Effetto preclusivo: la Cassazione chiarisce i limiti alla riproposizione delle istanze
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: l’effetto preclusivo. Questa regola impedisce di presentare ripetutamente la stessa richiesta a un giudice se non sono emersi nuovi elementi significativi. L’ordinanza in esame analizza il caso di un ricorso per una misura alternativa alla detenzione, dichiarato inammissibile proprio per la mancanza di novità rispetto a una precedente istanza già rigettata.
I fatti del caso
La vicenda riguarda una persona condannata che ha presentato un ricorso contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Brescia. Quest’ultimo aveva respinto la sua richiesta di una misura alternativa alla detenzione. Il punto cruciale, evidenziato dalla Corte di Cassazione, è che la stessa richiesta era già stata valutata e rigettata in precedenza da un altro Tribunale di Sorveglianza, quello di Lecce.
La decisione del Tribunale di Lecce era motivata da due fattori gravi:
1. La condannata manteneva legami con ambienti della criminalità organizzata.
2. Durante un precedente periodo di sottoposizione a una misura, aveva dimostrato una scarsa propensione a rispettare le prescrizioni imposte.
Nonostante questa precedente decisione, l’interessata ha ripresentato la medesima istanza al Tribunale di Brescia, senza però fornire elementi nuovi che potessero indurre a una valutazione differente.
L’importanza dell’effetto preclusivo nel giudizio di sorveglianza
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile basandosi sull’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale. Sebbene in materia di misure alternative non si formi un ‘giudicato’ in senso stretto (poiché la situazione del condannato può evolvere nel tempo), si applica comunque un effetto preclusivo. Questo significa che una nuova istanza, identica a una precedente già respinta e non impugnata, non può essere riesaminata se è priva di elementi di novità.
L’obiettivo di questa norma è duplice:
* Garantire la stabilità delle decisioni giudiziarie.
* Evitare un uso strumentale del processo, con la continua riproposizione di richieste già valutate e respinte.
Le motivazioni della decisione
La Corte di Cassazione ha motivato la propria decisione evidenziando come il ricorso non si confrontasse minimamente con le ragioni del provvedimento impugnato. La ricorrente non ha contestato il fatto che la sua istanza fosse una mera duplicazione della precedente, né ha fornito elementi nuovi per superare le criticità già emerse, come i suoi legami con contesti criminali.
La mancanza di novità è l’elemento chiave che ha portato all’inammissibilità. Il giudice non può essere chiamato a rivalutare all’infinito la stessa situazione fattuale e giuridica. Per ottenere una nuova valutazione, è indispensabile che il richiedente dimostri un cambiamento concreto delle circostanze (ad esempio, la rescissione dei legami con ambienti criminali, un percorso di reinserimento sociale comprovato, etc.).
Di conseguenza, conformemente all’art. 616 c.p.p., la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende, data la manifesta infondatezza del suo ricorso.
Le conclusioni
Questa ordinanza è un monito importante: nel presentare istanze alla magistratura di sorveglianza, specialmente dopo un primo rigetto, è essenziale basare la nuova richiesta su elementi concreti e diversi rispetto al passato. L’effetto preclusivo serve a garantire l’efficienza del sistema giudiziario, impedendo che i tribunali vengano sovraccaricati da richieste ripetitive e prive di fondamento. Per i condannati e i loro difensori, ciò significa che ogni nuova istanza deve essere supportata da prove tangibili di un’evoluzione positiva del percorso personale e di un effettivo distacco dai contesti che hanno portato alla condanna.
È possibile presentare più volte la stessa richiesta di misura alternativa alla detenzione?
Sì, ma solo a condizione che la nuova istanza si basi su elementi di novità concreti e significativi rispetto a quella precedente che è stata rigettata. In assenza di nuovi fatti, opera l’effetto preclusivo che ne impedisce un nuovo esame.
Cosa significa ‘effetto preclusivo’ nel procedimento di sorveglianza?
Significa che, ai sensi dell’art. 666, comma 2, del codice di procedura penale, un giudice non può riesaminare una richiesta su cui si è già espresso con una decisione divenuta definitiva, se questa viene ripresentata senza nuovi e rilevanti elementi di fatto o di diritto.
Perché il ricorso in questo caso specifico è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non contestava il punto centrale della decisione precedente, ovvero il fatto che l’istanza fosse una semplice ripetizione di una richiesta già respinta. La precedente bocciatura era motivata dai persistenti legami della condannata con la criminalità organizzata e dalla sua scarsa adesione alle regole, elementi che non sono stati smentiti da nuove prove.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43244 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43244 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME , a SCORRANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 14/05/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di BRESCIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Giova in diritto evidenziare che, pur non potendosi parlare di formazione del giudicato in materia di istanze di applicazione di misure alternative alla detenzione, trattandosi di decisioni formulate allo stato degli atti, tuttavia, nella relativa procedura si realizza l’effetto preclusivo, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen. applicabile al procedimento di sorveglianza ex art. 678 stesso codice, allorché una nuova istanza dell’interessato, priva di elementi di novità rispetto ad altra in precedenza valutata dal competente giudice di sorveglianza e divenuta non revocabile per mancanza di apposita impugnazione, viene ripresentata (Sez. 1, n. 636 del 01/02/1993, dep. 1994, Chianetta, Rv. 196861).
Nel caso di specie, il ricorso non si confronta con il provvedimento impugnato, nella parte in cui il Tribunale di sorveglianza ha evidenziato che, in precedente, il Tribunale di sorveglianza di Lecce, con l’ordinanza del 26 ottobre 2023, aveva già rigettato medesima istanza, dopo aver evidenziato che la condannata manteneva legami con contesti di criminalità organizzata.
Era emerso, inoltre, che la stessa, nel periodo di sottoposizione alla misura, aveva manifestato scarsa propensione al rispetto delle prescrizioni imposte.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/10/2024