Sentenza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7978 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 7 Num. 7978 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CATANIA il 04/02/1982
avverso la sentenza del 25/06/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Catania ha confermato la condanna per COGNOME Salvatore in ordine al delitto di furto in abitazione, ritenendo la sussistenza della circostanza aggravante della violenza sulle cose, procedendo, però, ad una riduzione della pena inflitta;
Avverso la sentenza ricorre l’imputato, tramite il difensore, proponendo un motivo con il quale deduce che la Corte di appello, violando il divieto di reformatio in peius, avrebbe riconosciuto la sussistenza di una aggravante non ritenuta dal giudice di primo grado, così non rilevando l’intervenuto decorso del termine di prescrizione del reato (commesso il 31 dicembre 2012);
3. Il motivo è fondato.
L’eccezione sollevata dal ricorrente – che denuncia la violazione del divieto di reformatio in peius richiede un meditato approccio ermeneutico all’istituto disciplinato dagli artt. 597, commi 3 e 4, cod. proc. pen.
3.1. Anzitutto occorre chiarire che, sotto la rubrica “cognizione del giudice di appello”, l’art. 597 si occupa, in realtà, vuoi del potere cognitivo del giudice di secondo grado (richiamato in rubrica) vuoi di quello decisorio.
Al potere di cognizione sono dedicati:
il comma 1, che sancisce il principio (parzialmente) devolutivo dell’appello («L’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti»);
il comma 5, che prevede deroghe, di natura eccezionale (cfr. Sez. U, n. 12872 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. 269125), a tale principio («Con la sentenza possono essere applicate anche di ufficio la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e una o più circostanze attenuanti; può essere altresì effettuato, quando occorre, il giudizio di comparazione a norma dell’articolo 69 del codice penale»), cui si aggiungono i numerosi casi di intervento di ufficio disciplinati dal codice di rito (tra cui, ad esempio, le questioni processuali rilevabili di ufficio di giurisdizione, competenza per materia, nullità, inutilizzabilità; la dichiarazione immediata di cause di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen., cfr. sul punto ampiamente Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno).
Il potere decisorio è regolato dai commi 2, 3 e 4 dell’art. 597 codice di rito:
l’appello del Pubblico Ministero attribuisce al giudice ad quem gli ampi poteri delineati nel comma 2 cod. proc. pen.;
a norma del comma 3, invece, ove il gravame sia proposto solo dall’imputato, opera il divieto di reformatio in peius. In tal caso, infatti, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, né applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato con formula meno favorevole e revocare benefici, mentre può, in ossequio al tradizionale canone iura novit curia, dare al fatto una qualificazione giuridica diversa e più grave, purché non siano superati i limiti di competenza per materia del giudice di primo grado;
il comma 4 stabilisce che se viene accolto l’appello dell’imputato, relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati dalla continuazione, la pena complessiva irrogata deve essere “corrispondentemente” diminuita.
L’art. 597 cod. proc. pen. traccia, dunque, i confini dei poteri cognitivi del giudice dell’impugnazione e, entro detti limiti, ne sagoma i poteri decisori.
Le Sezioni Unite, in più occasioni, hanno avuto modo di ribadire che l’individuazione della cognizione del giudice di appello nell’ambito dei motivi proposti restringe il contenuto della decisione all’accoglimento o alla reiezione di tali motivi, non consentendo di operare su punti diversi da quelli toccati dall’impugnazione (Sez. U, n. 33752 del 18/04/2013, Papola; Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, Morales); ciò impone che, anche in materia di trattamento sanzionatorio, la cognizione del giudice di appello si eserciti unicamente sui punti relativi alle componenti di tale trattamento a cui si riferiscono specificamente i motivi di impugnazione proposti (Sez. U, n. 7578 del 17/12/2020, COGNOME, in motivazione).
Il chiarimento offre un valido strumento per distinguere a monte, facilitandone la risoluzione, le questioni attinenti ai limiti cognitivi da quelle afferenti ai limi decisori.
3.2. Nel caso in rassegna viene in rilievo non il divieto di reformatio in peius, ma il principio devolutivo.
Come osserva il ricorrente, seppure con un erroneo richiamo al non pertinente principio del divieto di reformatio in peius, il giudice di primo grado non ha riconosciuto la circostanza aggravante della violenza sulle cose, perché non solo non ne fa menzione nel corpo della decisione, ma neppure la valuta nella determinazione della pena (cfr. pag. 3 sentenza di primo grado, che riconosce le circostanze attenuanti generiche senza neppure menzionare l’eventuale bilanciamento con l’aggravante in rassegna).
In difetto di impugnazione del pubblico ministero, la Corte di appello non avrebbe potuto applicare, come invece ha fatto, l’aggravante esclusa dal Tribunale, perché il punto era estraneo alla devoluzione conseguente alla impugnazione del solo imputato.
3.3. Deriva che il termine massimo di prescrizione del reato (tenuto conto della cornice edittale vigente all’epoca del fatto) è pari ad anni sette e mesi sei di reclusione e che, in assenza di sospensioni, lo stesso è spirato il 30 giugno 2020, in data anteriore alla pronuncia della sentenza impugnata.
Pertanto, in assenza di elementi che possano condurre a una pronuncia ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., esclusa l’aggravante della violenza sulle cose, va rilevata l’estinzione del reato per prescrizione.
P.Q.M.
Esclusa l’aggavante, annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione. Così deciso il 29/01/2025