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Effetto drogante: quando la droga non è reato?

Un uomo, accusato di aver ceduto una dose minima di hashish in carcere, era stato assolto dalla Corte d’Appello per presunta assenza di ‘effetto drogante’. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26278/2024, ha annullato tale decisione, stabilendo che la valutazione sull’efficacia psicotropa di una sostanza non può essere arbitraria o basata su soglie generiche. Deve invece fondarsi su prove scientifiche oggettive, poiché si tratta di un accertamento tecnico che esula dalle competenze ordinarie del giudice. Il caso è stato rinviato per un nuovo processo.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Effetto Drogante: Quando la Cessione di Stupefacenti Non è Reato? L’Analisi della Cassazione

La cessione di sostanze stupefacenti, anche in minima quantità, integra quasi sempre un reato. Tuttavia, la giurisprudenza ha da tempo chiarito che, affinché la condotta sia penalmente rilevante, la sostanza deve possedere un concreto effetto drogante. Ma come si determina tale effetto? Può un giudice stabilirlo autonomamente? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26278 del 2024, offre un’importante precisazione, annullando un’assoluzione basata su una valutazione considerata arbitraria.

Il Fatto: Cessione di Hashish in Carcere

Il caso trae origine dalla contestazione, mossa a un detenuto, di aver ceduto a un altro compagno di cella una piccola quantità di hashish, pari a 0,053 grammi. La sostanza conteneva un principio attivo (THC) di 4,2 milligrammi, da cui si potevano ricavare 0,17 dosi medie singole.

In primo grado, l’imputato era stato condannato. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, assolvendolo con la formula “perché il fatto non sussiste”. La motivazione si basava sulla convinzione che una quantità così esigua di principio attivo fosse priva di qualsiasi efficacia drogante. Per giungere a questa conclusione, la Corte territoriale aveva fatto riferimento a una presunta soglia scientifica dello 0,5% di THC, al di sotto della quale la sostanza sarebbe inidonea a produrre effetti psicotropi.

Il Ricorso del Procuratore e il Ruolo dell’Effetto Drogante

Il Procuratore Generale ha impugnato la sentenza di assoluzione dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando un’errata applicazione della legge e un travisamento delle prove scientifiche. Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello aveva fondato la sua decisione su un’errata interpretazione di dati scientifici.

Il Procuratore ha sottolineato che la soglia del 5 mg di THC (corrispondente allo 0,5% su un grammo) citata dalla Corte era un mero esempio tratto da un trattato di tossicologia, relativo a una sigaretta contenente un grammo di canapa, e non una soglia di rilevanza penale universale. Applicarla a una quantità di hashish di soli 0,053 grammi era stato un errore metodologico che aveva portato a una conclusione giuridicamente scorretta. L’accusa sosteneva, inoltre, che il giudice avesse introdotto concetti complessi come “biodisponibilità” e “psicoattività” senza il supporto di alcuna indagine tecnica, compiendo di fatto una valutazione scientifica che non gli competeva.

La Decisione della Cassazione: No a Valutazioni Arbitrarie sull’Effetto Drogante

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Procuratore, annullando la sentenza di assoluzione e rinviando il caso per un nuovo giudizio.

Irrilevanza della Sentenza “Cannabis Light”

In primo luogo, la Suprema Corte ha chiarito che il richiamo alla famosa sentenza “Castignani” (Sez. U, n. 30475/2019) sulla cosiddetta “cannabis light” era del tutto inconferente. Quella decisione riguardava i derivati della coltivazione di canapa a basso contenuto di THC, una fattispecie completamente diversa dalla cessione di hashish, una sostanza tabellare a tutti gli effetti.

Il Principio di Offensività e la Necessità della Prova Scientifica

Il cuore della decisione risiede nell’applicazione del principio di offensività. È vero, affermano i giudici, che per esserci reato la sostanza deve avere un’efficacia drogante concreta. Una sostanza che ne sia priva non lede il bene giuridico della salute pubblica tutelato dalla norma.

Tuttavia, la valutazione di tale efficacia è una questione prettamente tecnica e scientifica. Un giudice non può stabilire in modo autonomo e arbitrario quale sia la soglia di principio attivo necessaria per produrre un effetto stupefacente. Il “prudente apprezzamento” del giudice non può trasformarsi in un arbitrium merum, ovvero una decisione basata sul puro arbitrio.

Quando l’accertamento dei fatti richiede competenze specifiche che esulano dalle conoscenze ordinarie, il giudice deve necessariamente affidarsi al contributo del sapere scientifico, attraverso perizie, consulenze o altri mezzi di prova tecnici.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione perché il giudice di secondo grado ha compiuto un’indebita invasione nel campo della scienza. La determinazione dell'”effetto drogante” di una sostanza, specialmente quando si tratta di quantità minime, non può basarsi su generalizzazioni o sull’applicazione decontestualizzata di dati scientifici. La Corte d’Appello ha errato nel trasformare un esempio tratto da un manuale in una regola giuridica universale, senza disporre di una perizia tecnica che attestasse, nel caso concreto, l’effettiva inidoneità della sostanza a produrre effetti psicotropi.

le conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio fondamentale: il confine tra la valutazione giuridica, che spetta al giudice, e l’accertamento tecnico-scientifico, che richiede l’intervento di esperti. Per la difesa, ciò significa che sostenere l’assenza di efficacia drogante di una sostanza richiede prove concrete e scientificamente fondate, non potendosi affidare a una valutazione discrezionale del giudice. Per l’ordinamento, si tratta di una garanzia di oggettività e rigore nell’accertamento di reati complessi, dove la scienza gioca un ruolo determinante per stabilire la rilevanza penale di una condotta.

La cessione di una quantità minima di droga è sempre reato?
Non necessariamente. Secondo il principio di offensività, la condotta è reato solo se la sostanza ceduta ha un concreto “effetto drogante”, cioè la capacità di alterare lo stato psicofisico dell’assuntore. Se tale effetto è assente, il fatto non costituisce reato.

Come si stabilisce se una sostanza ha un “effetto drogante” sufficiente per essere penalmente rilevante?
La sentenza chiarisce che questa valutazione non può essere fatta dal giudice in modo autonomo o arbitrario. Essendo una questione tecnica e scientifica, deve basarsi sul contributo del sapere scientifico, ad esempio attraverso perizie o consulenze tecniche, e non su soglie presunte o estrapolate da contesti diversi.

Qual è la conseguenza della decisione della Cassazione in questo caso?
La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione e ha rinviato il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio. Il nuovo giudice dovrà rivalutare la questione dell’efficacia drogante della sostanza, ma questa volta senza fare valutazioni arbitrarie e affidandosi a criteri scientifici oggettivi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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