Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26683 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26683 Anno 2025
Presidente: COGNOME Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/06/2025
TERZA SEZIONE PENALE
NOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da:
avverso l’ordinanza del 11/02/2025 del Tribunale di Lecce
il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha concluso riportandosi alla memoria con la quale ha chiesto l’annullamento con rinvio;
RITENUTO IN FATTO
Avverso l’indicato provvedimento ha proposto ricorso il difensore della ricorrente, affidandosi ad un unico motivo, con il quale lamenta vizio di violazione di legge e di motivazione per inosservanza e/o erronea applicazione della legge, omessa o errato motivazione in relazione alla richiesta di dissequestro dell’oro e/o controvalore in denaro.
Nel ricostruire la vicenda, si rappresenta che la ricorrente aveva depositato presso la società RAGIONE_SOCIALE dei metalli preziosi del tipo oro sotto forma di ‘Conto Tesoro’, e che il contratto di adesione a tale proposta di investimento era valido ed efficace, come espressamente asserito dal Giudice per le indagini preliminari con il provvedimento di rigetto dell’istanza di dissequestro: in quella sede, infatti, era stato tra l’altro precisato che ‘le varie opzioni contemplate dal contratto potranno essere azionate nelle forme e nelle
Sent. n. sez. 1007/2025
CC – 26/06/2025
R.G.N. 11607/2025
tempistiche previste dal contratto stesso, fermo restando che, in caso di richiesta di ritiro del metallo o di sua cessione a EGM, sarà necessaria l’autorizzazione del giudice delegato’.
Si deduce altresì l’insussistenza di dubbi sul diritto di proprietà dei preziosi in capo all’istante, alla luce della documentazione in atti e dell’assenza di qualsiasi collegamento con le società al centro delle indagini: peraltro, per effetto del provvedimento ablativo, la ricorrente e gli altri soggetti interessati si erano visti privare della disponibilità di beni di loro esclusiva proprietà.
La ricorrente si diffonde poi sull’evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di diritti dei terzi in buona fede, con particolare riferimento alle disposizioni di cui agli artt. 52 segg. del d.lgs. n. 159 del 2011 (applicabili alla fattispecie in esame ai sensi dell’art. 104bis disp. att. cod. proc. pen.), e alla possibilità di ottenere il riconoscimento del credito ai sensi dell’art. 58 dello stesso d.lgs.
Si lamenta altresì la mancata considerazione della consulenza tecnica di parte in ordine alla possibilità di poter soddisfare i crediti vantati dallo Stato con gli immobili nella disponibilità del proposto.
Dopo essersi a lungo soffermato sulla assoluta buona fede della ricorrente, si richiamano le ulteriori affermazioni del Giudice per le indagini preliminari secondo cui, da un lato, ‘l’oro acquistato tramite il prodotto ‘Conto Tesoro’ non dovrebbe farsi rientrare tra i metalli sottoposti a sequestro’, trattandosi di beni appartenenti a terzi; d’altro lato, secondo il medesimo giudice, ‘la confusione contabile e materiale tra l’oro e quello normalmente utilizzato da RAGIONE_SOCIALE per la sua attività’ aveva determinato il suo confluire tra i beni strumentali all’attività dell’impresa in sequestro. Al riguardo, la ricorrente evidenzia che tale ‘confusione contabile’ non era in alcun modo addebitabile a colpa o negligenza della ricorrente e degli altri terzi interessati, che erano quindi titolari dell’oro in sequestro e legittimati a chiederne la restituzione.
Si censurano poi le ulteriori affermazioni del Tribunale, secondo cui la ricorrente – dopo la vendita dell’oro e il versamento del controvalore presso il F.U.G., ad opera dell’amministrazione giudiziario della E.G.M., previa autorizzazione del Giudice per le indagini preliminari – sarebbe titolare, quale terzo interessato, solo di una posizione creditoria da far valere in sede di verifica degli altri crediti, da compiersi all’udienza di cui all’art. 57 d.lgs. n. 159 del 2011. Si osserva, al riguardo, che ai terzi deve darsi la possibilità di ricevere la somma pari al controvalore dell’oro oggetto dell’investimento, dato che nessuna responsabilità poteva essere loro addebitata per la vendita dei preziosi in pendenza di sequestro non ancora divenuto confisca.
