Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 13823 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 13823 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 11/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nata a Firenze il DATA_NASCITA (parte civile);
avverso la sentenza del 14/12/2021 della Corte di appello di Firenze;
anche nei confronti di
COGNOME NOME, nato a Firenze il DATA_NASCITA (imputato);
COGNOME NOME, nato a Bitonto il DATA_NASCITA (imputato);
COGNOMENOME, nato a Signa il DATA_NASCITA (imputato);
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. n. 137 del 2020, che .ha concluso Chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
uditd, per la parte civile, l’AVV_NOTAIO, che ha depositato ,c onclusioni scritte e nota spese;
iti: l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO COGNOME, r COGNOME, nonché, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, per COGNOMECOGNOME . NOME COGNOMECOGNOME per COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14 dicembre 2021, la Corte di appello di Firenze ha integralmente confermato la sentenza de 19 ottobre 2018 del Tribunale di Firenze, con la quale gli imputati COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME erano stati assolti della contravvenzione di cui all’art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001, per insussistenza del fatto, con conseguente condanna della parte civile COGNOME NOME NOME pagamento delle spese processuali.
Avverso la sentenza la parte civile ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con una prima doglianza, si denuncia il vizio della motivazione del provvedimento impugnato in ragione del fatto che la Corte di appello si sarebbe limitata a riprodurre acriticamente la motivazione resa dai giudici di primo grado, senza porre in essere un esame puntuale delle specifiche doglianze contenute nell’atto di appello.
2.2. Con un secondo motivo di ricorso, si lamentano la violazione dell’art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001, con riferimento all’art. 37, comma 10, lettere e) e g) delle norme di disciplina generale del regolamento urbanistico del comune di Lastra a Signa (edizione del 2011), nonché la mancanza della motivazione del provvedimento impugnato, anche per travisamento della prova documentale.
Si ribadisce, quanto già sostenuto in appello, ovvero che il comma 3 dell’art. 37 del regolamento urbanistico comunale (R.U.C.) in esame non contemplerebbe alcuna lettera e) e che il Tribunale avrebbe dovuto applicare nel caso di specie il comma 10 dell’art. 37 del medesimo regolamento in tema di nuove costruzioni, come quella in contestazione. I giudici territoriali non si sarebbero in alcun modo misurati con le doglianze sul punto, infatti l’art. 37, comma 3, del regolamento comunale in esame riguarderebbe una diversa fattispecie rispetto a quella in contestazione, che sarebbe invece disciplinata dal comma 10 del medesimo articolo; l’errore di diritto nel quale sarebbero incorsi i giudici di merit sostanzierebbe nell’aver confuso la violazione dell’art. 37, comma 10, lettera e), del R.U.C. sulla distanza dai confini, con quella dell’art. 37, comma 10, lettera g), sulla distanza dalle strade pubbliche o in uso pubblico. Nel caso di specie si sarebbe consumata una violazione della distanza dai confini per le nuove costruzioni che non dovrebbe essere inferiore a metri 5, mentre la costruzione realizzata dagli imputati sarebbe stata eseguita alla distanza di metri 3,35 dal confine di proprietà dell’impresa RAGIONE_SOCIALE Inoltre, la Corte territoriale non avrebbe
tenuto in considerazione che il permesso di costruire n. 33 del 2013, rilasciato all’impresa RAGIONE_SOCIALE dal Comune di Lastra a Signa, richiama espressamente l’atto del AVV_NOTAIO del 15/05/2013, che costituisce parte integrante dello stesso permesso, e nel quale si è stabilito il divieto d effettuazione, in fase di realizzazione del fabbricato in esame, di opere edili sull’area fronteggiante il lotto, sul quale insisterebbe una stradella privata non asfaltata. La violazione di tali prescrizioni avrebbe dunque integrato la violazione del permesso, con ogni conseguenza di legge; mentre la mancata valutazione, da parte del collegio territoriale, delle prove documentali, rappresentate dagli att notarili, determinerebbe il vizio del provvedimento impugnato per mancata motivazione su emergenze decisive, con conseguente travisamento della prova.
