Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29875 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29875 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nata a Treviglio i! 24/3/1984
avverso la sentenza del 27/9/2024 della Corte d’appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona dei Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 27 settembre 2024 la Corte d’appello di Brescia, provvedendo sulla impugnazione proposta da NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 13 gennaio 2023 del Tribunale di Brescia, con la quale la stessa COGNOME era stata condannata alla pena di un anno di reclusione e alle pene accessorie di cui all’art. 12 d.lgs. n. 74 del 2000 in relazione al delitto di cui all’ 10-quater del medesimo d.lgs. n. 74 del 2000 (ascrittole per avere, quale amministratrice unica della RAGIONE_SOCIALE, omesso di corrispondere le imposte dovute da tale società per l’anno 2016 utilizzando in compensazione crediti inesistenti per complessivi euro 391.805,56), ha riconosciuto alla imputata i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza l’imputata ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo ha lamentato l’errata applicazione degli artt. 42 e 43 cod. pen. e dell’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000 con riferimento alla affermazione della sussistenza del dolo eventuale in capo alla ricorrente, che era stata desunta dai giudici di merito dalla consapevole accettazione della carica da parte della ricorrente e dal compimento da parte della stessa di operazioni bancarie, avendo la ricorrente mantenuto rapporti costanti con gli amministratori di fatto della società, operato con continuità sui conti correnti bancari (recandosi in banca accompagnata dagli amministratori di fatto circa una volta al mese), versato assegni di importo elevato, percepito un compenso, constatato che gli amministratori di fatto non volevano essere visti in banca, appreso dal direttore della banca che non poteva più ricevere blocchetti per assegni avendone già ricevuti troppi, benché tali aspetti non siano dimostrativi della sussistenza, in capo all’imputata, di una rappresentazione volitiva dell’evento delittuoso, anche in termini di eventualità. Benché l’imputata avesse sospettato della serietà degli amministratori di fatto e ipotizzato una gestione illecita della società da parte loro dagli elementi evidenziati dai giudici di merito non poteva desumersi la consapevolezza della illecita compensazione tributaria, eseguita molti mesi dopo l’assunzione della carica da parte della ricorrente, in quanto l’abdicazione alle funzioni di controllo era avvenuta sin dalla assunzione della carica e in modo generalizzato, senza alcuna specifica previsione del determinato reato che sarebbe stato commesso. La ricorrente, inoltre, era del tutto estranea alla compagine sociale e disinteressata rispetto ai benefici fiscali derivanti dalla commissione del reato, di cui non aveva avuto alcuna consapevolezza, anche perché le indebite
compensazioni prescindevano dalla operatività bancaria che aveva fatto capo alla ricorrente medesima.
Si sottolinea che la ricorrente non avrebbe potuto impedire l’evento delittuoso e che avrebbe realizzato l’omissione per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza, non avendo alcuna esperienza in materia, non avendo considerato le gravi conseguenze negative della condotta (che aveva determinato l’applicazione a suo carico della confisca per equivalente del profitto del reato, pari a euro 391.805,56) e avendo avuto come scopo solo quello di percepire il compenso stabilito a favore dell’amministratore, senza alcuna consapevole ingerenza nella amministrazione della società e senza alcun contributo di tipo rafforzativo a favore dei soggetti che avevano l’effettiva gestione della società.
2.2. In secondo luogo, ha lamentato un vizio della motivazione riguardo al medesimo aspetto, per essere la sussistenza del dolo generico stata desunta, in modo illogico, da una serie di indicatori non dimostrativi della rappresentazione degli elementi costitutivi del fatto di reato, ma solamente, al più, di una generica consapevolezza di illecita gestione della società, con la conseguente carenza della indicazione delle ragioni per le quali tale generica consapevolezza sia dimostrativa della prefigurazione del delitto in capo alla ricorrente.
