Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29502 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29502 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nata a Napoli il 9 maggio 1985;
avverso la sentenza n. 7385 della Corte di appello di Napoli del 17 giugno 2024;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
PUBBLICA UDIENZA del
21 marzo 2025
SENTENZA N. 513
REGISTRO GENERALE n. 40239 del 2024
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza pronunziata in data 17 giugno 2024 la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza con la quale, il precedente 21 dicembre 2022 il Tribunale di Napoli, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito ordinario, aveva dichiarato la penale responsabilità di COGNOME NOME in ordine al reato di cui all’art. 8 del dlgs n. 74 del 2000, per avere la stessa, nella qualità di titolare di omonima ditta individuale, emesso, tra il 30 aprile ed il 31 dicembre 2014, n. 24 fatture nei confronti della Società RAGIONE_SOCIALE per un ammontare complessivo di euri 331.600,00, in cui era indicata una Iva in misura pari ad euri 72.952,00, relative ad operazioni inesistenti, e la aveva, pertanto, condannata, ritenute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva reiterata ed infraquinquennale, alla pena di anni 1 di reclusione oltre accessori.
Avverso la predetta sentenza ha interposto ricorso per cassazione la difesa fiduciaria della Acierno, munita di specifico mandato ad impugnare, articolando tre motivi di impugnazione.
Il primo motivo, avente ad oggetto il ritenuto travisamento di una prova decisiva ai fini della affermazione della responsabilità della imputata, ha ad oggetto sia il fatto che l’avvenuta verifica in ordine alla non operatività della ditta individuale facente capo alla persona della Acierno era stata operata non, come riportato nella sentenza censurata, dalla Guardia di Finanza ma da funzionari della Agenzia delle entrate, Direzione provinciale II di Napoli, sia la circostanza, erroneamente riportata nella sentenza, secondo la quale presso la sede della citata ditta individuale ad essere sconosciuta, per altro in epoca sensibilmente successiva alla emissione delle fatture per cui è processo, non era la ditta medesima, come, invece, sostenuto nella sentenza impugnata, ma la persona fisica della Acierno.
Ulteriore dato di fatto travisato in sentenza, e ritenuto, invece, significativo dalla Corte di merito onde dimostrare la non operatività della impresa gestita dalla Acierno, è offerto dalla affermazione riguardante la mancata costante presentazione da parte di quest’ultima, in qualità di titolare della omonima ditta individuale, delle prescritte dichiarazioni fiscali, laddove una tale omissione era stata riscontrata con esclusivo riferimento all’anno 2014 e non ad altre, precedenti o successive, annualità.
Il secondo motivo di ricorso ha ad oggetto l’erronea applicazione dell’art. 8 del dlgs n. 74 del 2000 in relazione alla ricorrenza quanto al caso in esame
dell’elemento soggettivo tipico del reato contestato in capo alla imputata, avendo i giudici del merito omesso di verificare l’esistenza di un qualche rapporto fra la imputata e la impresa destinataria delle fatture da quella emesse né hanno provato la esistenza di elementi onde potere ricavare che l’intento che avrebbe animato la Acierno nella emissione di fatture per operazioni inesistenti era quello di consentire a terzi la evasione delle imposte.
Infine, con il terzo motivo di impugnazione è denunziata la violazione di legge, individuata la norma violata nell’art. 131 -bis cod. pen., in cui sarebbe incorsa la Corte di merito ed il vizio di motivazione che inficerebbe la sentenza censurata nel non avere ritenuto applicabile alla fattispecie la particolare causa di non punibilità derivante dalla particolare tenuità del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, fondato nei termini che saranno delineati, deve, di conseguenza essere accolto con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.
Il primo motivo di impugnazione non ha pregio alcuno.
Come è, infatti, noto (anche a volere assegnare alle imprecisioni ricostruttive descritte dal ricorrente la qualifica di travisamento della prova) il vizio di cui si parla in tanto è idoneo a determinare l’annullamento della sentenza in cui esso risulta essere presente in quanto lo stesso concerna profili della sentenza stessa che risultino essere decisivi ai fini della statuizione adottata.