2.3. In terzo luogo, si denuncia il vizio della motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui la Corte territoriale ha considerato la diramazione di INDIRIZZO non assoggettabile alla disciplina urbanistica, anche per travisamento delle prove. La Corte di appello avrebbe fondato la qualificazione quale strada privata della diramazione di INDIRIZZO sulla base delle sole prove testimoniali senza attribuire rilevanza alle norme di legge o di regolamento. I giudici di merito hanno inoltre affermato che la strada sopra menzionata non rientra nell’oggetto della disposizione di cui all’art. 37 del Regolamento comunale in quanto sterrata, poderale e privata, esistente solo di fatto e, dunque, non riconosciuta; tuttavia tale argomentazione nasconderebbe un macroscopico travisamento probatorio. Per la parte civile, dalla lettura dell’atto di compravendita stipulato dall’impresa RAGIONE_SOCIALE per l’acquisto del terreno identificat dalle particelle n. 689-688 emerge che tra gli obblighi gravanti sull’imputato COGNOME COGNOME è quello di adibire a sede stradale per passo pubblico la striscia di terreno larga 3 metri e lunga quanto il fronte di ciascuno apprezzamento di terreno. L’errore in cui sarebbe incorsa la sentenza si sostanzierebbe dunque nell’aver ritenuto la parte a munte di INDIRIZZO una viottola privata non assoggettabile alla disciplina urbanistica, senza considerare la destinazione negoziale risultante dall’atto notarile di compravendita che avrebbe previsto il pubblico transito; ciò in quanto per “strada pubblica o di uso pubblico” dovrebbero intendersi anche quelle strad.: , destinate ad uso pubblico per effetto di atti tra privati. La Corte di appell avrebbe disatteso le doglianze in punto di diritto sollevate dalla difesa e si sarebbe limitata a valorizzare le sole risultanze testimoniali, comunque contraddittorie. Secondo la parte ricorrente, la teste COGNOME ha affermato di non ricordare, di non essersi mai recata sul luogo e non ha confermato la dichiarazione scritta a sua firma, cui fa riferimento la sentenza impugnata; il teste COGNOME, parimenti, ha affrontato la questione della strada solo marginalmente e si è limitato ad affermare che si trattava di una strada poderale. Il provvedimento impugnato si sarebbe Corte di Cassazione – copia non ufficiale
limitato a contestare alla parte civile la mancata confutazione delle prove testimoniali; ma le dichiarazioni dei testi sarebbero state erroneamente valutate dai giudici di merito, i quali avrebbero valorizzato elementi estranei alle deposizioni dei medesimi testi.
2.4. Con un’ultima censura, parzialmente ripetitiva delle precedenti, si lamentano la violazione di legge ed il vizio della motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui i giudici di merito hanno ritenuto rispettata la distanza di metri cinque basandosi sulle dichiarazioni contraddittorie rese dai testi COGNOME e COGNOME, determinando altresì una violazione dell’art. 37 R.U.C. in relazione all’art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001. In primo luogo, la difesa sottolinea l’erronea valutazione di quanto riferito dalla teste COGNOME in merito all’incidenza, ai fini della valutazione della distanza legale da rispettare della presenza di un garage all’interno del muro dell’edificio. La ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimità dalla quale si desumerebbe che la valutazione circa la distanza da rispettare dovrebbe tenere conto di tutti gli accessori e le pertinenze stabilmente incorporate allo stabile, e che il calcolo della distanza da rispettare dovrebbe partire dalla parte più prossima alla proprietà antagonista. Da ciò deriverebbe la sussistenza del reato, in quanto gli imputati avrebbero, ottimizzando lo sfruttamento delle loro particelle, realizzato un edificio ad una distanza inferiore a 5 metri dal confine e occupato, senza lasciare i 3,5 metri previsti dall’atto di compravendita, parte della strada destinata al pubblico transito, insistente sulla particella 689. Infatti, la distanza di circa tre metri p transito dei veicoli, accertata dagli agenti in sede di sopralluogo, non sarebbe stata lasciata dagli imputati, bensì dal confinante COGNOME, e ciò risulterebbe documentalmente riscontrato dalle mappe catastali e dalle immagini in atti, dalle quali risulterebbe la coincidenza dei tre metri non con la particella 689 – di proprietà degli imputati – ma con quella 690 di proprietà del COGNOME. A riprova di tale circostanza deporrebbe il contratto di vendita autenticato dal AVV_NOTAIO del 15/05/2013, nel quale si evincerebbe come la diramazione a monte di via COGNOME dovesse essere larga 7 metri, di cui la metà da lasciarsi dall’impresa RAGIONE_SOCIALE, e l’altra metà, da conferirsi al COGNOME, che sarebbe attualmente rappresentata dalla particella 690; l’unica parte della strada che si restringerebbe a circa 3 metri, così come sarebbe stato rilevato dagli agenti di Polizia Municipale. La difesa della ricorrente rileva che, se gli imputati non avessero occupato la sede stradale, il teste agente COGNOME avrebbe riscontrato una strada larga 7 metri e non 3. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.5. La parte civile ha presentato successiva memoria, con la quale insiste per l’accoglimento del ricorso, censurando le conclusioni della Procura Generale e
