Dissequestro Bene: Quando una Sentenza di Confisca Impedisce la Restituzione?
La richiesta di dissequestro di un bene da parte di un terzo estraneo al reato rappresenta una situazione complessa e delicata nel panorama giuridico. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 25522/2025, ha offerto chiarimenti cruciali su un punto specifico: l’impossibilità di ottenere la restituzione di un bene quando una sentenza, seppur non ancora definitiva, ne ha già confermato la confisca. Analizziamo insieme i dettagli di questo caso per comprendere le implicazioni pratiche per chi si trova in una situazione simile.
I Fatti di Causa
La vicenda ha origine dal sequestro preventivo di un’autovettura, avvenuto nel contesto di un’ampia operazione giudiziaria. La proprietaria del veicolo, una persona completamente estranea alle indagini e al procedimento penale, presentava un’istanza per ottenerne la restituzione. La sua richiesta veniva però rigettata dalla Corte di Appello.
Successivamente, la donna proponeva appello contro tale decisione, ma il Tribunale del riesame lo dichiarava inammissibile. La ragione? Esisteva già una sentenza di appello che, nel merito del procedimento principale, aveva confermato la confisca del veicolo disposta in primo grado. Secondo il Tribunale, questa precedente decisione “precludeva” un nuovo esame della richiesta di dissequestro.
Il Ricorso in Cassazione: i motivi dell’impugnazione
Contro l’ordinanza del Tribunale, la proprietaria del veicolo ha presentato ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. Errata applicazione della legge: La difesa sosteneva che il Tribunale avesse sbagliato a considerare la sua istanza preclusa dalla sentenza di confisca, in quanto quest’ultima non era ancora diventata irrevocabile (cioè definitiva).
2. Mancata valutazione nel merito: La ricorrente lamentava che non fosse mai stata effettuata una valutazione concreta sulla sua estraneità ai fatti e sulla sua effettiva capacità economica di acquistare legittimamente il veicolo, elementi fondamentali per escludere la confisca nei confronti di un terzo in buona fede.
Le Motivazioni della Suprema Corte sul dissequestro del bene
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo “manifestamente infondato”. I giudici hanno confermato un principio di diritto ormai consolidato: l’istanza di revoca del sequestro preventivo e il relativo appello sono preclusi non solo dalla confisca irrevocabile, ma anche da quella disposta con sentenza di primo grado e confermata in appello.
La logica dietro questa decisione è chiara: se il merito della questione – ovvero la legittimità della confisca del bene – è già stato discusso e deciso nel processo principale, non è possibile “riaprire” la stessa valutazione attraverso un procedimento incidentale come la richiesta di dissequestro. In altre parole, una volta che la Corte d’Appello ha confermato la statuizione ablatoria, il tema non può più essere messo in discussione se non attraverso i mezzi di impugnazione ordinari contro quella sentenza (come il ricorso per cassazione).
L’inammissibilità del motivo principale ha reso superfluo l’esame delle altre censure, come quelle relative alla titolarità del bene e alla capacità patrimoniale della ricorrente, che sono state considerate “assorbite”.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Decisione
Questa sentenza ribadisce un concetto fondamentale per i terzi proprietari di beni coinvolti in procedimenti penali: la tempistica e la sede processuale in cui far valere i propri diritti sono cruciali. Attendere l’esito del processo di merito per poi agire con un’istanza di dissequestro può rivelarsi una strategia perdente se, nel frattempo, interviene una sentenza che dispone la confisca.
L’insegnamento pratico è che il terzo interessato deve intervenire attivamente nelle fasi del processo in cui si discute del destino del bene, dimostrando la propria buona fede e la legittima provenienza del bene stesso. Una volta che la confisca viene confermata in appello, le possibilità di recuperare il bene si riducono drasticamente, poiché il principio di preclusione impedisce di rimettere in discussione quanto già deciso.
È possibile chiedere il dissequestro di un bene dopo una sentenza di appello che ne ha disposto la confisca?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che una richiesta di revoca del sequestro preventivo è preclusa dopo che una sentenza di appello ha confermato la confisca del bene, anche se tale sentenza non è ancora definitiva, perché il merito della questione è già stato deciso.
Cosa significa che una richiesta è ‘preclusa’ da una precedente decisione?
Significa che la questione sollevata non può essere esaminata dal giudice perché è già stata oggetto di una decisione in una fase precedente del procedimento e non sono stati presentati elementi nuovi che possano giustificare un riesame.
Il terzo proprietario di un bene, estraneo al reato, può sempre ottenere la restituzione?
Non sempre. Anche se il terzo è estraneo ai fatti, la sua richiesta di restituzione può essere dichiarata inammissibile se viene presentata dopo che la confisca del bene è già stata confermata in appello, come stabilito nel caso esaminato.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25522 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25522 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 06/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nata a Cariati (CS) il 23/05/1986 avverso l’ordinanza del 21/01/2025 del Tribunale di Catanzaro
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Catanzaro, con decreto del 21 giugno 2025, dichiarava inammissibile l’appello avverso l’ordinanza emessa dalla Corte di appello di Catanzaro in data 31 luglio 2024, di rigetto dell’istanza di dissequestro presentata da NOME COGNOME in qualità di terza interessata, avente ad oggetto l’autovettura marca Jeep, modello Wrangler, tg. CODICE_FISCALE ablata con decreto di sequestro preventivo emesso in data 30 dicembre 2017 nell’ambito del procedimento penale n. 3382/15 RGMR (cd. operazione Stige), ritenendo che la
valutazione sul thema decidendum proposto con il gravame fosse preclusa dalla statuizione di conferma della confisca disposta in primo grado, operata dalla Corte di appello con sentenza del 10 novembre 2023.
Il difensore di NOME COGNOME ha presentato ricorso per cassazione avverso detta ordinanza e ne ha chiesto l’annullamento, deducendo la violazione di legge per avere il Tribunale del riesame dichiarato inammissibile l’istanza, assumendo che la stessa fosse preclusa dalla statuizione di confisca operata dalla Corte di appello con sentenza del 10 novembre 2023. Si duole, inoltre, del fatto che l’autoveicolo di proprietà della ricorrente (mai imputata e neppure indagata nell’ambito del procedimento penale) sia stato sottoposto al vincolo reale senza una valutazione effettiva in relazione alla capacità economica della stessa relativamente all’acquisto.
Il ricorso è stato trattato in forma cartolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
Non coglie nel segno il primo profilo dell’unico motivo di ricorso. Il Tribunale del riesame si è conformato all’indirizzo di legittimità secondo cui, in tema di misure cautelari reali, l’istanza di revoca del sequestro preventivo e l’appello cautelare avverso l’eventuale decisione di rigetto non sono preclusi dalla confisca non irrevocabile disposta con la sentenza di primo grado, sempre che siano dedotti elementi nuovi rispetto agli atti processuali, non vagliati nella decisione di condanna, e sia ancora in discussione il merito della statuizione ablatoria, non potendo essere proposti dopo la pronuncia della sentenza di appello confermativa della confisca (Sez. 6, n. 4003 del 25/10/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285903), non essendo più in discussione il merito della relativa statuizione. In tale quadro interpretativo trova coerente collocazione la fattispecie in esame.
L’inammissibilità della suddetta doglianza comporta l’assorbimento delle ulteriori censure concernenti la titolarità effettiva del bene in capo alla ricorrente e la valutazione della autonoma capacità patrimoniale della medesima.
Alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle
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spese processuali e della somma ritenuta equa di tremila euro alla Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 06/05/2025