso di pluralità di tali atti nel corso processo, dell’ultima manifestazione di volontà dell’imputato.
Ritiene, inoltre, il Collegio che, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione non possono ritenersi valide le dichiarazioni o elezioni di domicilio effettuate nel precedente grado di giudizio. Tale soluzione ermeneutica appare, infatti, l’unica coerente con le modifiche introdotte dalla riforma del 2022 alla disciplina della dichiarazione o elezione di domicilio e, più in generale, delle notificazioni.
In primo luogo, va considerata la modifica del regime di validità della dichiarazione o elezione di domicilio: non si tratta più di un atto ad efficacia prolungata che, in assenza di modificazioni da parte dell’interessato, può rilevare ai fini della notificazione degli atti di tutti i gradi del procedimento, bensì di un atto efficacia limitata alla notificazione degli atti di vocatio in iudicium espressamente indicati dal legislatore (ovvero, l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, gli at di citazione per il giudizio direttissimo, per il giudizio immediato, per l’udienz dibattimentale dinanzi al tribunale in composizione monocratica e per il giudizio di appello, nonché il decreto penale di condanna).
Tale diversa validità della dichiarazione o dell’elezione di domicilio emerge chiaramente dal combiNOME disposto degli artt. 161, comma 1 e :L64 cod. proc. pen.
La prima disposizione prevede espressamene che il giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, nel primo atto compiuto con la presenza dell’indagato o dell’imputato, non detenuto né interNOME, lo invita a dichiarare o eleggere domicilio – fisico o digitale – «per le notificazioni» degli atti di vocatio in iudicium sopra indicati.
Coerentemente con tale disposizione, all’art. 164 cod. proc. pen. – la cui rubrica è stata significativamente sostituita con la locuzione “Efficacia della dichiarazione o dell’elezione di domicilio” – è stato elimiNOME il riferimento alla validità di tale «per ogni stato e grado del procedimento». La norma prevede, infatti, che, con la
sola eccezione delle notificazioni all’imputato detenuto (da eseguire sempre, ai sensi dell’art. 156, comma 1, nel luogo di detenzione), la determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per la notificazione dei singoli atti di vocatio in iudicium sopra indicati.
La riforma del 2022 ha, dunque, conformato la dichiarazione o l’elezione di domicilio quale atto ad efficacia temporalmente limitata, in quanto funzionale alla sola notificazione degli atti sopra indicati.
Tale conclusione trova ulteriore conferma anche nella nuova disciplina delle notificazioni all’imputato.
Va, infatti, considerato che, ai sensi dell’art. 157 cod. proc. pen., la prima notificazione all’imputato non detenuto degli atti diversi da quelli di vocatio in iudicium, sopra descritti, può avvenire secondo un duplice binario: a) con modalità telematiche, ove disponga di un idoneo domicilio digitale; b) in caso di assenza o di inidoneità di detto domicilio, la notificazione dell’atto potrà essere effettuata presso il difensore, se l’imputato ha già ricevuto gli avvisi di cui all’art. 161, comma 1, cod proc. pen., ovvero, in assenza di tali avvisi, mediante consegna di copia dell’atto personalmente o nei luoghi e con le diverse modalità indicate dall’art. 157 cod. proc. pen.
Per tutte le notificazioni successive alla prima e diverse dadi atti di vocatio in iudicium, l’art. 157-bis cod. proc. pen. prevede, in linea generale e, salvo quanto specificamente previsto dal secondo comma per il caso in cui l’imputato sia assistito da un difensore d’ufficio, che queste siano eseguite mediante consegna al difensore.
Infine, solo per la notificazione degli atti di vocatio in iudicium l’art. 157-ter cod. proc. pen. prevede che questa sia eseguita presso il domicilio dichiarato o eletto (anche digitale) o, in mancanza di questo, nei luoghi e con le modalità di cui all’art. 157, escludendo espressamente l’impiego della modalità telematica di cui all’art. 148, comma 1, cod. proc. pen. Tale disposizione costituisce un logico corollario della disciplina del processo in assenza la cui celebrazione è consentita solo se vi è prova che l’imputato è a conoscenza della pendenza del processo. Potendo, infatti, le modalità della notificazione rilevare quali indici presuntivi della sussistenza della conoscenza della pendenza del processo, il legislatore ha accordato prevalenza, ai soli fini della notificazione degli atti di vocatio in iudicium, alla manifestazione di volontà dell’imputato, prevedendo solo in via subordinata, per il solo caso in cui manchi una dichiarazione o elezione di domicilio, il ricorso alle modalità ordinarie di esecuzione della prima notificazione all’imputato non detenuto. Per le medesime
ragioni, è stato, al contempo, escluso il ricorso alla notificazione con modalità telematiche, evidentemente reputate inidonee, in assenza di una specifica dichiarazione di domicilio digitale dell’imputato (si veda, in tal senso, l’art. 161 comma 1, cod. proc. pen. che consente la sola dichiarazione – e non l’elezione – di un proprio indirizzo di posta elettronica certificata o di altro servizio elettronico recapito certificato qualificato), a costituire una adeguata base fattuale da porre a fondamento della presunzione di conoscenza della pendenza del processo.
