Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 20889 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 20889 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato ad Andria il 20/08/1996
avverso l’ordinanza dello 03/02/2025 del Tribunale di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso .
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Bari – adito in sede di riesame ex art. 309 cod. proc. pen. – confermava la misura della custodia cautelare in carcere disposta ai sensi dell’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani il 15 gennaio 2025 nei confronti di NOME COGNOME per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e di lesioni personali, di cui alla provvisoria contestazione.
NOME COGNOME ha presentato ricorso, per il tramite del difensore di fiducia, deducendo il vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 309 , comma 10, cod. proc. pen. per avere i Giudici del merito disposto nuovamente la misura custodiale, senza tuttavia motivare in ordine alla sussistenza delle «eccezionali esigenze cautelari» alla cui verifica la norma in oggetto condiziona il ripristino della misura cautelare, divenuta inefficace per vizi formali o di procedura.
Il Giudice di merito avrebbe semplicemente richiamato le esigenze cautelari poste a fondamento dell’ordinanza genetica dichiarata inefficace , senza indicare elementi, fatti e circostanze nuove e/o sopravvenute tali da giustificare un nuovo provvedimento restrittivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché manifestamente infondato.
L’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. – modificato dall’art. 11, comma 5 della legge 16 aprile 2015, n. 47 – prevede la perdita di efficacia dell’ordinanza coercitiva per effetto della mancata trasmissione degli atti nel rispetto dei termini di cui al comma 5 dell’art. 309, ovvero se la decisione sulla richiesta e il deposito dell’ordinanza in cancelleria non intervengono nei termini prescritti. Nondimeno, al fine di evitare di creare una sostanziale area di impunità cautelare, è previsto che, in presenza di «eccezionali esigenze cautelari» specificamente motivate, possa farsi luogo alla rinnovazione dell’ordinanza che dispone la misura coercitiva .
2.1. Questa Corte, con argomentazioni che il Collegio condivide, ha precisato che le eccezionali esigenze cautelari -cui la norma subordina la rinnovazione della misura cautelare – non richiedono necessariamente l’accertamento di un quid pluris rispetto alle esigenze che fondavano la misura perenta né elementi nuovi sopravvenuti (Sez. 2, n. 51098 del 04/11/2016, COGNOME, Rv. 268346; Sez. 6, n. 531124 del 11/06/2017, Rv. 271653). Ed infatti, si è precisato che tali qualificate esigenze cautelari si distinguono da quelle ordinarie solo per il grado di pericolo, che deve superare la concretezza e l’attualità richiesta dall’art. 274 cod. proc. pen. per raggiungere la soglia della sostanziale certezza che l’indagato, ove non sottoposto a misure coercitive, continui nella commissione di delitti della specie di quello per cui si procede ( ex multis , Sez. 2, n. 16187 del 01/02/2017, COGNOME, Rv. 270265).
2.2. Tale principio di diritto è stato rispettato dal Tribunale che – nel ripercorrere le argomentazioni già svolte dal Giudice per le indagini preliminari nella primigenia ordinanza -con percorso argomentativo sorretto da motivazione logica e priva di incongruenze – ha chiarito in modo inoppugnabile come il pericolo
di recidivanza fosse concreto ed attuale, prossimo alla ‘certezza’, ad onta delle gravi modalità del fatto e del profilo personologico del COGNOME. Si è infatti stigmatizzato il sistematico coinvolgimento del COGNOME in attività delittuose, anche della stessa natura ed indole di quelle sub iudice, sintomatiche di una «abitualità non comune» nella perpetrazione di reati «con rilevante componente violenta ed aggressiva» (cfr. ordinanza pagg. 9 e ss).
2.3. Non intacca la solidità di tale iter argomentativo la censura del ricorrente, che, nell’evocare la assoluta necessità di un quid novi, si limita a richiamare una esegesi della norma non più attuale e da tempo superata dalla Corte di cassazione.
Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n 186 del 13 giugno 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 13/05/2025