Come, infatti, questa Corte ha avuto modo, più volte di chiarire, ai fini della deducibilità di siffatto vizio – che si traduce in una manifesta illogicità della motivazione che ne risulti affetta e che si presenta allorquando non solo dal testo del provvedimento impugnato ma anche da altri atti del processo specificamente indicati emerga il dato obbiettivo che nella motivazione della sentenza è stata dal giudice introdotta una informazione rilevante che non esiste nel processo ovvero quando si omette la valutazione di una prova che è, invece, presente agli atti e che sia decisiva ai fini della pronuncia (in tali termini, per tutte: Corte di cassazione, Sezione II penale, 25 giugno 2019, n. 27929, rv 276567) – è necessario che il ricorrente non si limiti ad evidenziare un eventuale errore ricostruttivo in cui, sulla scorta degli atti del processo, risulta che il giudicante sia incorso, dovendo, altresì, questi prospettare
proficuamente la decisività del rilevato travisamento o della segnalata omissione nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica (in tale senso: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 18 dicembre 2020, n. 36512, rv 280117).
Nel caso che ora interessa non solo la ricorrente non ha segnalato in quale modo il fatto che l’accertamento fiscale da cui è scaturita la notizia di reato a suo carico non sia stato eseguito da personale militare della Guardia di Finanza ma da personale civile della Agenzia delle entrate possa modificare i termini della decisione assunta a suo carico, ma neppure ha posto in luce quale sostanziale differenza vi sia nel fatto che, nel luogo ove questa avrebbe dovuto avere la propria sede operativa ad essere sconosciuta non sarebbe stata la ditta individuale da essa gestita ma la sua persona fisica.
Non può, infatti, trascurarsi di ricordare che la ditta individuale non è un soggetto giuridico distinto dall’imprenditore ma altro non è che la denominazione attraverso la quale l’imprenditore medesimo svolge la sua attività (in tale senso si rimanda, data la natura incontroversa della questione, ancora a: Corte di cassazione, Sezione II civile, 9 luglio 1976, n. 2621, rv 381415), di tal che la mancata conoscenza, nel luogo fisico ove questa avrebbe dovuto operare, della persona che in ipotesi avrebbe esercitato un certa attività ben può essere sussunta, stante la mancanza anche di qualsivoglia infrastruttura ivi evidenziante l’avvenuto svolgimento di un’attività produttiva di beni o servizi, quale indice della mancata conoscenza della esistenza stessa della attività in questione e, pertanto, della sua inesistenza.
Anche il dato relativo al fatto che solo per quanto attiene all’anno 2014 la imputata aveva omesso di presentare le prescritte dichiarazioni fiscali, e non anche, per come si dichiara dalla ricorrente essere stato erroneamente affermato dai giudici del merito, anche in relazione ad altre annualità è elemento non determinante.
Infatti, seppure si evidenziasse l’esistenza di un errore in cui fossero incorsi i giudici del merito nell’apprezzare il materiale probatorio, esso avrebbe riguardato un elemento non idoneo a scardinare l’impalcato su cui si tiene in fatto l’ipotesi accusatoria ; ciò emerge sol che si rifletta sulla circostanza che i fatti per cui si procede sono proprio riferibili all’anno di imposta 2014, cioè quello per il quale la COGNOME non ha presentato alcuna dichiarazione fiscale.
E, pertanto, di tutta evidenza che la censura afferente al preteso travisamento della prova attiene ad elementi del tutto ininfluenti rispetto alla decisione assunta, di tal che essa è nella presente sede del tutto inammissibile.
Fondato è, invece, il motivo attinente alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato la cui commissione è stata contestata alla prevenuta.
E’ appena il caso di ricordare che l’illecito de quo è stigmatizzato dall’art. 8 del dlgs n. 74 del 2000 il quale prevede che risponda di esso chi ‘al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti’.
Si tratta, come è evidenziato dalla chiara espressione normativa ‘al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte…’ di un reato caratterizzato dal dolo specifico, cioè, come scolasticamente insegnato, dal perseguimento -ma non necessariamente dal raggiungimento – di un fine ulteriore rispetto al contenuto della condotta descritta dalla norma; per la integrazione del reato non è, pertanto, sufficiente che l’agente si rappresenti il fatto che la documentazione fiscale da lui emessa sia riferita ad operazioni commerciali oggettivamente o soggettivamente non veritiere, ma è anche necessario che tale sua condotta sia indirizzata ad uno specifico fine, da lui volutamente perseguito (sebbene sia irrilevante che lo stesso sia stato, poi, effettivamente conseguito: Corte di cassazione, Sezione Feriale, 16 agosto 2022, n. 31142, rv 283708) , cioè quello di consentire a terzi l’evasione delle imposte.