Sulla base di tali disposizioni, deve, dunque, ritenersi che la validità della manifestazione di volontà dell’imputato cessa con l’esecuzione della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio presso il domicilio dichiarato o eletto. Da tal momento, infatti, al domicilio “volontario”, si sostituisce il domicilio ex lege presso il difensore, rispetto al quale il legislatore ha elimiNOME ogni possibilità di deroga correlata ad una eventuale diversa manifestazione di volontà dell’imputato (l’art. 157-ter non prevede, infatti, alcuna eccezione alla regola della notificazione di tutti gli atti successivi presso il difensore) o del difensore. A tale ultimo riguardo, va, infatti, considerato la riforma del 2022 ha abrogato il comma dell’art. 157, che consentiva al difensore di fiducia di impedire la domiciliazione ex lege dell’imputato per le notificazioni successive alla prima.
La disposizione di cui al comma 1-ter dell’art. 581 cod. proc. pen. si inserisce coerentemente in tale complesso di sistema delle notificazioni.
Partendo, infatti, dalla efficacia limitata della dichiarazione o elezione di domicilio alla notificazione all’imputato dell’atto di vocatio in iudicium introduttivo del primo grado di giudizio, cui seguirà, sempre nel medesimo grado, la notificazione di tutti gli atti successivi presso il difensore, ritiene il Collegio che, la disposizione in esame deve interpretarsi nel senso che, una volta definito il grado di giudizio, ai fini del notificazione della citazione per il giudizio di appello, non può farsi riferimento al domicilio precedente dichiarato o eletto, essendo necessaria una nuova dichiarazione o elezione di domicilio.
Attraverso la disposizione in esame, il legislatore ha, ckinque, introdotto, attraverso la previsione dello specifico requisito di forma dell’impugnazione, una norma speciale derogatoria della disciplina generale contenuta all’art. 157-ter, comma 1, secondo periodo, cod. proc. pen. prevedendo, per la sola notificazione della citazione per il giudizio di appello, un’unica forma di notificazione presso il domicilio dichiarato o eletto, il cui mancato deposito con l’atto di impugnazione,
rendendo colpevolmente impossibile tale notificazione, determina la inammissibilità dell’impugnazione.
Il Collegio è consapevole dell’esistenza di altro indirizzo ermeneutico affermato dalla Seconda sezione di questa Corte nel procedimento R.G.N. 39694/2023 in cui, secondo la notizia di decisione disponibile al momento della redazione della presente sentenza, si è escluso che, per l’imputato non processato in absentia, la dichiarazione o l’elezione di domicilio richiesta ai fini della notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello debba essere rilasciata dopo l’emissione della pronuncia impugnanda in quanto una contraria interpretazione sfavorevole ostacolerebbe indebitamente l’accesso al giudizio di impugnazione, in violazione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti.
Ritiene il Collegio che detta soluzione, nei termini resi noti dalla citata notizia di decisione, non possa essere condivisa in quanto, come già chiarito nei precedenti paragrafi, l’art. 581, comma 1-ter cod. proc. peni non limita il diritto di impugnazione, ma disciplina la forma di presentazione dell’atto di impugnazione al fine di assicurare una regolare e celere celebrazione del giudizio di impugnazione e individuando, per tutti gli imputati, un’unica modalità di notificazione del decreto di citazione a giudizio di cui all’art. 601 cod. proc. pen. Si tratta, dunque, di una disposizione che, oltre ad essere pienamente coerente con la nuova disciplina delle notificazioni, è espressione di una scelta rientrante nella discrezionalità del legislatore, scelta che, ad avviso del Collegio, non appare irragionevole né incidere sul diritto di difesa – non limitando in alcun modo il diritto di impugnazione o la tipologia di provvedimenti impugnabili.
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, ritiene il Collegio che la Corte territoriale ha legittimamente dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione, stante la valenza assorbente del mancato deposito della dichiarazione o elezione di domicilio e la invalidità di quella eventualmente resa nel precedente grado di giudizio.
Anche il secondo motivo di ricorso non supera il vaglio di ammissibilità dovendosi, al riguardo, ribadire la prevalenza del giudizio di inammissibilità dell’impugnazione – che impedisce il formarsi di un valido rapporto di impugnazione – rispetto all’esame di eventuali cause di nullità assoluta della sentenza. (cfr. Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818; Sez. 3, n. 43917 del 14/10/2021, Rv. 282218). Legittimamente, dunque, la Corte territoriale, una volta
rilevata la causa di inammissibilità dell’impugnazione ha omesso di esaminare l’eccezione dedotta dai ricorrenti.
All’inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle sole spese processuali. In considerazione della novità della questione dedotta può, infatti, ritenersi che gli stessi abbiano proposto detti ricorsi senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 gennaio 2024
Il AVV_NOTAIO estensore
Il P esidente