Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 47593 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 47593 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato ad Aradeo il 01/01/1972
avverso l’ordinanza del 16/07/2024 del Tribunale di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito, per il ricorrente, l’Avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 16 luglio 2024, e depositata il 24 luglio 2024, il Tribunale di Lecce, pronunciando in materia di misure cautelari personali, ha in parte respinto e in parte accolto l’appello presentato nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza con la quale il G.i.p. del Tribunale di Lecce ha disposto nei suoi confronti le misure interdittive del divieto di contrattare con la P.A. e di
esercitare attività professionali e imprenditoriali per la durata di un anno, annullandola limitatamente ad alcune contestazioni e confermandola nel resto.
La misura interdittiva è stata emessa dal G.i.p. del Tribunale di Lecce per i reati di partecipazione ad associazione per delinquere in qualità di promotore (capo 1), di emissione di fatture per operazioni inesistenti (capi 2 e 3), e di indebita percezione di erogazioni pubbliche (capi 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21 e 22). Il Tribunale, per quanto di diretta incidenza sulle misure interdittive, ha annullato l’ordinanza del G.i.p. limitatamente ad una parte dei fatti di cui ai capi 2, 3, 5, 14 e 15. I reati sarebbero stati diretti a consegui previa emissione di fatture per operazioni inesistenti, e falsi certificati rilasciati persone esercenti un servizio di pubblica necessità, strumentalizzando le disposizioni agevolative del c.d. “superbonus” previste dall’art. 121 d.l. n. 34 del 2020, il riconoscimento di falsi crediti di imposta poi ceduti a terzi.
Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe NOME COGNOME con atto sottoscritto dall’Avv. NOME COGNOME articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata esposizione ed autonoma valutazione degli elementi forniti dalla difesa.
Si premette che l’ordinanza cautelare del G.i.p. del Tribunale di Lecce è stata impugnata davanti al Tribunale del riesame per aver completamente omesso qualunque riferimento o valutazione in ordine alla memoria, e relativi allegati, che la difesa aveva depositato nella segreteria del P.M. procedente nel corso delle indagini prima dell’emissione della misura. Si precisa che la memoria forniva spiegazione della genesi e del modus operandi della società “RAGIONE_SOCIALE“, di cui l’attuale ricorrente era amministratore, e che il P.M. aveva trasmesso detta memoria, e relativi allegati, al G.i.p., ex art. 291, comma 1, cod. proc. pen.
Si deduce che il Giudice del riesame, pur riconoscendo la mancanza di motivazione del G.i.p. in ordine alla memoria e relativi allegati, ha illegittimamente limitato l’accoglimento della doglianza ad alcune delle pratiche oggetto delle imputazioni, in relazione alle quali la difesa aveva allegato le certificazioni ed i rilievi fotografici del completamento dei lavori. Si osserva che, così facendo, il giudice del riesame si è illegittimamente sostituito al G.i.p., entrando nel merito della fondatezza delle argomentazioni difensive contenute nella predetta memoria, e decidendo di accoglierle solo in parte, in relazione ai contenuti di una consulenza tecnica allegata, invece di limitarsi a rilevare l’omessa motivazione in ordine alle stesse. Si aggiunge che la memoria forniva elementi non soltanto sulle pratiche
per le quali il Tribunale ha disposto l’annullamento, ma anche sull’attività della “RAGIONE_SOCIALE“, e sul rifiuto, da parte di questa società, di crediti pe circa 25 milioni di euro (si indicano la pag. 10 della memoria e l’allegato n. 3); si sottolinea che l’omessa considerazione di questo rifiuto ha determinato il sequestro anche delle somme connesse alle pratiche che avrebbero potuto generare questi crediti.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 310 e 597 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avuto riguardo alla cognizione del giudice dell’appello cautelare.
Si deduce che il Tribunale del riesame, nel riconoscere il difetto di motivazione degli elementi forniti dalla difesa, ha colmato tale lacuna sostituendosi al G.i.p., e che, però, una tale operazione integrativa gli era preclusa perché, da un lato, la difesa aveva dedotto esclusivamente la nullità dell’ordinanza genetica per violazione dell’art. 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen., senza entrare nel merito dei fatti, e, dall’altro, il combinato disposto degli artt. 310 e 597 cod. proc. pen. impone al giudice dell’appello cautelare di limitare la propria cognizione ai soli punti dedotti dall’appellante, in ossequio al principio devolutivo (si cita Sez. 5, n. 23042 del 04/04/2023).