Il Procuratore Generale ha concluso sollecitando l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, sottolineando come gli indici di consapevolezza da parte della ricorrente della illecita gestione della società da parte degli effett amministratori, se rilevanti con riferimento a violazioni di agevole percepibilità (quali le omesse presentazioni di dichiarazioni dovute o gli omessi versamenti d’imposta), possono non esserlo quando si tratti di fattispecie più peculiari, richiedenti la consapevolezza della inesistenza dei crediti utilizzati e del superamento delle soglie di punibilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, tra l’altro pressoché riproduttivo del primo motivo d’appello, adeguatamente considerato e motivatamente disatteso dalla Corte d’appello, è manifestamente infondato.
In tema di reati tributari l’amministratore di una società risponde del reat omissivo contestatogli quale diretto destinatario degli obblighi di legge, an sia un mero prestanome di altri soggetC che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano
scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la sempli accettazione del rischio che questi si verifichino (Sez. F, n. 42897 del 09/08/2018, C., Rv. 273939 – 02; Sez. 3, n. 7770 dei 05/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258850 – 01; Sez. 3, n. 22919 del 06/04/2006, COGNOME, Rv. 234474 – 01).
L’amministratore di diritto risponde, dunque, in concorso con l’amministratore di fatto (quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione social e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l’azione dovuta), anche dei delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento, ai sensi degli artt. 40, comma secondo, cod. pen. e 2632 cod. civ., a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 1722 del 25/09/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277507 – 01, con la quale è stata ritenuta esente da censure la sentenza con la quale è stata affermata la sussistenza del dolo eventuale dell’amministratore di diritto, desumendola, oltre che dall’accettazione della carica, da una pluralità di elementi fattuali convergenti, che ne comprovavano la consapevolezza delle criticità gestionaii della società e lo svolgimento di un ruolo attivo in ambito societario, con conseguente accettazione del rischio relativo alla commissione di reati da parte dell’amministratore di fatto).
3. Ora, nel caso in esame, il Tribunale di Brescia, nell’affermare la responsabilità dell’imputata a titolo di dolo eventuale, ha sottolineato quanto dalla stessa dichiarato nel corso del proprio esame, e cioè di aver conseguito la licenza media e aver sempre lavorato nell’azienda agricola di famiglia; di aver assunto la carica di amministratrice della RAGIONE_SOCIALE su richiesta di altri (COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME), ai quali rispondeva svolgendo i compiti che le assegnavano, a fronte del compenso di 1.000,00 euro al mese; di aver aperto un conto corrente bancario della società, sul quale svolgeva operazioni per conto dei medesimi soggetti (prelievi mensili, ritiro di blocchetti di assegni che sottoscriveva per poi consegnarli ai medesimi individui); di aver sottoscritto documenti relativi alla attività del società anche presso l’Agenzia delle Entrate, traendone la prova del coinvolgimento attivo e consapevole della imputata nella gestione societaria e della conseguente chiara rappresentazione della illiceità delle condotte materialmente poste in essere dagli amministratori di fatto.
