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Dovere di verifica giornalista: la guida della Cassazione

La Corte di Cassazione conferma la condanna per diffamazione a carico di una giornalista e del direttore responsabile di un quotidiano per aver pubblicato la notizia di una interdittiva antimafia nei confronti di un imprenditore, omettendo di verificare che il provvedimento era già stato revocato dalla stessa autorità che lo aveva emesso. La sentenza sottolinea l’inderogabile dovere di verifica del giornalista, che non può essere escluso neanche da una successiva rettifica.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Dovere di verifica del giornalista: notizia vecchia non fa buon brodo

Il dovere di verifica del giornalista è un pilastro fondamentale dell’informazione e un presupposto imprescindibile per il corretto esercizio del diritto di cronaca. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 26154/2024) ribadisce con forza questo principio, confermando la condanna per diffamazione a carico di una giornalista e del suo direttore responsabile per aver pubblicato una notizia gravemente lesiva della reputazione di un imprenditore, senza aver controllato che tale notizia fosse ormai superata dai fatti. Il caso offre spunti cruciali sulla responsabilità che incombe su chi informa, specialmente quando si maneggiano informazioni delicate provenienti da procedimenti amministrativi o giudiziari.

I fatti di causa

Un quotidiano pubblicava un articolo in cui si dava notizia di un’interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura a carico di un noto imprenditore locale. L’articolo, pur menzionando che il provvedimento era stato sospeso dal Tribunale Amministrativo Regionale (TAR), ometteva un dettaglio decisivo: ben 18 giorni prima della pubblicazione, la stessa Prefettura aveva revocato in autotutela l’interdittiva. La notizia, quindi, pur partendo da un fatto originariamente vero (l’emissione del provvedimento), risultava non più attuale e, di conseguenza, falsa nella sua rappresentazione complessiva al momento della pubblicazione, gettando un’ombra infamante sull’imprenditore.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso degli imputati, confermando la condanna per diffamazione. I giudici hanno stabilito che né la giornalista né il direttore responsabile avevano adempiuto al loro obbligo di controllo prima di dare alle stampe una notizia così dannosa. La difesa, basata sulla presunta consultazione del sito della Prefettura senza trovare traccia della revoca, è stata ritenuta insufficiente e non provata. Inoltre, la successiva pubblicazione di una smentita è stata considerata irrilevante ai fini dell’esclusione del reato.

Le motivazioni

Il dovere di verifica del giornalista come principio cardine

La Corte ha ribadito un principio già consolidato: chi riporta una notizia tratta da un procedimento penale, civile o amministrativo ha il dovere di verificarne gli esiti e gli sviluppi. Questo obbligo non si ferma alla consultazione iniziale degli atti, ma impone un controllo diligente e aggiornato per accertare se i fatti si siano evoluti o se la notizia si sia rivelata, nel tempo, priva di fondamento. Pubblicare la notizia di una misura restrittiva senza menzionare la sua successiva revoca costituisce una violazione di questo dovere e, di conseguenza, priva il giornalista della scriminante del diritto di cronaca.

L’onere della prova e la consultazione delle fonti

Gli imputati sostenevano di aver agito in buona fede, avendo consultato il sito web della Prefettura senza trovare menzione della revoca. La Cassazione ha respinto questa argomentazione, qualificandola come una mera affermazione difensiva priva di riscontri. Non è sufficiente affermare di aver controllato una fonte; è necessario, se contestato, fornire prova di tale diligenza. Inoltre, i giudici hanno ritenuto illogico che un’amministrazione conservi traccia di un provvedimento emesso e non della sua successiva revoca, suggerendo che un controllo più approfondito sarebbe stato necessario e doveroso.

L’irrilevanza della smentita successiva

Un punto cruciale della sentenza riguarda l’inefficacia della rettifica pubblicata in un secondo momento. Il delitto di diffamazione è un reato istantaneo, che si consuma nel momento esatto in cui la notizia lesiva viene pubblicata e resa accessibile a terzi. La successiva smentita, per quanto opportuna e doverosa, agisce su un piano diverso: è un post factum, un evento che avviene dopo che il reato è stato perfezionato. Pertanto, non può cancellare il reato già commesso. Può, al massimo, incidere sulla determinazione della pena, ma non esclude la responsabilità penale.

Le conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un monito severo per il mondo dell’informazione. Il dovere di verifica del giornalista non ammette scorciatoie o superficialità, soprattutto quando la reputazione delle persone è in gioco. Prima di pubblicare una notizia, specialmente se derivante da contesti giudiziari o amministrativi, è obbligatorio accertarsi della sua attualità e completezza. Affidarsi a controlli sommari o non documentabili espone a gravi responsabilità, sia penali che civili. La fretta di ‘dare la notizia’ non può mai prevalere sul dovere di dare una ‘notizia vera’.

Un giornalista è sempre tenuto a verificare gli sviluppi di un procedimento prima di pubblicare una notizia che ne deriva?
Sì. La Corte di Cassazione afferma che il giornalista che riporta una notizia tratta da un procedimento (penale, civile o amministrativo) ha il dovere di verificarne gli esiti giudiziali e gli sviluppi per accertare se la notizia sia ancora fondata e attuale.

La pubblicazione di una smentita o di una rettifica può eliminare il reato di diffamazione?
No. Secondo la sentenza, la diffamazione è un reato istantaneo che si consuma con la pubblicazione. La smentita successiva è un ‘post factum’ e, pur essendo doverosa, non esclude la responsabilità penale per il reato già commesso, potendo al massimo influire sulla quantificazione della pena.

È sufficiente per un giornalista affermare di aver controllato una fonte ufficiale per essere giustificato in caso di errore?
No, non è sufficiente. La Corte ha ritenuto che la mera affermazione di aver consultato il sito della Prefettura fosse un’argomentazione difensiva priva di riscontro. La prova della diligenza nel controllo delle fonti, soprattutto quando contestata, incombe su chi invoca il diritto di cronaca.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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