Si precisa che al giudice del riesame è stato riconosciuto dalla giurisprudenza un potere di valutazione della rilevanza delle argomentazioni difensive (si cita Sez. 6, n. 36874 del 13/06/2017), ma solamente nel caso in cui la relativa documentazione venga depositata in un momento successivo rispetto alla richiesta di emissione della misura cautelare, e debba essere presentata davanti al Tribunale, situazione non ravvisabile nel caso di specie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato per le ragioni di seguito precisate.
Infondate sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano la violazione, nell’ordinanza impugnata, del dovere di annullare l’ordinanza applicativa di misura interdittiva nella sua totalità, per avere quest’ultima omesso di motivare in ordine agli elementi forniti dalla difesa, a norma del combinato disposto degli artt. 309, comma 9, e 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen.
Appare utile, per l’individuazione dell’esatto ambito del quesito di diritto rilevante in questa sede, precisare qual è l’effettivo contenuto dell’ordinanza impugnata nella parte in cui ha esaminato le deduzioni dell’attuale ricorrente in // i i v
ordine alle lacune dell’ordinanza genetica nella valutazione degli elementi forniti dalla difesa mediante memoria nel corso delle indagini.
L’ordinanza impugnata, per quanto si evince dalla sua motivazione, ha, con riguardo alle allegazioni dalla difesa mediante memoria nel corso delle indagini, distinto tra elementi forniti dalla difesa che il G.i.p. non ha esaminato, elementi forniti dalla difesa che il G.i.p., sia pure senza espresso riferimento alla memoria, ha invece esaminato, e mere prospettazioni difensive.
Il Tribunale, precisamente, ha osservato che: a) le certificazioni rilasciate dal geometra NOME in relazione a singole pratiche precisamente individuate, costituiscono elementi forniti dalla difesa a norma dell’art. 292, comma 2, lett. cbis), cod. proc. pen. in ordine ai quali il RAGIONE_SOCIALE non ha espresso alcuna valutazione; b) le deduzioni sulle singole pratiche in relazione alle quali la società gestita dall’attuale ricorrente aveva rifiutato i crediti di imposta costituiscono elementi forniti dalla difesa a norma dell’art. 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen. in ordine ai quali il G.i.p. ha esibito una motivazione “effettiva”, pur senza richiamare la memoria difensiva; c) i rilievi sulla “buona fede” dell’indagato, fondati sull’avere lo stesso rilasciato fideiussioni a favore della società o garanzie per contratti stipulati con terzi, e sulla “legittimità differita” delle attestazioni, “n costituiscono elementi forniti dalla difesa a norma dell’art. 292, comma 2, lett. cbis), cod. proc. pen., bensì mere argomentazioni.
E, sulla base di questa distinzione, ha disposto l’annullamento dell’ordinanza genetica soltanto con riguardo ai reati ai quali si riferiscono gli elementi forniti dalla difesa che detto provvedimento non risulta aver preso in considerazione, e che non costituiscono mere argomentazioni.
È per queste ragioni che l’ordinanza genetica è stata annullata solo con riferimento ai reati ipotizzati con riferimento alle pratiche alle quali si riferiscon le certificazioni rilasciate dal geometra COGNOME e confermata nel resto.
In considerazione dei fatti processuali rilevati, i quesiti da esaminare sono due: il primo concerne l’individuazione della nozione di elementi forniti dalla difesa a norma dell’art. 292, comma 2, lett. c-bis) cod. proc. pen.; il secondo riguarda la “frazionabilità” dell’ordinanza e l’ammissibilità di un annullamento dei soli titoli della misura cautelare ai quali si riferiscono gli elementi forniti dalla difesa e non valutati dal primo giudice.
4.1. Per quanto attiene al primo quesito, il Collegio ritiene di dover muovere dai principi costantemente espressi in giurisprudenza in ordine alla nozione di elementi favorevoli alla difesa a norma dell’art. 292 cod. proc. pen.