Sempre al fine di contrastare la valutazione di inammissibilità formulata dal Tribunale, si evidenzia che la ricorrente aveva effettivamente richiesto il controvalore in danaro, e che lo stesso Giudice per le indagini preliminari aveva sottolineato la perdurante validità ed efficacia dei contratti di adesione al prodotto ‘Conto Tesoro’. In tale prospettiva, si deduce anche l’inconferenza dell’ulteriore rilievo del Tribunale secondo cui ‘durante la ricognizione delle rimanenze di magazzino, sia durante l’operazione di sequestro con l’ausilio della P.G. e alla presenza dell’amministratore pro tempore, sia nelle successive operazioni di ricognizione del magazzino non veniva riscontrato oro/metallo prezioso specificamente identificato o depositato in un apposito caveau e destinato al prodotto ‘Conto Tesoro’ e, dunque, ai singoli sottoscrittori, viceversa previsto nelle condizioni generali di contratto al punto 3.3′.
Con requisitoria scritta il Sostituto Procuratore generale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza.
In replica alle conclusioni del Procuratore generale, il difensore ne ha chiesto il rigetto e, riprendendo le osservazioni contenute nel ricorso, ha ribadito la richiesta di annullamento, con o senza rinvio, dell’impugnata ordinanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile.
Deve in primo luogo osservarsi che il Tribunale di Lecce ha posto in evidenza, in via preliminare (pag. 1), che il Giudice per le indagini preliminari, con l’ordinanza del 9 dicembre 2024, aveva dichiarato inammissibile l’istanza di dissequestro, ritenuta meramente ripropositiva di questioni già esaminate e disattese in occasione del precedente provvedimento di rigetto di un’analoga istanza, emesso in data 24 novembre 2023, rispetto alla quale non erano stati dedotti ulteriori elementi di novità ovvero non previamente conosciuti.
Gli effetti preclusivi derivanti dalla decisione del 2023, evidenziati dal primo giudice e testualmente richiamati dal Tribunale di Lecce nel provvedimento oggetto del ricorso per cassazione, non sono stati in alcun modo contestati con l’atto di appello (nØ, tantomeno, nella sede odierna), con la conseguente originaria inammissibilità dell’appello proposto nell’interesse dell’odierna ricorrente (si veda, sul punto, tra le altre, Sez. 6, n. 1919 del 10/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287512 – 01, la quale – in una fattispecie di impugnazione meramente ripropositiva della originaria istanza de libertate – ha chiarito che «l’appello cautelare di cui all’art. 310 cod. proc. pen. ha la fisionomia strutturale e strumentale degli ordinari mezzi di impugnazione, sicchØ deve individuare i punti della decisione oggetto di censura ed enunciare i motivi di fatto e di diritto che si sottopongono al giudice del gravame in termini specifici, o almeno con una specificità proporzionale a quella delle argomentazioni che sorreggono il provvedimento impugnato»; in senso conforme, cfr., ad es., Sez. 5, n. 9432 del 12/01/2017, COGNOME, Rv. 269098 – 01; si tratta, poi, di un principio pacificamente applicabile all’appello cautelare reale, in questo senso, cfr. ad es. Sez. 2, n. 46575 del 11/11/2022, RAGIONE_SOCIALE).
Il Tribunale di Lecce ha fondato la declaratoria di inammissibilità dell’appello proposto dalla ricorrente anche sulla necessità di fare applicazione dell’insegnamento giurisprudenziale secondo cui ‘l’interesse ad impugnare deve essere concreto ed attuale, cosicchØ alla richiesta di eliminazione o riforma della decisione gravata deve conseguire un risultato vantaggioso (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 275953), che deve corrispondere allo schema tipizzato dall’ordinamento con l’impugnazione. Il gravame deve essere funzionale ad un risultato immediatamente produttivo di effetti nella sfera giuridica dell’impugnante’ (cfr. pag. 2 del provvedimento impugnato).
