Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8885 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 8885 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MACERATA il 06/06/1978
avverso la sentenza del 18/03/2024 della Corte d’appello di Ancona Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso, letta la memoria difensiva con la quale il difensore ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 18 marzo 2024, la Corte d’appello di Ancona ha confermato la sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Macerata che aveva condannato COGNOME NOMECOGNOME alla pena sospesa di anni uno e mesi sei di reclusione, in relazione ai reati di cui all’art. 10 del d.lgs. 10 marzo del 2000, n. 74, (capo 4) e art. 1 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capo 5) e lo aveva assolto dal reato di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capi 1, 2 e 3) perché il fatto non sussiste.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come espressamente previsto ex art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge in relazione all’art. 10 del D.Lgs 10 marzo 2000, n. 74, e il vizio di illogicità della motivazione in merito alla sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato. La corte territoriale avrebbe infatti fondato la propria convinzione, in merito all’esistenza della contabilità e al condotta di occultamento dell’imputato, su elementi quali la presentazione da parte della società della dichiarazione Iva per l’anno 2016; la documentazione parziale nel computer in uso all’imputato; il comportamento dell’imputato che a richiesta di esibizione delle fatture non si rendeva disponibile a reperire la documentazione, elementi che, a parere della difesa, non fornirebbero la necessaria certezza in merito all’elemento oggettivo del reato, oltre ogni ragionevole dubbio.
La Corte territoriale non avrebbe adeguatamente valorizzato le risultanze della perizia presentata dal Consulente di parte attestante come la contabilità aziendale “non era mai stata tenuta”, fin dalla costituzione della società RAGIONE_SOCIALE, dai precedente amministratori, e come tale modus operandi fosse continuato dal COGNOME.
Si lamenta, inoltre, che dalla dichiarazione IVA, in data 27/02/2017, pur presentata da quest’ultimo, la corte territoriale avrebbe ritenuto l’esistenza di una contabilità tenuta dallo stesso, motivazione illogica atteso il brevissimo lasso di tempo decorso dall’assunzione della carica di amministratore.
La contabilità, e la dichiarazione presentata, che ne costituisce un diretto risultato, sarebbero state infatti predisposte dal precedente amministratore essendosi il COGNOME limitato esclusivamente alla sottoscrizione della dichiarazione stessa.
In merito a tale ultimo profilo, la difesa lamenta il conseguente vizio di illogicità della motivazione contenuta nella sentenza della corte territoriale là dove tenuto conto del “limitatissimo lasso temporale” tra l’assunzione della carica amministrativa e la presentazione della dichiarazione, ha argomentato che l’imputato avrebbe potuto formare egli stesso un’adeguata contabilità e successivamente occultarla o distruggerla.
In subordine poi, la difesa lamenta che, ove anche fosse riconosciuta la sussistenza della suddetta contabilità, la stessa avrebbe dovuto essere considerata come parziale o frammentaria, ricadendo dunque tale fattispecie concreta nell’ambito dell’illiceità amministrativa prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, in luogo di quella penale.
Infine, la difesa ha argomentato come la giurisprudenza di legittimità, abbia ormai già da tempo richiesto un quid pluris a contenuto commissivo, consistente nell’occultamento e nella distruzione dei documenti contabili, la cui istituzione è obbligatoria per legge.
La difesa lamenta anche l’illogicità della motivazione in merito all’elemento soggettivo del reato. La corte territoriale avrebbe infatti ricavato la prova il dolo d COGNOME “nell’intento, da questi manifestato alla Guardia di finanza, di adoperarsi per esibire le fatture per la RAGIONE_SOCIALE e di fare il possibile per recuperare le fatture passive della
RAGIONE_SOCIALE, intento a cui tuttavia non sarebbe stato dato alcun seguito. Argomenta il ricorrente la manifesta illogicità anche per la mancata valorizzazione del tentativo del soggetto stesso di reperire i documenti presso i pubblici uffici automobilistici per risalire al valore di acquisto e di vendita delle auto per ogni singolo automezzo, e della produzione di documentazione bancaria, idonei a permettere di ricostruire i movimenti patrimoniali della società da lui amministrata.
