Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 43366 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 43366 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/10/2024
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
COGNOME NOME
– Presidente –
Sent. n. sez. 1656/2024
ALDO ACETO
– Relatore –
UP – 08/10/2024
NOME COGNOME
R.G.N. 17228/2024
COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da:
Gentile NOME nato a TAURIANOVA il 18/12/1969
avverso la sentenza del 05/02/2024 della Corte d’appello di Torino
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilitˆ del ricorso udito il difensore, Avv. NOME COGNOME anche in sostituzione del codifensore, AVV. NOME COGNOME che si è riportato ai motivi insistendo per il loro accoglimento.
1.NOME COGNOME ricorre per lÕannullamento della sentenza del 5 febbraio 2024 della Corte di appello di Torino che, rigettando la sua impugnazione, ha confermato la condanna alla pena (principale) di nove mesi di reclusione, oltre pene accessorie, irrogata con sentenza del 22 febbraio 2023 del Tribunale di
Novara per il reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., 5 d.lgs. n. 74 del 2000, a lui ascritto perchŽ, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, al fine di evadere le imposte dirette e sul valore aggiunto, aveva omesso di presentare le dichiarazioni relative a dette imposte per un importo pari ad euro 305.332,00 dovuti a titolo di imposte dirette e ad euro 196.074,00 dovuti a titolo di imposta sul valore aggiunto. Il fatto è contestato come commesso in Novara il 30 settembre 2015.
1.1.Con il primo motivo deduce la violazione dellÕart. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 e il vizio di motivazione apparente, illogica e contraddittoria in relazione al dolo specifico di evasione ritenuto sussistente – lamenta – sol perchŽ aveva assunto il ruolo di legale rappresentante della societˆ il 9 agosto 2015 e per aver investito il proprio professionista, NOME COGNOME del compito non giˆ di ricostruire la precedente attivitˆ contabile della societˆ (come erroneamente ritenuto dalla Corte di appello), bens’ di farsi coadiuvare rispetto alle impellenze contabili precipue del suo mandato e, pertanto, con riferimento allÕanno di imposta 2015, sfociate nella redazione dei bilanci e dellÕulteriore documentazione contabile depositati nellÕanno 2016. La sola qualifica di legale rappresentante non è sufficiente, in mancanza di ulteriori elementi, a integrare il dolo specifico di evasione. Peraltro, aggiunge, la nomina di un professionista contabile è elemento che avrebbe dovuto deporre in senso contrario alla sussistenza del dolo di evasione, avendo il ricorrente fatto affidamento sullÕinvio della dichiarazione da parte di quegli a seguito della approvazione del bilancio.
1.2.Con il secondo motivo lamenta la mancata applicazione della causa di non punibilitˆ per particolare tenuitˆ del fatto di cui allÕart. 131-bis cod. pen., erroneamente negata dalla Corte di appello in considerazione dellÕentitˆ dellÕIVA evasa senza tener conto di quella a credito. Se se ne fosse tenuto conto, afferma, la somma evasa sarebbe stata pari ad euro 108.381,11.
1.3.Con il terzo motivo deduce lÕerronea applicazione dellÕart. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000 sotto il profilo della mancata specificazione del prezzo, del prodotto o del profitto del reato, erroneamente calcolato al lordo dellÕIVA a credito e senza tener conto dellÕutile civilistico.
2.Il ricorso è inammissibile perchŽ generico e manifestamente infondato.