A sostegno della inammissibilità dell’appello, il Tribunale ha attribuito un dirimente rilievo alla impossibilità, per la ricorrente, di ottenere il dissequestro dell’oro di cui al contratto ‘Conto Tesoro’ a suo tempo stipulato, in primo luogo perchØ l’amministratore giudiziario della RAGIONE_SOCIALE (nel frattempo nominato a seguito del sequestro delle quote societarie) aveva chiesto ed ottenuto – come emerso dalla documentazione prodotta in udienza camerale dal Pubblico ministero – l’autorizzazione del Giudice per le indagini preliminari a vendere l’oro in sequestro, e a versare il ricavato presso il F.U.G.
In secondo luogo, il Tribunale ha richiamato le ulteriori indicazioni fornite dal predetto amministratore giudiziario in ordine al mancato reperimento – nelle operazioni di ricognizione delle rimanenze di magazzino, e nella successiva fase di esecuzione del sequestro – di oro ‘specificamente identificato o depositato in apposito caveau e destinato al prodotto ‘Conto
Tesoro’, e, dunque, ai singoli sottoscrittori, come viceversa previsto nelle condizioni generali di contratto al punto 3.3′ (cfr. pag. 2 dell’ordinanza impugnata).
In tale situazione, il Tribunale ha ritenuto che ‘l’appellante, in quanto terzo di buona fede, ha dunque solo un diritto di credito, che potrà far valere innanzi al giudice che ha emesso il decreto di sequestro, ai sensi degli artt. 52 e ss. d.lgs. 16ì59/2011, richiamato dall’art. 104-bis disp. att. c.p.p., come la stessa difesa ha evidenziato in sede di istanza di dissequestro. Il giudice delegato dovrà quindi provvedere alla verifica di tutti i crediti vantati nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE previa fissazione dell’udienza ai sensi dell’art. 57 del d.lgs. 159/2011′ (cfr. pag. 2, cit.).
Anche tale passaggio motivazionale Ł rimasto privo di adeguata confutazione da parte della difesa della ricorrente, che si Ł a lungo soffermata nell’odierno ricorso – in termini sostanzialmente sovrapponibili a quelli prospettati nell’istanza rigettata, nell’appello e anche nelle note conclusive – sulle disposizioni del d.lgs. n. 159 del 2011 e sulla tutela assicurata ai terzi estranei al reato da quelle disposizioni: osservando tra l’altro che ‘il creditore potrà avanzare all’Autorità Giudiziaria domanda di riconoscimento del proprio credito ai sensi del successivo art. 58 del Codice Antimafia; a seguito del quale si instaurerà un procedimento volto ad identificare quali siano i terzi creditori che concorrono alla formazione dello stato passivo ed al successivo piano di riparto’ (cfr. l’ottava pagina del ricorso, privo di numerazione).
Coglie allora nel segno il rilievo del Tribunale secondo cui Ł stata la stessa ricorrente ad aver ritenuto pacifica, sin dalla proposizione dell’istanza, l’applicabilità delle disposizioni del c.d. codice antimafia alla odierna fattispecie, e ad aver preso in esplicita considerazione il meccanismo di tutela ivi approntato con gli artt. 57 segg. (domanda di ammissione del creditore, fissazione dell’udienza di verifica, composizione dello stato passivo, ecc.).
Peraltro, la ricorrente non ha in alcun modo chiarito le ragioni per cui dovrebbe ritenersi esentata da tale procedimento di verifica ‘concorsuale’, essendosi limitata a insistere lungamente sulla propria buona fede: senza peraltro considerare non solo che tale condizione era stata esplicitamente riconosciuta dal Tribunale di Lecce (cfr. supra, § 3.1), ma che proprio la buona fede costituisce un indefettibile presupposto perchØ la verifica del credito vantato dal terzo, ai sensi degli artt. 52 segg., abbia un esito positivo.