Tale elemento varrebbe ad escludere, nella lettura prospettata dalla difesa, il dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice.
2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio di illogicità della motivazione, in relazione all’affermazione della responsabilità penale per il reato di cui all’art. 11 d.lgs 1 marzo 2000, n. 74, stante il mancato accertamento del superamento della soglia di punibilità di C 50.000,00 per ciascuna imposta e per ciascun anno di imposta. Argomenta il ricorrente che l’assoluzione dal reato di omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali di cui ai capi 1), 2) e 3), per il mancato superamento della soglia di imposta evasa, comporterebbe anche l’irrilevanza penale per il reato di cui all’art. 11 cit. Inoltre, tribunale avrebbe fondato la condanna facendo espresso richiamo al PVC le cui risultanze, tuttavia, in punto determinazione dell’imposta evasa erano state sconfessate dal giudice di primo grado che era pervenuto a sentenza di assoluzione per il reato di omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali. Pertanto, la conclusione della Corte territoriale di confermare il capo della sentenza di condanna del COGNOME, per il reato di cui all’art. 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, sarebbe erronea in quanto priva di motivazione circa la determinazione dell’imposta evasa ai fini della configurabilità del reato contestato, non essendo evincibile il superamento della soglia di punibilità dalle risultanze del citato PVC. Infine, sempre in merito alla fattispecie incriminatrice ex art. 11, si lamenta la carenza oe.A1,’ di motivazione in ordine GLYPH [‘elemento soggettivo del soggetto, dal momento che la cessione del lotto di auto sarebbe stata effettuata non allo scopo di eludere o rendere più difficoltosa la procedura di riscossione coattiva in quel momento non iniziata, ma con l’esclusivo intento di ricavare un incasso in favore della GSG, in un momento nel quale non poteva dirsi sussistente un debito esistente, ancorché non definitivo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
In data 02/01/2025, il difensore ha depositato memoria con cui ha insistito nell’accoglimento del ricorso e conseguente annullamento senza rinvio e con rinvio della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Alla conferma della sentenza di primo grado, il giudice d’appello è pervenuto, in relazione alla fattispecie ex art. 10 del sopra richiamato decreto legislativo,
condividendo la ricostruzione dei fatti e la valutazione del quadro probatorio emerso in sede di udienza preliminare, e confermando la solidità del compendio probatorio richiamato nella sentenza di primo grado, costituito in primis dalla perizia espletata, dalla quale si evinceva come sussistesse una obiettiva e rilevante difficoltà nella ricostruzione dei redditi e del volume di affari a causa della mancanza di tutti i documenti necessari, come ad esempio i documenti di acquisto e di vendita per tutti gli automezzi collegati con la RAGIONE_SOCIALE, le fatture di acquisto e di vendita e la loro registrazione a sostegno della dichiarazione IVA 2006 e quelle degli anni successivi. Le stesse risultavano, infatti, solo parzialmente rinvenute nel computer dell’imputato, derivando da ciò la già evidenziata difficoltà nella ricostruzione della movimentazione contabile.
Il G.U.P. ha argomentato l’esistenza della contabilità dalla presentazione, effettuata in data 27 febbraio 2017 dall’imputato, divenuto amministratore della società, della dichiarazione IVA e il parziale rinvenimento di documentazione contabile sul computer dell’imputato: la presentazione della dichiarazione presupponeva l’esistenza della stessa contabilità, e costituiva un assunto difensivo indimostrato che la dichiarazione fosse stata predisposta dal precedente amministratore.
Il dolo specifico, in capo al COGNOME, era dimostrato, sempre secondo il giudice territoriale, dall’intento, manifestato alla Guardia di finanza, e a cui purtuttavia non veniva dato seguito nei fatti, di adoperarsi per esibire le fatture per la RAGIONE_SOCIALE e di fare i possibile per recuperare le fatture passive della RAGIONE_SOCIALE
In relazione invece alla fattispecie ex art. 11, il giudice di secondo grado ha ritenuto destituite di ogni fondamento le tre censure avanzate dalla difesa.