ribadendo le argomentazioni relative alle carenze motivazionali della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso, in via generale, che le censure sono dirette ad ottenere una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un’effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). Inoltre, in tema di ricorso per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, il sindacato di legittimità è limitato alla sola verifica dell’esposizione dei fatti probatori e dei criteri adotta fine di apprezzare la rilevanza giuridica, nonché della congruità logica del ragionamento sviluppato nel testo del provvedimento impugnato rispetto alle decisioni conclusive. Ne consegue che resta esclusa la possibilità di sindacare le scelte compiute dal giudice in ordine alla rilevanza ed attendibilità delle fonti d prova, a meno che le stesse non siano il frutto di affermazioni apodittiche ed illogiche (ex plurimis, Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Rv. 284556; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747). A ciò va aggiunto che il requisito della specificità dei motivi implica, a carico della parte impugnante, non soltanto l’onere di dedurre le censure che intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi fondanti le censure medesime, al fine di consentire al giudice di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (ex plurimis, Sez. 6, n. 17372 del 08/04/2021, Rv. 281112). Infine, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (ex plurimis, Sez. 2, n. 42406 del 17/07/2019, Rv. 277710; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Rv. 231708; Sez. 6, n. 12 del 29/10/1996, dep. 1997, Rv. 206507). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.1. Il primo motivo – con il quale si censura il vizio della motivazione del provvedimento impugnato in ragione del fatto che la Corte di appello si sarebbe limitata a riprodurre acriticamente la motivazione resa dai giudici di primo grado,
senza esaminare le specifiche doglianze contenute nell’atto di appello – è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata risulta, diversamente da quanto esposto nel ricorso, adeguatamente motivata, offrendo precise e puntuali risposte alle specifiche doglianze che erano state sollevate con l’atto di appello. La circostanza che i giudici territoriali abbiano condiviso le conclusioni alle quali era giunto il giudice di prim grado non può determinare, ex se, una carenza assoluta di motivazione; infatti, il collegio distrettuale non si è limitato a richiamare la motivazione del Tribunale in maniera acritica, ma ha integrato quanto già affermato, sulla scorta delle deduzioni difensive che, riproponendo – nella quasi totalità – temi già trattati in primo grado, non consentivano comunque di ampliare in maniera significativa il thema decidendum oggetto del giudizio di appello.
1.2. Le susseguenti tre censure, che possono essere esaminate congiuntamente – con le quali si lamentano la violazione dell’art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001, con riferimento all’art. 37, comma 10, lettere e) e g), delle norme di disciplina generale del regolamento urbanistico del Comune di Lastra a Signa (edizione del 2011); nonché la mancanza della motivazione del provvedimento impugnato anche per travisamento della prova – sono inammissibili.
Nel caso di specie, la qualificazione giuridica della natura della strada, contestata dalla parte civile, costituisce una questione di fatto che è già stata adeguatamente trattata dai giudici di merito, i quali hanno correttamente valorizzato le dichiarazioni della teste COGNOME. Questa ha affermato che le prescrizioni relative alla distanza tra il fabbricato e la strada privata non potevano essere specifiche, perché la strada in contestazione è da qualificare come strada esistente solo di fatto, non riconosciuta, e dunque non potevano essere statuite le distanze previste dal regolamento edilizio, ma vi era il solo obbligo di rispettare una ilstanza adeguata per consentire la fruibilità dei luoghi; distanza che è stata effettivamente riscontrata nel corso dell’accertamento effettuato dagli agenti di polizia municipale, i quali hanno verificato la percorribilità con veicoli di tale are qualificata da parte ricorrente come “strada”. Ad ulteriore conferma della correttezza di quanto statuito dai giudici di merito depone proprio il permesso di costruire n. 33 del 2013, relativo al fabbricato oggetto del presente giudizio, nel quale la strada in esame viene espressamente qualificata quale “stradella privata non asfaltata, conformemente a quanto indicato nell’atto di compravendita stipulato in data 15/05/2013 COGNOME NOME Rep. 33715 Racc. 16573″. Tale permesso risulta ad oggi pienamente valido ed efficace, non contestato dalla parte civile, e comprovante il rispetto della distanza legale da mantenere, non violata dagli imputati, tenuto conto che la valutazione della distanza di 5 metri,
necessaria nel caso di specie, doveva essere effettuata prendendo quale termine di paragone non la strada privata ma la diversa strada pubblica INDIRIZZO, rispetto alla quale, come accertato dagli operatori del comune – e confermato dai giudici di merito – risulta essere stata rispettata la distanza necessaria ai fini procedere alla costruzione dell’edificio. Infine, anche la prescrizione esistente all’interno del contratto di compravendita relativa alla necessità di lasciare adeguato spazio per consentire il passaggio di autoveicoli risulta essere stata rispettata, come accertato dagli agenti di polizia municipale.