¨ peraltro utile evidenziare che alle medesime conclusioni di inammissibilità dell’appello si perviene anche nell’ipotesi in cui si intenda seguire l’itinerario ricostruttivo tracciato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce, nel provvedimento di rigetto dell’istanza di dissequestro emesso in data 9 dicembre 2024.
In quella sede, era stato testualmente richiamato il contenuto della già citata ordinanza in data 24 novembre 2023, nella quale, da un lato, il giudice aveva precisato che il prodotto ‘Conto Tesoro’, acquistato dalla ricorrente prima del sequestro del 100% delle quote della RAGIONE_SOCIALE s.p.a., era destinato agli investitori ed era offerto da una società regolarmente iscritta nell’apposito registro della Banca d’Italia; il relativo contratto ‘prevedeva la vendita di oro da RAGIONE_SOCIALE ai privati che ne facevano richiesta e il metallo acquistato dagli investitori doveva restare in deposito presso la RAGIONE_SOCIALE; alle scadenze previste dal contratto il cliente aveva facoltà di: 1) lasciare in custodia l’oro presso RAGIONE_SOCIALE; 2) ritirare il metallo acquistato previa una fusione e conversione in lingotti; 3) cederlo alla stessa RAGIONE_SOCIALE ed incassare il corrispettivo al Fixing (prezzo dell’oro) della data di richiesta’ (cfr. pag. 1 dell’ordinanza del 9 dicembre 2024).
D’altro lato, avuto riguardo alla prosecuzione dell’attività della EGM (per la quale l’amministratore giudiziario aveva chiesto di essere autorizzato, in ragione della discreta
situazione societaria), il giudice aveva ulteriormente osservato che poteva ‘pertanto ritenersi valido ed efficace il contratto sottoscritto con RAGIONE_SOCIALE per l’adesione al prodotto Conto Tesoro, per cui le varie opzioni contemplate dal contratto potranno essere azionate nelle forme e nella tempistica prodotte dal contratto stesso, fermo restando che, in caso di richiesta di ritiro del metallo o di una sua cessione a RAGIONE_SOCIALE, sarà necessaria l’autorizzazione del giudice delegato prima di dare esecuzione alla richiesta, dovendosi qualificare tali atti come di straordinaria amministrazione che possono compromettere la gestione dell’azienda in sequestro’ (cfr. pag. 2 del decreto del 9 dicembre 2024).
Nella parte conclusiva del ricorso e nella memoria di replica sono stati richiamati tali passaggi argomentativi, censurando la prospettazione del Tribunale di Lecce nella parte in cui aveva ritenuto che la ricorrente fosse ormai titolare di un mero diritto di credito: precisando, in tale diversa prospettiva ‘contrattuale’, di aver fatto anche richiesta del controvalore in danaro.
Deve peraltro osservarsi – e il rilievo assume valenza dirimente – che le facoltà derivanti dal contratto stipulato dalla ricorrente con la EGM potranno eventualmente essere esercitate nei confronti dell’amministratore giudiziario, ove questi decida di subentrare ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 56 d.lgs. n. 159 del 2011: essendo il predetto amministratore, come già chiarito nel provvedimento di rigetto dell’istanza di dissequestro, l’unico soggetto legittimato a prendere in considerazione le richieste formulate in tale ambito, e ad assumere le conseguenziali determinazioni (previa autorizzazione del giudice, ove necessaria).
In buona sostanza, anche ponendosi nella prospettiva prettamente ‘contrattuale’ delineata dal Giudice per le indagini preliminari, deve escludersi che dall’incidente cautelare reale proposto dalla ricorrente possa derivare ‘un risultato immediatamente produttivo di effetti nella sfera giuridica dell’impugnante’ (cfr. supra, § 3).
Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così Ł deciso, 26/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME NOME
NOME COGNOME