La prima censura, che contestava il mancato superamento della soglia di punibilità, è stata disattesa dalla Corte d’appello, ribadendo come, a differenza di altre fattispecie incriminatrici previste nello stesso decreto legislativo, quella di sottrazione fraudolenta delle imposte ex art. 11, non preveda affatto che la soglia di rilevanza penale debba essere superata per singole annualità.
Se infatti il legislatore, con riguardo ad esempio agli artt. 4 e 5, si è avvalso della locuzione “singole imposte”, ovvero in relazione “a ciascun periodo di imposta” o “all’importo annuo” in merito agli artt. 10-bis 10-ter e 10-quater, si osserva come la stessa scelta terminologica non sia stata adottata in merito alla fattispecie in questa sede rilevante. Un dato che, si è osservato, risulta coerente con la struttura e la ratio sottesa alla stessa previsione incriminatrice, posto che il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è un reato di pericolo, per il quale è richiesta soltanto l’esistenza di un credito erariale relativo, per capitale e/o interessi o sanzioni, ad imposte sui redditi o sul valore aggiunto, suscettibile di essere azionato coattivamente, e che lo scopo dell’incriminazione è quello di tutelare la garanzia patrimoniale offerta al fisco e, con essa, l’azionabilità della pretesa dell’Erario, purché superiore a 50.000,00 euro, risultante al
momento del compimento dell’atto simulato o fraudolento, indipendentemente dal fatto che il debito tributario sia maturato con riferimento a una o a più annualità d’imposta.
In relazione poi all’ulteriore profilo, costituito dalla natura fraudolent dell’alienazione dei mezzi, la Corte ha rinviato interamente alle argomentazioni espresse e condivise nella motivazione contenuta nella sentenza di primo grado che aveva rilevato come a seguito della cessione in blocco, avvenuta in data 06/05/2019, alla società RAGIONE_SOCIALE amministrata dal 2020 dal Castellani, non era stato registrato alcun pagamento dal momento che le movimentazioni sul c/c della società erano minime e non vi era alcun riferimento alla vendita di automezzi. Da cui la conclusione che il ricorrente si era spogliato di tutto l’attivo per rendere difficile la procedura di riscossione del debit tributario. Infine, la Corte d’appello ha respinto la censura relativa alla mancata applicazione della norma più favorevole, individuata dalla difesa nella normativa in vigore dal 22/10/2015 al 24/12/2019, essendo le condotte contestate afferenti agli anni d’imposta 2016, 2017 e 2018.
Il giudice d’appello, in merito alla corretta individuazione del tempus commissi delicti, ha tuttavia evidenziato come il delitto di occultamento di documenti contabili abbia natura di reato permanente, conseguendone dunque la protrazione della condotta penalmente rilevante sino al momento dell’accertamento fiscale, dal quale risulta dunque decorrere il termine di prescrizione.
Ciò posto, il primo motivo di ricorso risulta parzialmente fondato in relazione al profilo del vizio di motivazione in punto l’elemento soggettivo richiesto ex art. 10, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
2.1. Va disattesa, siccome infondata, la censura che deduce il vizio di motivazione in punto elemento oggettivo del reato di occultamento della documentazione contabile.
A corretta decisione sono pervenuti i giudici del merito che, con motivazione per nulla illogica, hanno argomentato l’istituzione della documentazione contabile, successivamente non rivenuta né consegnata dal ricorrente, sulla scorta della perizia che aveva disatteso la prospettazione del CT di parte, di “mancata istituzione”, genericamente contestata nelle conclusioni, e sul duplice rilievo della presentazione della dichiarazione IVA per l’anno 2016, effettuata in data 27 febbraio 2017 e sottoscritta dall’imputato/contribuente, divenuto amministratore della società, e del parziale rinvenimento di documentazione contabile sul computer dell’imputato, e che nel 2016 la contabilità, e quantomeno le fatture attive e passive, erano conservate ed utilizzate dal COGNOME per la redazione di detta dichiarazione IVA.
2.2. È fondata, invece, la censura di vizio di motivazione in punto elemento soggettivo del reato.