Invero, si è più volte precisato che, in tema di misure cautelari, nella nozione di “elementi a favore” che devono essere valutati dal giudice a pena di nullità
dell’ordinanza, rientrano soltanto elementi di natura oggettiva e concludente, rimanendo escluse le mere posizioni difensive negatorie, le semplici prospettazioni di tesi alternative e gli assunti chiaramente defatigatori, così come non vi rientrano le interpretazioni alternative degli elementi indiziari, che restano assorbite nel complessivo apprezzamento operato dal giudice della libertà (Sez. 5, n. 44341 del 13/05/2019, Paris, Rv. 277127 – 01, e Sez. 6, n. 12442 del 09/03/2011, COGNOME, Rv. 249641 – 01). E che la disposizione di cui all’art. 292, comma 2-ter, cod. proc. pen., in base alla quale l’ordinanza di applicazione della custodia cautelare deve contenere, a pena di nullità, anche la valutazione degli elementi a favore dell’imputato, non impone al giudice l’indicazione di qualsiasi elemento che sia ritenuto favorevole dal difensore, né tantomeno gli prescrive – in sede di riesame – la confutazione, punto per punto, di qualsivoglia argomento difensivo di cui appaia manifesta l’irrilevanza o la pertinenza, restando circoscritto l’obbligo motivazionale alla disamina di specifiche allegazioni difensive oggettivamente contrastanti con gli elementi accusatori: invero, nella nozione di “elementi di favore” rientrano solo i dati di natura oggettiva aventi rilievo concludente, mentre restano escluse le mere posizioni difensive negatorie o le prospettazioni di tesi interpretative alternative, le quali sono assorbite nell’apprezzamento complessivo cui procede il giudice de libertate (cfr., per tutte, Sez. 2, n. 13500 del 13/03/2008, COGNOME, Rv. 239760 – 01, e Sez. 4, n. 34911 del 10/06/2003, Hernandez, Rv. 226289 – 01).
Più in generale, ma sempre nella medesima prospettiva, si è affermato che l’art. 292, comma 2-ter, cod. proc. pen. non impone al giudice del riesame l’indicazione di qualsiasi elemento ritenuto favorevole dal difensore, né la confutazione di qualsivoglia argomento difensivo di cui appaia manifesta l’irrilevanza o la pertinenza, restando circoscritto l’obbligo motivazionale alla disamina di specifiche allegazioni difensive oggettivamente contrastanti con gli elementi accusatori, essendo gli ulteriori elementi assorbiti nella valutazione complessiva del giudice che, rilevati i gravi indizi, applica la misura cautelare (così, tra le tante, Sez. 1, n. 8236 del 16/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275053 – 01, e Sez. 6, n. 3742 del 09/01/2013, COGNOME, Rv. 254216 – 01, la quale ha escluso l’obbligo di motivazione con riguardo alle deduzioni dirette a proporre ricostruzioni alternative della vicenda). Ovvero, che l’obbligo di trasmissione al giudice, unitamente alla richiesta di misura cautelare, oltre che degli elementi posti a base della richiesta, di tutti gli elementi favorevoli all’imputato, ha riguardo soltanto a quegli elementi che hanno un’oggettiva natura favorevole e non anche a quelli che possano apparire favorevoli in forza di argomentazioni o ricostruzioni logiche (vds., in particolare, Sez. 1, n. 57839 del 04/10/2017, Navarria, Rv. 271919 – 01, e Sez. 4, n. 27379 del 22/04/2010, COGNOME, Rv. 247854 – 01).
In linea con queste indicazioni, appare ragionevole concludere che gli «elementi forniti dalla difesa», in ordine ai quali l’ordinanza applicativa di misura cautelare deve motivare a pena di nullità a norma dell’art. 292, comma 2, lett. cbis), cod. proc. pen., sono i soli dati di natura oggettiva aventi rilievo diretto e concludente ai fini della decisione. E, di conseguenza, che, aditi in sede di impugnazione per verificare la sussistenza della nullità di cui all’art. 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen., il Tribunale del riesame e la Corte di cassazione possano valutare se l’omessa valutazione censurata attenga a dati che abbiano tale natura e consistenza.
4.2. Per quanto attiene al secondo quesito, il Collegio ritiene che sia giuridicamente corretto un annullamento parziale dell’ordinanza impositiva di misura cautelare, limitato ai soli reati ai quali si riferiscono gli elementi forniti dal difesa e non valutati dal primo giudice.
In linea generale, è indiscussa la legittimità dell’annullamento dell’ordinanza cautelare solo in relazione ad alcuni dei reati, ossia dei titoli di applicazione della misura, fermi restando gli altri.