Ai fini della dimostrazione della esistenza di tale particolare atteggiamento soggettivo, in relazione al quale la prova è ricavabile anche da comportamenti successivi alla perpetrazione del reato (Corte di cassazione, Sezione III penale, 3 ottobre 2024, n. 36765, rv 286999), questa Corte ha segnalato il fatto che lo stesso possa essere desunto da una pluralità di indici rivelatori, quali, con riferimento alla violazione ora in questione, il complesso dei rappo rti opachi esistenti fra l’emittente le fatture ed i soggetti che successivamente ne hanno fatto uso; la macroscopica illegalità della attività svolta anche dall’utilizzatore e la consapevolezza in capo all’emittente di tale generalizzata violazione delle regole giuridiche (Corte di cassazione, Sezione III penale, 21 gennaio 2019, n. 2570, rv 275830); l’elevato numero delle fatture eventualmente emesse nei confronti di un medesimo soggetto (non immediatamente conciliabile con altri scopi che non siano finalizzati a procurare a questo un illecito risparmio di spesa fiscale); l’esistenza di un vantaggio, sotto forma di prezzo, conseguito dall’emittente per effetto della
sua condotta che, essendo priva di una causa economica effettiva, non potrebbe trovare una sua remunerazione se non a cagione della illecita utilità fiscale che, per mezzo di essa, l’utilizzatore della fatture si ripromette di conseguire; la stessa effettiva spedizione al destinatario delle fatture relative ad operazioni inesistenti, che risulterebbe non necessaria, è pertanto distonica con essa, rispetto ad una finalità esclusivamente ‘egoistica’ perseguita dell’emittente , quale, potrebbe essere quella, peraltro di assai dubbia legittimità, di precostituirsi la documentazione per un’eventuale richiesta di apertura di credito bancario, tramite il sistema del cosiddetto ‘sconto delle fatture’ fondata sulla esistenza di altri crediti vantati dal richiedente e documentati con le predette fatture da lui emesse relativamente ad operazioni inesistenti.
Ciò che, in ogni caso, è inconciliabile con la corretta applicazione normativa è la affermazione, testualmente contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale non vi sarebbe la necessità della dimostrazione del dolo specifico in quanto esso ‘è in re ipsa … essendo evidente che, se una persona emette fatture false a favore di una persona o di una società, che le ha utilizzate, inserendole nella propria dichiarazione dei redditi, lo fa al fine di consentire ad essa di evadere le imposte’.
Una tale interpretazione normativa, infatti, si pone in aperto contrasto con la regola che vuole che gli elementi del reato, ed il dolo specifico è indubbiamente uno di essi, siano oggetto – sia pure attraverso la regola del libero convincimento giudiziario (che, è bene ricordarlo, non va confuso con l’arbitrio decisorio, dovendo quello essere fondato su elementi di logica plausibilità accedenti alla specifica fattispecie e non ad astratte presunzioni) applicabile anche alla verifica non dei soli fatti materiali ma anche degli stati soggettivi (Corte di cassazione, Sezione III penale, 3 ottobre 2024, n. 36765, rv 286999) – di puntuali argomentazioni dimostrative, il diritto penale rifugge da regole di giudizio che postulino, appunto, l’esistenza del dolus in re ipsa , stante la loro evidente contiguità logica con forme di accertamento dell’elemento soggettivo sconfinanti con la responsabilità oggettiva.
Siffatta motivazione della sentenza impugnata ne impone, sul punto afferente alla adeguata dimostrazione del dolo specifico in capo alla Acierno, l’annullamento con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli, con assorbimento del successivo motivo di ricorso, il cui esame presuppone l’esito negativo dello scrutinio riguardante il motivo di impugnazione -come segnalato ancora impregiudicato per effetto dell’annullamento con rinvio ora
disposto -attinente alla stessa sussistenza in capo alla ricorrente dell’elemento soggettivo tipico del reato in contestazione.
E’ appena il caso di rilevare che, sebbene dichiarata equivalente alle contestate attenuanti generiche, la contestata recidiva qualificata, ceteris paribus , è comunque idonea a determinare il differimento, ai sensi dell’ art. 161, cpv, cod. pen., del termine massimo prescrizionale previsto per il reato contestato a carico della COGNOME (in tale senso, anzi esplicitamente segnalando la rilevanza delle aggravanti ad effetto speciale ai fini del calcolo della prescrizione anche nel caso in cui le stesse siano state ritenute subvalenti rispetto alle attenuanti: Corte di cassazione, Sezione IV penale, 28 ottobre 2021, n. 38618, rv 282057; e, con particolare riferimento proprio alla recidiva qualificata: Corte di cassazione, Sezione I penale, 17 dicembre 2020, n. 36258, rv 280059).
PQM
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2025