Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 17887 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 17887 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2024
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME NOMECOGNOME nato a Cesena il 25/09/1955, avverso la sentenza in data 19/04/2024 della Corte di appello di Bologna, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 19 aprile 2024 la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza in data 7 ottobre 2022 del G.u.p. del Tribunale di Forlì, ha ridotto la pena irrogata a NOME COGNOME per plurime violazioni dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, anni 2014-2017 (capi E, F, G, O) e per plurime violazioni dell’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, anni 2014-2018 (capi H, L, P).
Il ricorrente lamenta con i primi tre motivi la violazione di legge e il vizi di motivazione in relazione al dolo specifico dei reati ascritti nonché la violazione del bis in idem sostanziale ai sensi dell’art. 9 d.lgs. n. 74 del 2000 per i reati dei capi O) e P), con il quarto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione
alla continuazione, con il quinto la violazione di legge e il vizio di motivazione per il diniego delle generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Il primo motivo riguarda le violazioni dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 (capi E, F, G) nonché la violazione dell’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 (capo H). E’ stato accertato che il COGNOME, nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione della AC Cesena S.p.A., aveva esposto nelle varie dichiarazioni, relative alle annualità dal 2014 al 2017, fatture per operazioni inesistenti, cioè plusvalenze fittizie che avevano determinato la bancarotta (definita in altro procedimento ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.) e l’evasione fiscale e aveva inoltre emesso fatture per operazioni oggettivamente inesistenti relative alle vendite simulate dei calciatori all’AC Chievo Verona S.r.l. per consentire a questa di evadere le imposte. Nella prospettazione difensiva mancava il dolo specifico di evasione perché le condotte erano state giustificate dalla necessità di iscrivere la società calcistica al campionato. Il motivo è assolutamente inconsistente perché la finalità o lo scopo personale delle condotte illecite non confliggono con il dolo di evasione. E’ pacifico che il dolo specifico costituito dal fine di evadere le imposte sussiste anche quando ad esso si affianchi una distinta ed autonoma finalità extraevasiva non perseguita dall’agente in via esclusiva (Sez. 3, n. 27112 del 19/02/2015, Forlani, Rv. 264390 – 01).
Il secondo motivo attiene al reato del capo L), in cui l’imputato, nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, al fine di consentire alla AC Cesena S.p.A. di evadere le imposte, aveva emesso fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto la prestazione non veniva svolta dalla Cai bensì da lui stesso. L’imputato ha ammesso il fatto, ma ha insistito sulla circostanza che l’operazione era reale ed effettiva e che vi era corrispondenza soggettiva tra il prestatore d’opera indicato nel documento e il soggetto giuridico che aveva erogato la prestazione. Come già evidenziato dalla Corte territoriale, la contestazione aveva a oggetto l’emissione di fatture soggettivamente, non oggettivamente, inesistenti e ciò è stato accertato anche sulla base delle dichiarazioni del ricorrente. Il motivo è fattuale e rivalutativo.
Il terzo motivo inerisce alla violazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, come presidente della AC Cesena S.p.A., per la fattura n. 3/2017 emessa dalla Cesena RAGIONE_SOCIALE (capo O) e alla violazione dell’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, come presidente della Cesena RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per la medesima fattura (capo P). La tesi propugnata del bis in idem è in contrasto con la giurisprudenza di legittimità secondo cui la disciplina in deroga al concorso di persone nel reato prevista dall’art.
9 d.lgs. n. 74 del 2000 non si applica al soggetto che cumula in sé le qualità di emittente e di amministratore della società utilizzatrice della autofattura mendace,
configurandosi in tal caso sia il delitto di cui all’art. 8 che quello di cui all’a d.lgs. n. 74 del 2000 (Sez. 3, n. 2859 del 30/11/2022, dep. 2023, Dentice,
Rv. 284067 – 01).
Il quarto motivo sugli aumenti per la continuazione e il quinto motivo sul diniego delle generiche non si confrontano affatto con la sentenza impugnata che
ha dato atto che gli aumenti erano fin troppo irrisori per la gravità dei reati, contrassegnati “dall’elevatissima entità del danno” per centinaia di migliaia di euro
e “dal notevolissimo grado di fraudolenza e di preordinazione anche perché
protrattasi per numerose annualità” e che per le medesime ragioni non potevano essere riconosciute le attenuanti generiche. La motivazione, anche con riferimento
a tali profili, è immune da censure.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il
ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data
13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata, in ragione della consistenza della causa di inammissibilità del ricorso, in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende Così deciso, il 19 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
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Il Pres ente