In proposito, può essere utile ricordare, tra l’altro, che questa premessa costituisce il presupposto ineliminabile del principio secondo cui, nel caso di provvedimento cautelare adottato per più reati, è ammissibile l’impugnazione limitata ad una sola imputazione, sebbene, proprio per questa ragione, l’eventuale accoglimento del gravame non determina il venir meno della misura disposta con l’ordinanza impugnata (cfr., per tutte, Sez. U, n. 7 del 11/05/1993, R., Rv. 193746 – 01, nonché Sez. 3, n. 16516 del 11/03/2021, NOME COGNOME Rv. 281607 – 01).
Questo principio, inoltre, deve ritenersi applicabile anche nel caso in cui l’ordinanza cautelare sia affetta da vizi formali che attengano solo ad alcune delle imputazioni poste a suo fondamento. Anche in questa ipotesi, infatti, non vi sono ragioni per ritenere inscindibile ciò che tale non è in ragione del concreto sviluppo del procedimento.
Una conferma di questa conclusione è offerta dalla giurisprudenza in relazione al mancato espletamento dell’interrogatorio in caso di rinnovazione della misura cautelare a norma dell’art. 27 cod. proc. pen.
Costituisce, infatti, principio consolidato quello secondo cui, in tema di misure cautelari emesse ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen. in relazione ad una pluralità di reati, l’inefficacia della misura, prevista dall’art. 302 cod. proc. pen., i conseguenza del mancato espletamento dell’interrogatorio per effetto della contestazione di elementi nuovi e diversi rispetto a quelli del precedente titolo cautelare, opera limitatamente ai fatti-reato rispetto ai quali sia stato omesso il predetto adempimento (così, tra le tante, Sez. 6, n. 2057 del 20/12/2017, de
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2018, COGNOME, Rv. 272136 – 01, e Sez. 6, n. 35887 del 02/07/2004, Zainab, Rv. 229962 – 01).
Ed è importante evidenziare che, a fondamento di questo principio, si è espressamente osservato che non è ravvisabile nel sistema il principio dell’unicità ed indissolubilità dell’ordinanza cautelare per cui, se il vizio inerisce solo ad una parte distinta e autonoma della contestazione, il provvedimento perde efficacia nella parte viziata ma rimane valido in quella non inficiata (così, in particolare, Sez. 6, n. 2057 del 2018 cit., e Sez. 3, n. 3512 del 16/10/1996, Tsangeris, Rv. 206285 – 01).
Facendo applicazione dei principi precedentemente indicati nei §§ 4.1 e 4.2, l’ordinanza impugnata risulta immune dai vizi denunciati nel primo motivo di ricorso.
5.1. In primo luogo, posto che gli «elementi forniti dalla difesa», in ordine ai quali l’ordinanza applicativa di misura cautelare deve motivare a pena di nullità a norma dell’art. 292, comma 2, lett. c-bis) cod. proc. pen., sono i soli dati di natura oggettiva aventi rilievo diretto e concludente ai fini della decisione, correttamente l’ordinanza impugnata ha escluso lacune con riguardo a profili diversi da quelli attinenti alle certificazioni rilasciate dal geometra NOME in relazione a singole pratiche precisamente individuate.
Occorre innanzitutto premettere le deduzioni sulle singole pratiche in relazione alle quali la società gestita dall’attuale ricorrente ha rifiutato i crediti imposta, ossia l’elemento specificamente indicato nel ricorso come pretermesso, hanno trovato, come rimarcato dal Tribunale del riesame, una effettiva risposta anche nell’ordinanza genetica emessa dal G.i.p.
L’ordinanza del riesame, infatti, in proposito, rappresenta: «deve osservarsi come il Giudice della Cautela abbia in ogni caso dato esplicitamente atto di ogni singola pratica in cui la società del Cursano aveva rifiutato in tutto o in parte i crediti d’imposta (cfr. pag. 170, 172, 179, 187, 215, 219, 334), espressamente rilevando che “Con riferimento ai crediti d’imposta ‘rifiutati’ dalla società appare significativo evidenziare l’enorme incremento rilevato tra il mese di ottobre 2022 e quello di gennaio 2023 che verosimilmente è riconducibile, a seguito dell’intervento operativo della PG procedente al tentativo di porre rimedio alle condotte fraudolente poste in essere”».
Né può ritenersi che l’ordinanza genetica sul punto sia incorsa in una lacuna solo perché non ha richiamato formalmente la memoria in cui erano enunciate le deduzioni appena riassunte: ciò che conta è che il G.i.p. si sia effettivamente confrontato con gli elementi forniti dalla difesa ed abbia spiegato perché gli stessi,
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a suo avviso, non possano ritenersi idonei ad escludere l’efficacia dimostrativa degli elementi a carico.