3.Non v’è dubbio che il fine di evasione qualifica penalmente la condotta di omessa presentazione della dichiarazione fiscale; ove venga accertata un’imposta effettivamente dovuta superiore a quella dichiarata (o non dichiarata affatto) e/o
componenti positive di reddito inferiori a quelle effettive o elementi passivi fittizi, l’indagine non avrebbe verificato altro che alcuni degli elementi costitutivi del reato di cui allÕart. 5, d.lgs. n. 74 del 2000, quelli che qualificano, sul piano oggettivo, l’offesa degli interessi erariali e giustificano (ma non esauriscono) la rilevanza penale della condotta. Tale indagine, tuttavia, non assorbe quella relativa all’accertamento del dolo specifico di evasione che nei reati dichiarativi puniti dal d.lgs. n. 74 del 2000 concorre a tipizzare la condotta. Altrimenti si corre il rischio di identificare il dolo specifico di evasione con la pura e semplice consapevolezza dell’obbligo dichiarativo, della sua violazione, dell’entitˆ dell’imposta non dichiarata. Un’operazione dogmaticamente errata che trasformerebbe il dolo specifico di evasione nella generica volontˆ di non dichiarare al Fisco l’imposta dovuta, con l’ulteriore inaccettabile conseguenza di assorbire tutti i reati in materia dichiarativa negli indistinti illeciti amministrativi di cui agli artt. 1, comma 2, e 5, comma 4, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 441 e di far sostanzialmente resuscitare la contravvenzione di omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, giˆ prevista dall’abrogato art. 1, comma 1, d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito con legge 7 agosto 1982, n. 516, che questa Corte ha giˆ affermato non essere in continuitˆ normativa con l’art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000, anche e proprio per la necessitˆ del dolo specifico di evasione, in precedenza non richiesto (Sez. U, n. 35 del 13/12/2000, Sagone, Rv. 217374).
3.1.Il reato è illecito di modo; il dolo di evasione è volontˆ di evasione dell’imposta mediante le specifiche condotte tipizzate dal legislatore penaletributario. Se per il legislatore penale tributario nemmeno l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, o le false rappresentazioni contabili e i mezzi fraudolenti per impedire l’accertamento delle imposte, sono sufficienti ad attribuire penale rilevanza alle condotte di cui agli artt. 2 e 3, d.lgs. n. 74 del 2000, essendo necessario il fine di evasione, a maggior ragione il “dolo di omissione” non solo non pu˜ essere ritenuto sufficiente a integrare, sul piano soggettivo, il reato di cui all’art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000, ma nemmeno pu˜ essere confuso con il dolo di evasione. La volontˆ omissiva prova la consapevolezza della sussistenza dell’obbligazione tributaria e del suo oggetto, e dunque di uno o alcuni degli elementi costitutivi della fattispecie, non prova il fine ulteriore della condotta. Il dolo di evasione esprime l’autentico disvalore penale della condotta e restituisce alla fattispecie la sua funzione selettiva di condotte offensive ad un grado non ulteriormente tollerabile del medesimo bene tutelato anche a livello amministrativo. L’inviolabilitˆ della libertˆ personale costituisce il metro di misura della rilevanza penale di condotte che potrebbero essere sanzionate in altro modo. Al legislatore penale non interessa il recupero del gettito fiscale ma della persona (art. 27 Cost.). Il dolo specifico di evasione, per la sua forte carica intenzionale, segna il punto di frattura più grave tra l’atteggiamento antidoveroso dell’autore
del fatto illecito, l’ordinamento giudico ed il bene protetto, un punto di non ritorno che giustifica il sacrificio della inviolabilitˆ della libertˆ personale in considerazione del livello di aggressione al bene e della funzione rieducativa della pena. E’ proprio questo scopo che nei reati in materia di dichiarazioni fiscali giustifica, rispetto agli omologhi illeciti amministrativi, la reazione punitiva dello Stato e ne spiega la rilevanza penale che si giustifica solo in costanza di condotte poste in essere nella deliberata ed esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte nella piena consapevolezza della illiceitˆ del fine e del mezzo. Non si pu˜ di conseguenza ritenere sufficiente, ai fini della prova del dolo specifico, la mera consapevolezza dell’entitˆ dell’imposta evasa; lÕentitˆ dell’imposta evasa costituisce solo uno degli elementi del fatto tipico, la cui consapevolezza potrebbe, al più, giustificare un addebito a titolo di dolo generico, non di certo di dolo specifico che richiede un quid pluris rispetto alla mera consapevolezza dell’oggetto dell’omissione. Tale dato pu˜ essere certamente valorizzato insieme con altri dai quali possa essere tratta la convinzione che l’omissione era finalizzata all’evasione dell’Imposta: il mancato pagamento postumo dell’imposta evasa, in tempi naturalmente ragionevoli e non, per esempio, a distanza di anni, pu˜ certamente essere preso in considerazione; cos’ come pu˜ essere utilmente valutata la reiterazione dell’omissione per più anni di imposta o, come nel caso di specie, il disinteresse rispetto alle richieste e verifiche tributarie. In ultima analisi deve essere ripudiato un metodo di accertamento del dolo che si risolve nella (indiretta) affermazione del
(cos’, in motivazione, Sez. 3, n. 44170 del 04/07/2023, Marra, Rv. 285221 01; Sez. 3, n. 43809 del 24/10/2014, dep. 2015, COGNOME).