La Corte d’appello, nel disattendere l’impugnazione della ricorrente in ordine alla affermazione di responsabilità, in punto di elemento soggettivo, ha ribadito la rilevanza della consapevole accettazione da parte della ricorrente medesima della carica di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE a fronte di un compenso mensile; della disponibilità della stessa a svolgere regolari operazioni bancarie su richiesta degli amministratori di fatto (apertura di un conto corrente bancario della società sul quale era l’unica delegata a operare, regolare ritiro di carnet di assegni che
provvedeva a firmare in bianco e a consegnare agli amministratori di fatto, eseguendo prelevamenti e versamenti); della consapevolezza da parte della ricorrente del numero di dipendenti della società; del versamento in più occasioni di assegni di ammontare rilevante (prossimo a 100.000,00 euro), traendone, in modo non illogico e coerente con i ricordati orientamenti interpretativi (si richiama, in particolare, quanto esposto nella sentenza n. 26236 del 2018, ossia Sez. 3, n. 26236 del 12/4/2018, COGNOME, non massimata), la prova della consapevolezza da parte della COGNOME del notevole giro d’affari della società, al quale erano evidentemente correlati obblighi fiscali, dei quali si è disinteressata, così accettando il rischio che gli amministratori di fatto realizzassero condotte elusive di tali obblighi, compresa quella contestata.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di motivazione idonea, posto che dalla sottolineatura della esperienza amministrativa della ricorrente (socia dell’impresa agricola della sua famiglia), della sua consapevolezza in ordine alle dimensioni della società di cui aveva assunto l’amministrazione e de! corrispondente giro d’affari, della anomala ripetuta richiesta di carnet di assegni da parte degli amministratori di fatto (che la COGNOME sottoscriveva in bianco per consegnarli ai medesimi soggetti), della ulteriore anomalia costituita dalla attenzione degli stessi a “non farsi vedere in banca”, del rifiuto oppostole dal direttore della agenzia di banca al rilascio di un ulteriore carnet di assegni (a seguito del quale la ricorrente non aveva chiesto spiegazioni né si era dimessa dalla carica), i giudici di merito hanno ricavato, in modo non illogico, la prova della consapevole scelta della ricorrente di abdicare a qualsiasi controllo sul corretto assolvimento degli obblighi tributari gravanti sulla società che aveva accettato di amministrare e così di accettare il rischio di evasione da parte degli amministratori di fatto, anche mediante l’utilizzo in compensazione di crediti non spettanti, evidentemente in misura superiore alla soglia di punibilità, stante la rilevanza del giro d’affari del società e dei connessi obblighi tributari, di cui la ricorrente era, come notato, informata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Come precisato nella citata sentenza COGNOME (Sez. 3, n. 26236 del 12/4/2018, COGNOME, non massimata, richiamata anche dalla Corte d’appello), sulla base dell’insegnamento delle Sezioni Unite ((Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, COGNOME, Rv. 261104), “per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigoro dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di e che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad es a tal fine l’indagine giudiziaria, volta a ricostruire l’iter e l’esito d decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananz condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperi dell’agente; c) la durata e la ripetizione dell’azione; d) i! comport
successivo ai fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell’evento; g) l conseguenze negative anche e per l’autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione nonché la possibilità di ritene alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento (cosiddetta prima formula di Frank)”.
Nel caso in esame, proprio considerando detti indicatori, risulta coerente l’affermazione della rappresentazione da parte della ricorrente della probabile verificazione dell’evento ascrittole, ossia della effettuazione di una compensazione illecita mediante l’utilizzo di crediti inesistenti di ammontare superiore alla sogli di punibilità, considerando il totale disinteresse della ricorrente per il corret adempimento degli adempimenti fiscali (ossia la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa); l’esperienza della ricorrente in materia societaria e il compenso dalla stessa percepito (ossia le pregresse esperienze dell’agente e la sua personalità); il permanere nella carica per un tempo apprezzabile nonostante le plurime anomalie più volte riscontrate e le segnalazioni di sospetto da parte di soggetti terzi (cioè la durata e la ripetizione dell’azione e il comportamento successivo al fatto); il fine di lucro perseguito, al punto da sollecitare il pagamento del compenso, e l’accettazione delle conseguenze negative della condotta (ossia il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali); la rilevante probabilità dell’inadempimento agli obblighi tributari, avendo la ricorrente riconosciuto di aver sottoscritto documentazione amministrativa e di essersi recata anche presso l’Agenzia delle Entrate (ossia la probabilità di verificazione dell’evento e le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A fronte della corretta considerazione e valutazione da parte dei giudici di merito di tali indicatori la ricorrente ha opposto una contestazione generica, priva di autentico confronto con la vicenda e con tutti gli aspetti considerati dal Tribunale e dalla Corte d’appello, e fondata su una assertiva prospettazione della insussistenza dell’elemento soggettivo, che, però, è stata correttamente affermata e adeguatamente giustificata, con la conseguente evidente infondatezza di entrambi i motivi di ricorso
Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della genericità e della manifesta infondatezza di entrambi i motivi.
Alla deciaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 3/7/2025