Domicilio idoneo: la Cassazione conferma il requisito essenziale per le misure alternative
L’accesso alle misure alternative alla detenzione è un pilastro del sistema penale moderno, finalizzato al recupero e al reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la loro concessione è subordinata a precisi requisiti. Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: senza un domicilio idoneo, la richiesta di tali benefici è destinata a fallire. Questa pronuncia chiarisce che la disponibilità di una residenza stabile non è una mera formalità, ma una condizione sostanziale per l’attivazione di quel percorso di supporto e controllo che è l’essenza stessa della misura alternativa.
I fatti del caso
Una persona condannata si vedeva respingere dal Tribunale di Sorveglianza la richiesta di accedere a misure alternative alla detenzione. La ragione del diniego era chiara e univoca: la mancanza di un domicilio idoneo dove poter scontare la pena. Non rassegnandosi a tale decisione, la persona proponeva ricorso per Cassazione, cercando di ottenere una riforma del provvedimento.
La decisione della Corte e l’importanza del domicilio idoneo
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile in quanto manifestamente infondato. La decisione si basa su una constatazione semplice ma perentoria: la ricorrente non ha contestato nel merito l’argomento centrale posto a fondamento del rigetto, ovvero l’assenza di un luogo di stabile residenza. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per ribadire perché questo requisito sia imprescindibile.
L’impossibilità di controllo e supporto
Il fulcro del ragionamento della Corte risiede nella funzione stessa delle misure alternative. Queste non sono un semplice ‘sconto di pena’, ma un programma trattamentale che richiede un contatto diretto e costante tra il condannato, il servizio sociale e il Magistrato di Sorveglianza. La mancanza di una residenza stabile rende di fatto impossibile questo rapporto. Senza un domicilio idoneo, il servizio sociale non può svolgere i suoi compiti istituzionali, che consistono, come previsto dall’art. 47 dell’ordinamento penitenziario, nel controllare la condotta del soggetto e nell’aiutarlo a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale.
Le motivazioni
Le motivazioni della Corte sono ancorate alla logica e alla legge. Viene evidenziato come l’assenza di un punto di riferimento territoriale stabile vanifichi l’intero impianto delle misure alternative. Il beneficio, infatti, postula un contatto diretto tra la persona fisica dell’interessato e gli operatori dei servizi sociali. È attraverso questo contatto che si attua il programma di reinserimento e si verificano i progressi del condannato. Senza un luogo definito, questo meccanismo di sorveglianza e sostegno non può operare efficacemente. Pertanto, il ricorso che non affronta e non supera questa obiezione fondamentale è privo di fondamento giuridico e non può essere accolto.
Le conclusioni
In conclusione, l’ordinanza della Cassazione riafferma con forza che il domicilio idoneo è un presupposto non negoziabile per l’ammissione alle misure alternative alla detenzione. La decisione serve da monito per chiunque intenda accedere a tali benefici: è necessario dimostrare di avere una base logistica stabile e verificabile, che consenta alle istituzioni di svolgere il proprio ruolo di controllo e supporto. In assenza di tale requisito, qualsiasi istanza è destinata all’inammissibilità, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
È possibile ottenere misure alternative alla detenzione senza avere una residenza stabile?
No, secondo questa ordinanza, la mancanza di un domicilio idoneo e di una stabile residenza è un motivo per dichiarare inammissibile la richiesta, in quanto impedisce il necessario controllo e supporto da parte dei servizi sociali e del Magistrato di Sorveglianza.
Perché il domicilio idoneo è così importante per le misure alternative?
È fondamentale perché permette un contatto diretto e costante tra la persona interessata e i servizi sociali, i quali hanno il compito legale di controllare la condotta del soggetto e di aiutarlo nel suo percorso di reinserimento sociale.
Cosa succede se si presenta un ricorso in Cassazione senza affrontare il punto centrale della decisione impugnata?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza. In questo caso, la ricorrente è stata anche condannata al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23711 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23711 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME natcl il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 13/02/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso di NOME COGNOME ed il provvedimento impugnato.
Ritenuto che l’unico motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto manifestamente infondato dato che la ricorrente non si confronta con l’argomento posto a fondamento del rigetto delle sue istanze di misure alternative alla detezione, vale a dire la mancanza di un domicilio idoneo dove eseguire detti benefici;
Considerato, infatti, che la mancanza di una stabile residenza non consente il necessario supporto ed il costante controllo del servizio sociale e del Magistrato di sorveglianza del luogo, competente ad adeguare le prescrizioni alle concrete esigenze trattamentali, postulando detto beneficio un contatto diretto fra la persona fisic dell’interessato ed il servizio sociale cui, per legge, ai sensi dell’art. 47, comma non ord. pen., compete di controllare la condotta del soggetto e di aiutarlo a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale (Sez. 1, n.27347 del 17/05/2019, dep. 2020, Rv. 276198 – 01; Sez. 1, n. 4023 del 14/10/1992, Rv. 192363);
Ritenuto che il ricorso deve essere, per tali ragioni, dichiarato inammissibile e che la ricorrente deve essere condannata, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nella presentazione del ricorso (Corte cost., sent. n. 186 del 2000);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 6 giugno 2024.