Le argomentazioni utilizzate dai giudici di merito al fine di disattendere la tesi sostenuta dalla ricorrente non contrastano con i principi espressi dal Consiglio di Stato (sentenza n. 3716 del 2003) – richiamati dalla stessa difesa – posto che la Corte territoriale ha sottolineato come difettasse in concreto la prova della destinazione pubblica della strada sterrata; prova che non può desumersi dagli accordi negoziali richiamati dalla difesa, i quali, sebbene facciano riferimento alla necessità di adibire a sede per passo pubblico la striscia di terreno larga 3 metri, non implicano necessariamente la qualificazione della stradella sterrata quale strada pubblica, ben potendo accadere che una strada privata sia destinata a consentire il passaggio di mezzi, pur non potendosi ritenere per questo inserita nella rete viaria pubblica o destinata all’uso pubblico. Inoltre, ad ulteriore conferma del carattere privato della strada in contestazione depone quanto sancito dal permesso di costruire – atto che in ogni caso deve considerarsi prevalente rispetto agli accordi negoziali stipulati tra i confinanti – che identifica la strada non asfalt come strada privata e non come strada pubblica.
Relativamente alla valutazione resa dalla Corte di appello circa le dichiarazioni testimoniali acquisite nel corso del procedimento, non si ravvisa nel corpo della motivazione, la contraddittorietà lamentata dalla ricorrente, avendo tutti i testi esposto la questione in maniera lineare, dando conto degli elementi che sorreggevano i loro ragionamenti. Peraltro, la Corte di appello ha dato conto compiutamente degli esiti dell’istruttoria dibattimentale, riportando in sintesi tutt le testimonianze rese dai soggetti qualificati (tecnici del Comune, agente della polizia municipale che aveva effettuato il sopralluogo) che avevano espressamente riferito in ordine al rispetto delle prescritte distanze tra il manufatto e la strada ciò in relazione al fatto così come descritto nell’imputazione, laddove risulta contestata la violazione del citato art. 37 del regolamento, nella parte in cui vieta l’edificazione a distanza non inferiore a 5 metri dalle strade. Come visto, di particolare pregnanza sul punto è la testimonianza della COGNOME, la quale – pur senza aver preso materiale visione dei luoghi – attraverso l’analisi dei documenti a disposizione, in particolare delle mappe catastali e delle planimetrie acquisite, ha correttamente sostenuto il carattere privato della strada, esistente solo di fatto.
A fronte della compiuta valutazione del complessivo quadro probatorio operata in modo conforme dai giudici di primo e secondo grado, le censure si sostanziano nel richiedere a questa Corte una rivalutazione nel merito della vicenda giudiziale, prospettando una versione alternativa dei fatti che non può essere oggetto di scrutinio in questa sede.
Infine, la ricorrente offre un’interpretazione erronea di quanto sancito dall’accordo negoziale a firma AVV_NOTAIO. Come ben evidenziato dai giudici di merito, questo deve essere inteso nel senso che, durante la realizzazione del fabbricato e delle relative opere esterne, non dovevano essere effettuate opere edili – insistenti sulla strada privata – idonee a limitare la viabilità e l’accesso stessa, lasciando per l’appunto una distanza di 3,5 metri idonea a garantirne la fruibilità (circostanza che è stata effettivamente documentata), e non una maggiore distanza pari a 7 metri.
Il ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
Vista la sua soccombenza, la parte civile deve essere condannata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dagli imputati, da liquidarsi in complessivi euro 3500,00, oltre accessori di legge, per ciascuno di essi.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, la parte civile alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dagli imputati, che liquida in complessivi euro 3500,00, oltre accessori di legge, per ciascuno di essi.
Così deciso il 11/01/2024
Il Consigliere estensore
GLYPH Il Presidente
Depositata in Cancelleria
Oggi, GLYPH 5 APR 2024
CORTE fli CASSAZIONE CENIRALE
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Corte di Cassazione – copia non ufficiale