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Dissequestro beni: quando l’appello è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un investitore per il dissequestro beni (oro) precedentemente affidati a una società e poi sottoposti a sequestro. La decisione si fonda sul fatto che, essendo i beni stati venduti dall’amministratore giudiziario, il diritto dell’investitore si è trasformato da diritto di proprietà a un mero diritto di credito. Tale diritto deve essere fatto valere nelle procedure concorsuali previste dal Codice Antimafia, rendendo l’istanza di dissequestro priva di interesse concreto e attuale.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dissequestro Beni: Inammissibile l’Appello se il Diritto si Trasforma in Credito

Una recente sentenza della Corte di Cassazione Penale ha chiarito un punto fondamentale in materia di dissequestro beni per i terzi investitori coinvolti in procedimenti penali. La Corte ha stabilito che, qualora il bene specifico (in questo caso, oro) sia stato venduto dall’amministratore giudiziario, l’investitore perde l’interesse a richiedere la restituzione del bene stesso, e il suo diritto si trasforma in un credito da far valere in un’altra sede. Analizziamo insieme la vicenda.

I Fatti del Caso

Una risparmiatrice aveva investito in metalli preziosi attraverso un contratto denominato “Conto Tesoro” con una società specializzata. Successivamente, la società è stata oggetto di indagini e le sue quote sono state sottoposte a sequestro. Durante le operazioni, anche i metalli preziosi della ricorrente, depositati presso la società, sono stati inclusi nel provvedimento ablativo a causa di una “confusione contabile e materiale” con i beni dell’impresa.

L’investitrice, ritenendosi terza in buona fede ed estranea ai fatti, ha presentato istanza per ottenere il dissequestro beni, ovvero la restituzione del suo oro o, in subordine, del suo controvalore in denaro. La sua richiesta è stata rigettata in primo grado e anche l’appello successivo è stato dichiarato inammissibile dal Tribunale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26646 del 2025, ha confermato la decisione del Tribunale, dichiarando a sua volta inammissibile il ricorso della risparmiatrice. La Corte ha ritenuto che l’appello fosse privo dei presupposti necessari per essere accolto, basando la sua decisione su argomentazioni procedurali e sostanziali molto precise.

Le Motivazioni: la trasformazione del diritto e l’inammissibilità del dissequestro beni

Le motivazioni della Corte si concentrano su due aspetti principali che hanno reso l’istanza di dissequestro beni non più percorribile.

In primo luogo, è emerso un fatto decisivo: l’amministratore giudiziario nominato per la società sotto sequestro aveva già ottenuto l’autorizzazione a vendere tutto l’oro e a versare il ricavato in un fondo dedicato (il Fondo Unico Giustizia). Di conseguenza, il bene fisico che la ricorrente chiedeva in restituzione non esisteva più. Questo ha comportato la carenza di un “interesse concreto ed attuale” all’impugnazione, poiché un’eventuale sentenza favorevole non avrebbe potuto produrre l’effetto richiesto, ovvero la restituzione dell’oro.

In secondo luogo, e come diretta conseguenza del primo punto, il diritto di proprietà della ricorrente sul bene fisico si è trasformato in un diritto di credito di pari valore. La Corte ha chiarito che l’investitrice, in qualità di terza di buona fede, non ha perso il suo diritto, ma la sua natura è cambiata. Non può più rivendicare un bene specifico, ma deve insinuarsi nella procedura di verifica dei crediti per ottenere il rimborso del controvalore.

La Suprema Corte ha sottolineato che la procedura corretta da seguire è quella delineata dal Codice Antimafia (D.Lgs. 159/2011). Questa normativa prevede un meccanismo “concorsuale” in cui tutti i creditori terzi di buona fede possono presentare domanda per il riconoscimento del proprio credito. Sarà poi il giudice delegato a verificare la legittimità delle richieste e a formare un piano di riparto delle somme disponibili. Tentare di ottenere la restituzione tramite un’istanza di dissequestro beni equivarrebbe a scavalcare questa procedura, creata appositamente per tutelare in modo ordinato tutti i creditori.

Conclusioni

Questa sentenza offre un’importante lezione per gli investitori e i terzi che si trovano coinvolti nel sequestro di beni di società con cui hanno rapporti contrattuali. L’insegnamento chiave è che, una volta che il bene specifico viene liquidato dall’amministrazione giudiziaria, la strategia processuale deve necessariamente cambiare. Non ha più senso insistere con un’istanza di dissequestro. La strada da percorrere diventa quella dell’accertamento del credito secondo le procedure specifiche previste dalla legge, dimostrando la propria buona fede e l’estraneità ai fatti illeciti contestati. La tutela del terzo non viene meno, ma si adatta alla mutata situazione patrimoniale, trasformandosi da una pretesa su un bene a una pretesa su una somma di denaro.

Quando un appello per il dissequestro di beni viene considerato inammissibile?
Un appello per il dissequestro è inammissibile quando è meramente ripropositivo di questioni già esaminate senza addurre nuovi elementi, oppure quando il ricorrente non ha più un interesse concreto e attuale a ottenere la restituzione del bene, ad esempio perché il bene stesso è stato venduto.

Cosa succede al diritto di un investitore se i suoi beni in oro, sottoposti a sequestro, vengono venduti dall’amministratore giudiziario?
Il suo diritto di proprietà sul bene fisico si trasforma in un diritto di credito per un importo pari al controvalore del bene venduto. L’investitore non potrà più chiedere la restituzione dell’oro, ma dovrà chiedere il pagamento della somma corrispondente.

Qual è la procedura che un terzo di buona fede deve seguire per recuperare il valore dei propri beni confluiti in un sequestro e poi venduti?
Deve seguire la procedura prevista dal Codice Antimafia (D.Lgs. 159/2011), presentando una domanda di ammissione del proprio credito all’autorità giudiziaria. Si instaura così un procedimento volto a verificare i diritti di tutti i terzi creditori per poi procedere a un piano di riparto delle somme ricavate dalla vendita dei beni sequestrati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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