Come infatti ormai pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000 è costituito dal dolo
specifico di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, di conseguire indebiti rimborsi ovvero di consentire l’evasione a terzi, finalità che, proprio in relazione alla natura di reato di pericolo della predetta fattispecie delittuosa, non richiede, poi, la necessaria realizzazione di questo obiettivo, essendo sufficiente, per la presenza del dolo, che la condotta sia così orientata. La presenza del dolo specifico deve formare oggetto di una specifica valutazione, non potendo lo stesso essere presunto, in modo automatico, sulla base della sola avvenuta realizzazione dell’elemento oggettivo del reato, dovendo essere dedotto e valutato sulla base della complessiva condotta attiva del soggetto agente (si veda ad es. Sez. 3, n. 15900 del 18/04/2016, Rv. 266757).
Orbene, nel caso in esame la risposta della corte territoriale (nello specifico le dichiarazioni rese dal COGNOME alla G.d.f. di meramente adoperarsi «ad esibire le fatture per la RAGIONE_SOCIALE” e di fare il possibile “per recuperare le fatture passive della RAGIONE_SOCIALE“), appare eccentrica rispetto alla dimostrazione del fine di evasione e non soccorre la motivazione del giudice di primo grado totalmente silente sul punto.
La sentenza va sul punto annullata con rinvio per nuovo giudizio limitatamente al punto concernente l’elemento soggettivo del reato.
3. Il secondo motivo di ricorso risulta infondato.
Sotto un primo profilo deve rilevarsi la correttezza in diritto della motivazione dei giudici territoriali che hanno richiamato, in punto superamento della soglia di punibilità, la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, a differenza di altre fattispecie delittuose di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, quella di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte ex art. 11 non prevede affatto che la soglia di penale rilevanza sia raggiunta per singole annualità, come, invece, agli artt. 4 e 5, dove vi è il riferimento a “singole imposte”, ovvero in relazione a “ciascun periodo d’imposta” o all’ “importo annuo”, secondo la previsione degli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater. E ciò in linea con la struttura e la ratio dell’incriminazione, posto che il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è un reato di pericolo, per il quale è richiesta soltanto l’esistenza di un credito erariale relativo, per capitale e/o interessi o sanzioni, ad imposte sui redditi o sul valore aggiunto, suscettibile di essere azionato coattivamente, e lo scopo dell’incriminazione è quello di tutelare la garanzia patrimoniale offerta al fisco e, con essa, l’azionabilità della pretesa dell’Erario, purché superiore a 50.000,00 euro, risultante al momento del compimento dell’atto simulato o fraudolento, indipendentemente dal fatto che il debito tributario sia maturato con riferimento a una o più annualità di imposta (Sez. 3, n. 16686 del 16/04/2021, Rv. 281099 – 01; Sez. 3, n. 37178 del 30/09/2020, Rv. 280449 – 01).
Dalla correttezza giuridica della decisione consegue anche l’infondatezza dell’ulteriore questione sollevata e ciò in quanto la censura che lamenta il mancato superamento della soglia di punibilità in conseguenza del proscioglimento dalle contestate
violazione di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, non coglie nel segno poiché il mancato superamento della soglia di punibilità di € 50.000,00 era stato accertato con riguardo ad anni di imposta precedenti (vedi capi 1,2 e 3 relativi agli anni 2016-2018) e non con riguardo all’anno 2019, tenuto conto che la verifica del superamento della soglia di punibilità va accertata al momento del compimento dell’atto fraudolento compiuto il 06/05/2019, sicché il riferimento al PVC, non specificatamente contestato, deve ritenersi congruo per la dimostrazione del superamento della soglia di punibilità.
Conclusivamente, la sentenza va annullata limitatamente all’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 10 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, con rinvio alla Corte d’appello di Perugia per nuovo esame. Nel resto il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art.10 d.lgs.n. 74 del 2000 con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia. Rigetta nel resto il ricorso. Così è deciso, 14/01/2025
4 h.(.2. 2025 “
Oggi,
Deposi; uta in Cancelleria
IL
NOME