Va poi rilevato che i rilievi sulla “buona fede” dell’indagato, fondati sull’avere lo stesso rilasciato fideiussioni a favore della società o garanzie per contratti stipulati con terzi, e sulla “legittimità differita” delle attestazioni, correttamen sono stati qualificati mere argomentazioni difensive, e non «elementi forniti dalla difesa» a norma dell’art. 292, comma 2, lett. c-bis) cod. proc. pen.
Il rilievo concernente l’asserita “buona fede” dell’indagato, derivante dall’avere il medesimo rilasciato fideiussioni a favore della società o garanzie per contratti stipulati con terzi, non costituisce un dato di natura oggettiva avente rilievo diretto e concludente ai fini della decisione, bensì un mero argomento, fondato su circostanze del tutto estranee ai fatti oggetto delle imputazioni. Queste, infatti, attengono alla emissione di fatture per operazioni inesistenti, e alla formazione di falsi certificati rilasciati da persone esercenti un servizio di pubblica necessità, per strumentalizzare le disposizioni agevolative del c.d. “superbonus” previste dall’art. 121 d.l. n. 34 del 2020, in modo da ottenere il riconoscimento di falsi crediti di imposta da cedere poi a terzi. In ogni caso, il ricorso non svolge precise osservazioni in ordine a detto profilo, né specifica in alcun modo quale sarebbe il collegamento tra le fideiussioni e le garanzie rilasciate dall’attuale ricorrente e le pratiche interessate dai reati posti a fondamento dell’ordinanza cautelare (o la loro gestione).
Il rilievo relativo alla “legittimità differita”, secondo cui le condotte dirette conseguire i crediti di imposta sarebbero legittime anche se le attestazioni riguardino lavori in realtà non ancora eseguiti o terminati, ma comunque realizzati o completati in data successiva a quella in cui è rilasciata la relativa certificazione, costituisce un mero argomento in diritto, come evidenziato dal Tribunale. Inoltre, per quanto emerge dall’ordinanza impugnata, e non è in alcun modo contestato nel ricorso, la documentazione funzionale ad attestare che i lavori sarebbero stati comunque completati, sia pure in data successiva a quella della certificazione, è stata prodotta esclusivamente in ordine a quelle pratiche in relazione alle quali il Tribunale ha disposto l’annullamento parziale del provvedimento del G.i.p.
5.2. In secondo luogo, posto che è giuridicamente ammissibile un annullamento parziale dell’ordinanza impositiva di misura cautelare, limitato ai soli reati ai quali si riferiscono gli «elementi forniti dalla difesa» di cui all’art. 2 comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen., e non valutati dal primo giudice, correttamente l’ordinanza impugnata ha ritenuto di confermare il provvedimento applicativo per i reati in ordine ai quali tali elementi non hanno diretta pertinenza.
In proposito, infatti, appare utile segnalare che non è rilevabile, né è stato prospettato, un legame di inscindibilità tra i fatti per i quali è stato disposto ..)
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l’annullamento e i fatti per i quali è stata confermata l’ordinanza genetica, tale da rendere questi ultimi non configurabili, o non perseguibili, in conseguenza della caducazione del titolo nella parte relativa agli altri.
Manifestamente infondate sono le censure formulate nel secondo motivo, che contestano la violazione del principio devolutivo da parte dell’ordinanza impugnata, per avere la stessa colmato una lacuna nella motivazione dell’ordinanza genetica, nonostante l’impugnazione di merito avesse denunciato esclusivamente la nullità di quest’ultima per la violazione di quanto disposto dall’art. 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen.
L’ordinanza impugnata, infatti, ha valutato natura e consistenza degli elementi indicati dalla difesa nel gravame di merito come illegittimamente pretermessi per stabilire se gli stessi fossero qualificabili come «elementi forniti dalla difesa», in ordine ai quali l’ordinanza applicativa di misura cautelare deve motivare a pena di nullità a norma dell’art. 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen., e, quindi, proprio per dare corretta risposta alle deduzioni concernenti la violazione dell’ordinanza genetica.
E, come si è evidenziato in precedenza al § 4.1, risulta corretto ritenere che il Tribunale del riesame e la Corte di cassazione, aditi in sede di impugnazione, possano valutare se l’omessa valutazione censurata attenga a dati che siano da qualificare come «elementi forniti dalla difesa» a norma dell’art. 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen.
Alla complessiva infondatezza delle censure proposte seguono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15/10/2024.