Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26154 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26154 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 30/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME NOME a REGGIO CALABRIA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME a CATANZARO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/04/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME AVV_NOTAIO che ha chiesto il rigetto del ricorso lette le memorie del difensore della parte civile e del difensore dei ricorrenti, AVV_NOTAIO, che hanno, rispettivamente, chiesto il rigetto del ricorso e l’accoglimento del medesimo.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12 aprile 2023, la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Cosenza, concedeva a NOME COGNOME e a NOME COGNOME i doppi benefici di legge, confermando la loro condanna ad euro 300,00 di multa per il delitto di diffamazione dai medesimi consumato ai danni di NOME COGNOME per avere pubblicato su “Il Quotidiano” del 20 maggio 2018, di cui COGNOME era direttore responsabile, un articolo a fiwma della COGNOME in cui si affermava (come riportato in imputazione) che “la Prefettura di Padova ha emesso una interdittiva antimafia che silura l’astro dell’abbigliamento cittadino NOME COGNOME ha trapuntato il INDIRIZZO di negozi”, aggiungendo che il predetto “annovererebbe tra i propri soci che puzzano di ‘ndrangheta in un’altra società .. NOME COGNOME già interessato da diversi procedimenti penali per associazione di tipo mafioso”.
1.1. La Corte territoriale, in risposta ai dedotti motivi di appello, osservava quanto segue.
Nell’articolo in questione non si era tenuto conto del fatto che l’interdittiva antimafia di cui si era data notizia, prima della sua pubblicazione del 20 maggio 2018, non era stata solo sospesa dal TAR, 1’8 marzo 2018 (come si era ricordato nello stesso articolo) ma era stata revocata dallo stesso Prefetto, in autotutela, il 2 maggio 2018.
Se ne doveva dedurre che la COGNOME, e di conseguenza il direttore COGNOME, non avevano operato i necessari controlli prima della pubblicazione della notizia dell’interdittiva mafiosa certamente lesiva, questa, della onorabilità e della reputazione del COGNOME.
Né la pubblicazione della successiva smentita poteva concretare la scrinninate del diritto di cronaca ponendosi come un post factum rispetto alla già consumata diffamazione.
6″) T-9 2. Propon% ricorso gli imputati, con unico atto ed a mezzo del comune / difensore AVV_NOTAIO, articolando le proprie censure in tre motivi.
2.1. Con il primo ed il secondo deducono la violazione di legge per non essere stata riconosciuta la causa di giustificazione del diritto di cronaca, almeno nella forma putativa, e per essere stato ritenuto l’elemento soggettivo del reato, in capo alla RAGIONE_SOCIALE.
Nell’articolo si era precisato che l’interdittiva era stata impugnata davanti al Tar che l’aveva sospesa.
Non si era, invece, venuti a conoscenza della revoca poiché questa era stata emessa dalla Prefettura in autotutela. Un provvedimento che non era emerso dalla consultazione fatta dalla COGNOME del sito della Prefettura.
L’articolista, di contro, si era tenuta sempre aggiornata sugli sviluppi del procedimento amministrativo che risultava ancora pendente.
Il 6 giugno 2018 si era poi pubblicato un articolo di rettifica con lo stesso rilievo grafico del precedente.
2.2. Con il terzo motivo lamenta la violazione di legge in relazione alla ritenuta responsabilità del direttore responsabile del periodico richiamando le ragioni già argomentate nei precedenti motivi, ancor più persuasive in ordine a tale posizione.
Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto NOME COGNOME, ha inviato requisitoria scritta con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il difensore del ricorrente ha inviato memoria con la quale insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
Il difensore della parte civile ha inviato conclusioni con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso e la liquidazione delle spese anche del presente grado di giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che, in tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini del corretto esercizio del diritto di cronaca, il giornalista che riporti una notizia tratta da un procedimento penale è tenuto a verificarne gli esiti giudiziali, onde accertare se la stessa si sia poi rivelata priva di fondamento, tanto da comportare l’assoluzione dell’accusato (Sez. 5, n. 21703 del 05/05/2021, Vrenna, Rv. 281211).
Un principio di diritto che appare attagliarsi perfettamente anche alle notizie tratte da un procedimento amministrativo, come quello in oggetto, dovendosi considerare il medesimo di portata generale, imponendo al giornalista il diligente controllo degli sviluppi del procedimento – penale, di prevenzione, civile o amministrativo – da cui abbia tratto la notizia altrimenti lesiva della reputazione del soggetto a cui si riferisce.
Una notizia, quella pubblicata nell’articolo incrimiNOME, che aveva sicura portata diffamatoria, posto che rendeva nota al pubblico una misura amministrativa, a carico del COGNOME, per i suoi supposti legami o prossimità con un contesto di criminalità organizzata.
In applicazione di tale criterio di giudizio doveva allora verificarsi se l’articolista, e di conseguenza il direttore responsabile, aveva adeguatamente seguito il procedimento amministrativo relativo alla interdittiva antimafia del RAGIONE_SOCIALE.
Verifica che dava esito negativo posto che si era potuto accertare che, ben prima della pubblicazione del pezzo giornalistico – il 2 maggio rispetto al 20 maggio 2018 – l’interdittiva antimafia era stata revocata dalla stessa Prefettura che l’aveva emessa.
Travolgendo così le ragioni stesse della pubblicazione dell’articolo a firma della COGNOME, la prossimità della COGNOME a contesti mafiosi.
L’ulteriore affermazione della difesa degli imputati poi – l’avere la COGNOME consultato il sito della Prefettura senza trovarvi notizie della revoca – è priva di ogni riscontro, poiché, invero, di tale controllo non vi è traccia alcuna (non vi è alcun documento che confermi la detta consultazione né sono stati offerti altri elementi di prova al riguardo ad eccezione delle mere affermazioni difensive).
Del resto, appare illogico ritenere che la Prefettura interessata conservi traccia di una misura interdittiva emessa e non della sua successiva revoca.
Non è, in conclusione, consentito affidare la prova della scriminante del diritto di cronaca alla mera affermazione degli imputati, soprattutto quando la versione offerta non appare dotata di particolare attendibilità.
Così che non può neppure riconoscersi l’invocata causa di giustificazione nella sua forma putativa in assenza della prova che il sito della Prefettura possa aver tratto in inganno la COGNOME.
Né diversamente può concludersi per la concorrente responsabilità del direttore del quotidiano.
Irrilevante è poi la successiva smentita, pur pubblicata sul medesimo quotidiano in forma adeguata, considerando come la stessa si ponga come un post factum rispetto alla consumazione, istantanea, al momento della pubblicazione dell’articolo, del delitto di diffamazione
Una data che, pertanto, può incidere sul solo trattamento sanzioNOMErio (non oggetto di ricorso).
Al rigetto dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel grado, nella misura, ritenuta equa, di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. condanna, inoltre, i ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 3.500,00, oltre accessori di,legsge.