3.2.La Corte di cassazione ha sempre ritenuto che il mancato pagamento postumo dellÕimposta dovuta (e non dichiarata) costituisce valido elemento di prova del dolo di evasione (cos’ Sez. 3, Marra, cit.; Sez. 3, n. 16469 del 28/02/2020, Veruari, Rv. 278966 – 01, secondo cui la prova del dolo specifico in capo al contribuente pu˜ desumersi anche dal comportamento successivo del mancato pagamento delle imposte dovute e non dichiarate, dimostrativo della volontˆ preordinata di non presentare la dichiarazione e ci˜ anche nel caso in cui la dichiarazione sia stata omessa dal professionista a ci˜ incaricato).
3.3.NŽ, ovviamente, l’affidamento ad un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi esonera il soggetto obbligato dalla responsabilitˆ penale per il delitto di omessa dichiarazione in quanto la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il relativo dovere, essendo unicamente delegabile la predisposizione e l’inoltro telematico dellÕatto (Sez. 3, n. 9417 del 14/01/2020, Quattri, Rv. 278421 – 01; Sez. 3, n. 9163 del 29/10/2009, COGNOME, Rv. 246208 – 01), sicchŽ la nomina del professionista è condotta che deriva dalla sussistenza dellÕobbligo e prova, semmai, la consapevolezza del contribuente del suo doveroso adempimento.
3.4.é stato precisato che la prova del dolo specifico di evasione non deriva dalla semplice violazione dell’obbligo dichiarativo nè da una “culpa in vigilando” sull’operato del professionista, che trasformerebbe il rimprovero per l’atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo, ma dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione dell’imposta per quantitˆ superiori alla soglia di rilevanza penale (Sez. 3, n. 37856 del 18/05/2015, COGNOME, Rv. 265087 – 01).
3.5.Orbene, nel caso di specie, ai fini della prova del dolo di evasione, la Corte di appello ha valorizzato il dato dellÕomesso versamento delle imposte dovute e non dichiarate; ed è argomento persuasivo perchŽ lÕomesso pagamento denunzia nei fatti la realizzazione dello scopo della condotta omissiva verbalmente negata da chi predica lÕassenza del fine; ad esso si aggiunge la mancata esibizione della documentazione contabile allÕAgenzia delle Entrate che ne aveva fatto richiesta.
3.6.Questi aspetti sono negletti dal ricorrente il quale non pu˜ addurre a propria giustificazione il disinteresse per lÕanno di imposta 2014, avendo assunto – egli afferma – la carica nel mese di agosto 2015. LÕargomento è intrinsecamente illogico e giuridicamente del tutto inconsistente considerato che la societˆ era obbligata, nel 2015, alla presentazione delle dichiarazioni annuali relative allÕanno di imposta precedente (2014) e che lÕunico titolato ad adempiere era proprio lÕodierno ricorrente siccome legale rappresentante in carica alla data di scadenza del termine previsto.
4.Il secondo ed il terzo motivo, comuni per lÕoggetto, sono generici e manifestamente infondati; il terzo motivo, inoltre, riguarda il capo relativo alla confisca non impugnato in appello.
4.1.Il ricorrente lamenta lÕerronea determinazione dellÕimponibile per la mancata decurtazione dellÕIVA a credito indicata nella comunicazione annuale dei dati IVA presentata ai sensi dellÕart. 8-bis d.P.R. n. 322 del 1998.
4.2.La deduzione è generica e manifestamente infondata.
4.3.La natura e gli effetti della comunicazione annuale non sono quelli propri della dichiarazione annuale bens’ quelli riferibili alle comunicazioni di dati e notizie. In buona sostanza, attraverso la comunicazione annuale dati IVA il contribuente non procede alla definitiva autodeterminazione dellÕimposta dovuta, che avverrˆ invece attraverso il tradizionale strumento della dichiarazione annuale. Il diritto alla detrazione, infatti, sorge solo nel momento in cui lÕimposta diviene esigibile e deve essere esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa allÕanno in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo (art. 19, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972; art. 8, comma 3, d.P.R. n.322 del 1998). La giurisprudenza delle sezioni civili della Corte di legittimitˆ spiega che la neutralitˆ dell’imposizione armonizzata sul valore
aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicchŽ, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non pu˜ essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili (Sez. Un civ., n. 17757 del 08/09/2016, Rv. 640943 – 01; Sez. 5 civ., n. 15459 del 13/06/2018, Rv. 649185 – 01; Sez 6-5 civ., n. 8131 del 03/04/2018, Rv. 647726 – 01; Sez. 5, civ., n. 4392 del 23/02/2018, Rv. 647546 – 01).
4.4.Orbene, la pura e semplice allegazione della consistenza delle fatture passive non è di per sŽ sufficiente sia perchŽ, comunque, il ricorrente non ha mai dedotto di aver assolto agli oneri formali richiesti per la detrazione (presentazione di dichiarazioni periodiche e presentazione della dichiarazione quantomeno relativa allÕanno di imposta successivo), sia perchŽ non ha mai dedotto di aver effettuato regolari versamenti; inoltre, non sempre, nŽ con la stessa percentuale opera il diritto alla detrazione di imposta (artt. 19, 1919.2, 193 d.P.R. n. 633 del 1972).
4.5.Si tratta, pertanto, di deduzioni che, in quanto relative agli oneri formali e sostanziali di spettanza di un diritto non esercitato, spettano al contribuente e comportano accertamenti di fatto non deducibili per la prima volta in questa sede. NŽ sono deducibili in questa sede le questioni, non devolute in appello, relative alla mancata deduzione dei costi ai fini della determinazione delle imposte dirette.
4.6.LÕentitˆ delle imposte evase resta, dunque, definitivamente accertata nei termini indicati dalla Corte di appello, con conseguente insussistenza della esiguitˆ del danno erariale, essendo lÕimposta evasa quasi quattro volte superiore alla soglia di punibilitˆ per lÕIVA e oltre sei volte superiore alla soglia di punibilitˆ per le imposte dirette.
4.7.Fermo restando quanto detto, il terzo motivo è altres’ inammissibile perchŽ il capo relativo alla confisca disposta in primo grado ai sensi dellÕart. 12bis d.lgs. n. 74 del 2000 non è stato impugnato in appello.
5.Alla declaratoria di inammissibilitˆ del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., essendo essa ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonchŽ del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente
nella misura di 3.000,00. Il Collegio intende in tal modo esercitare la facoltˆ, introdotta dallÕart. 1, comma 64, legge n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista dallÕart. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilitˆ del ricorso considerate le ragioni della inammissibilitˆ stessa come sopra indicate.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Cos’ deciso in Roma, il 08/10/2024.
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME