Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29668 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29668 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/06/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 462/2025
– Relatore –
NOME COGNOME NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da:
avverso la sentenza in data 23/10/2024 della Corte militare di appello di Roma
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Da tali considerazioni il primo giudice aveva tratto la conclusione che l’ordine di indossare la mascherina impartito a COGNOME era in contrasto con una norma sovraordinata attributiva del potere esercitato dai superiori dell’imputato, sicchØ esso era da ritenersi, non nullo o annullabile, bensì giuridicamente inesistente, con l’ulteriore conseguenza che il mancato rispetto di esso da parte del militare non aveva determinato la disobbedienza, in quanto il medesimo aveva avuto ad oggetto una condotta non esigibile dal destinatario.
Si Ł concluso, quindi, per la sussistenza della prova piena che COGNOME aveva consapevolmente commesso il reato a lui ascritto.
Il ricorrente evidenzia che la Corte militare di appello ha ritenuto la sussistenza del pericolo concreto alla base della condotta contestata destituendo di portata probatoria l’affermazione del consulente tecnico di parte, prof. NOME COGNOME secondo cui l’utilizzo obbligatorio delle mascherine come strategia di prevenzione delle infezioni da Covid-19 non Ł attualmente supportato da evidenze scientifiche, reputando di poter trarre dalle argomentazioni del consulente un grado residuale di offensività della condotta alla stregua del fatto ritenuto notorio dell’imposizione normativa dell’uso della mascherina nel periodo di maggiore virulenza della suddetta infezione.
Le argomentazioni svolte dai giudici di appello sulla legittimità dell’ordine impartito a COGNOME sono, ad avviso della difesa, viziate dal richiamo di norme concepite in relazione al differente profilo del riparto di giurisdizione, ma non attengono al profilo del dovere del giudice ordinario di disapplicare l’atto amministrativo nullo quando tale valutazione insorga nell’ambito di un percorso argomentativo che ne imponga la valutazione incidenter tantum : si era trattato di un ordine militare affetto da nullità per carenza di potere in concreto e, siccome non era autonomamente impugnabile, esso non era nemmeno esigibile dal subordinato, non potendo limitarsi la tutela del destinatario di esso al mero diritto di rimostranza, sicchØ era stato corretto l’approdo raggiunto dal primo giudice che aveva ritenuto gli atti amministrativi considerati inidonei a degradare il diritto soggettivo di libertà dell’imputato.
¨ pure mancata, secondo il ricorrente, un’adeguata motivazione in punto di attinenza al servizio e/o alla disciplina dell’ordine impartito in modo nullo.
2.3. Con il terzo motivo si prospettano l’omessa applicazione dell’art. 5 cod. pen.,
l’inosservanza dell’art. 43 cod. pen. per l’erronea individuazione dell’elemento soggettivo del reato contestato, la violazione dell’art. 47 cod. pen. per l’omessa individuazione dell’errore sul fatto e la violazione dell’art. 59 cod. pen., per l’evenienza della scriminante dell’esercizio del diritto in forma putativa.
L’interpretazione data dai giudici di appello alla raccomandazione a indossare la mascherina residuata all’esito del periodo emergenziale come abilitazione per il responsabile di un settore della pubblica amministrazione a disporre prescrizioni in merito Ł, secondo la difesa, da disattendersi essendo il singolo individuo il destinatario di essa; in ogni caso, COGNOME aveva sempre sostenuto di avere agito nel ragionevole convincimento di esercitare un diritto mentre erano i suoi superiori ad aver erroneamente impartito l’ordine, sicchØ in tale situazione erano emersi gli indizi dell’ignoranza della legge penale, come riconfigurata dall’intervento della Corte costituzionale, trattandosi di errore caduto su un elemento integrativo della fattispecie penale, non ascrivibile al militare per la lacunosità e la contraddittorietà delle fonti normative di carattere generale e speciale concorrenti a regolare la situazione giuridica esaminata.
Anche a voler considerare l’ordine come elemento esterno alla fattispecie penale, il ricorrente osserva che sussistevano gli estremi dell’errore incolpevole sul fatto costituente reato e, comunque, al medesimo risultato avrebbe dovuto pervenirsi applicando la scriminante in forma putativa dell’esercizio del diritto, non essendo revocabile in dubbio che COGNOME, nel coacervo di norme ad alto contenuto tecnico rilevanti nel caso in esame, fosse incorso in errore sulla sussistenza di una causa che escludeva la punibilità della sua condotta.
2.4. Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 131bis cod. pen. in punto di mancato riconoscimento della corrispondente causa di non punibilità.
La motivazione della sentenza impugnata, per la difesa, ha ascritto in modo ingiustificato all’evenienza delle aggravanti e alla conseguente necessità di sostituzione del militare nel servizio le ragioni dell’esclusione della particolare tenuità, giacchØ la subvalenza delle aggravanti rispetto alle attenuanti generiche e l’irrogazione di una pena prossima al minimo costituiscono indici dell’evenienza della causa di non punibilità, approdo necessario in considerazione della natura oggettiva della particolare tenuità e della sussistenza del ragionevole dubbio sul grado di offensività residuale riconducibile alla condotta dell’imputato.
Il Procuratore generale, nel corso della discussione orale, ha chiesto il rigetto del ricorso, in quanto le deduzioni svolte dal ricorrente si profilano prive di fondamento, non competendo al militare, nel contesto oggetto di esame, sindacare l’utilità, o meno, del presidio costituito dalla mascherina di copertura delle vie aeree, non vertendosi in tema di difetto di attribuzione in ordine all’esercizio del potere di organizzare l’attività amministrativa, di tipo concorsuale, da parte del militare sovraordinato, essendo insussistenti le scriminanti, anche putative, invocate del ricorrente ed essendo incensurabile la valutazione della Corte militare di appello circa l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł contraddistinto da doglianze che, pur quando sono ammissibili, si rivelano prive di fondamento giuridico.
Per il vaglio di tutti i motivi, ivi incluso il primo, Ł utile puntualizzare che la Corte militare di appello, esprimendo un avviso nettamente contrastante con l’assunto posto alla base della prima decisione, ha recisamente escluso che nel caso in esame potesse
individuarsi un ordine qualificabile come giuridicamente inesistente a cui l’imputato potesse decidere di non attenersi senza conseguenze per la sua posizione.
In questo senso, i giudici di secondo grado hanno stigmatizzato come insostenibile l’affermazione che il Comandante del Centro di Selezione versasse, nel caso concreto, in carenza di potere nel dettare le disposizioni nella materia oggetto della trasgressione: Ł stato, al contrario, ritenuto palese il rilievo che lo statuto normativo del Centro attribuisse al Comandante la specifica competenza in materia di salute e di sicurezza dei militari in relazione alla tutela di tutte le persone comunque coinvolte nelle operazioni concorsuali.
Piø specificamente – si Ł rilevato – il fatto che fosse cessato lo stato di emergenza pandemica e che l’uso della mascherina fosse soltanto raccomandato, e non imposto, non aveva reso contrario alla legge l’ordine dato dal Comandante ai suoi subordinati, addetti a quelle operazioni concorsuali, di indossare il suddetto supporto sanitario durante il servizio: in effetti, la raccomandazione era destinata anche al responsabile di determinati settori della pubblica amministrazione, posto in posizione apicale, al fine di poter orientare le sue determinazioni e, valutando la stessa, il suddetto Comandante aveva emanato gli ordini per i militari addetti alle operazioni concorsuali.
Su tale versante, la Corte militare ha considerato che, nella specie, dovendo il Centro di Selezione gestire al meglio una procedura concorsuale, comportante la contemporanea presenza di una molteplicità di persone, militari e candidati, provenienti da differenti località, concludere che il Comandante responsabile di quelle operazioni non avesse titolo a impartire disposizioni di cautela uniformi – ma dovesse lasciare alla decisione dei singoli addetti alle operazioni la scelta circa l’uso dei presidi necessari, ivi compresa la mascherina – costituisce un approdo incongruo e non condivisibile.
Tale assunto – che il Collegio ritiene giuridicamente ineccepibile – rende chiaro come il piano attinente al reato contestato a COGNOME, ossia la disobbedienza militare, prevista e punita dall’art. 173 cod. pen. mil. pace., una volta che si pervenga in modo lineare a escludere l’illiceità e l’inesistenza dell’ordine a cui il militare non si Ł attenuto, sia del tutto distinto da quello relativo alla verificabilità, secondo la valutazione del destinatario della disposizione, della proficuità e della concreta utilità dell’attività a lui legalmente imposta.
3.1. ¨ bene ricordare il concetto giuridico di obbedienza militare fissato dall’art. 1347, comma 1, d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), secondo il quale l’obbedienza consiste nell’esecuzione pronta, rispettosa e leale degli ordini attinenti al servizio e alla disciplina, in conformità al giuramento prestato.
Posto ciò, Ł rilevante constatare che, nello scrutinio di merito, Ł restato indiscusso che l’uso del supporto costituito dalla mascherina di copertura delle vie aeree, pur dopo la cessazione del regime di obbligatorietà in determinati contesti stabilita nel periodo di emergenza per la pandemia di Covid-19, formava ancora oggetto di raccomandazione, come emerge dalla stessa consecutio di atti riportata in parte narrativa: in tale situazione risulta evidente che la prova della sua maggiore o minore efficacia rispetto alla prevenzione della trasmissione del virus suindicato non costituiva, nØ costituisce fattore idoneo a determinare l’illiceità dell’ordine avente ad oggetto la sua adozione in determinate attività del servizio.
Alla stregua di questa riflessione, il primo motivo del ricorso Ł da ritenersi privo di pregio: la mancata disposizione di una perizia sull’argomento e la mancata rinnovazione dell’esame del consulente tecnico della difesa non si profilano aver determinato la lamentata violazione dell’art. 603 cod. proc. pen.
La motivazione della sentenza di appello, invero, non ha svolto argomenti per destituire
di credibilità, mutandone la valutazione, la testimonianza del testimone esperto e consulente della difesa dell’imputato (prof. NOME COGNOME): i giudici di secondo grado – lasciando ferma la valutazione della portata di quella testimonianza qualificata – hanno, invece, ritenuto il suo contenuto, per l’oggetto su cui l’esame dello specialista era stato ammesso e si era svolto, irrilevante al fine di verificare l’antigiuridicità della condotta di disobbedienza ascritta all’imputato rispetto a un ordine legalmente dato, da ritenere in ogni caso non inesistente, nØ illecito.
Nella descritta situazione processuale, dunque, il fatto che la Corte militare di appello non abbia nuovamente escusso il suddetto consulente tecnico prima di approdare alla decisione di condanna, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, non ha integrato la denunciata violazione del comma 3bis della disposizione citata.
3.2. Beninteso, Ł assodata l’adesione al principio di diritto, autorevolmente affermato, secondo cui le dichiarazioni rese dal perito o dal consulente tecnico nel corso del dibattimento, in quanto veicolate nel processo a mezzo del linguaggio verbale, costituiscono prove dichiarative, sicchØ sussiste per il giudice di appello – che sul diverso apprezzamento di esse fondi, semprechØ decisive, la riforma della sentenza di assoluzione – l’obbligo di procedere alla loro rinnovazione dibattimentale attraverso l’esame del perito o del consulente (Sez. U, n. 14426 del 28/01/2019, Pavan, Rv. 275112 – 01, anche per la precisazione che analogo obbligo non sussiste ove la relazione scritta del perito o del consulente tecnico sia stata acquisita mediante lettura, ivi difettando la natura dichiarativa della prova; fra le successive, Sez. 2, n. 40347 del 31/05/2024, B., Rv. 287400 – 01, ha puntualizzato che, nell’ipotesi considerata, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale mediante l’esame del predetto consulente o perito Ł da ritenersi propedeutica anche alla successiva a nomina di un nuovo ausiliare; Sez. 4, n. 13379 del 14/02/2024, COGNOME, Rv. 286306 – 01).
Nella medesima prospettiva anche l’elaborazione della giurisprudenza convenzionale (di recente, Corte EDU 05/06/2025, COGNOME c. Itali) ha precisato che viola l’art. 6 CEDU la decisione del giudice di appello di annullare una sentenza di assoluzione, senza aver prima disposto una nuova audizione dei periti, le cui dichiarazioni – complementari alla perizia versata in atti e non meramente ricognitive del contenuto della stessa – erano state decisive per giungere al proscioglimento dell’imputato durante il processo di primo grado.
Tuttavia, nel caso in esame, nella dialettica che ha connotato il diverso approdo della decisione di appello rispetto a quella di primo grado, la testimonianza del consulente tecnico della difesa e la relazione dallo stesso redatta non hanno subìto da parte della Corte militare di appello la rivalutazione e, piø specificamente, la dequotazione della valenza scientifica e della tenuta logica intrinseca afferenti alle considerazioni specialistiche rassegnate dall’esperto.
Al contrario, i giudici di secondo grado hanno, con una motivazione adeguatamente rafforzata, conferito un diverso ordine giuridico ai fatti rilevanti ai fini della decisione, ordine rispetto al quale le considerazioni specialistiche del testimone esperto sono risultate (del tutto impregiudicata la caratura scientifica della fonte) non rilevanti e, in tal senso, non dotate – ma per le ragioni giuridiche fatte emergere dalla Corte militare di appello – dell’attributo della decisività.
Si deve considerare che, in tema di rinnovazione in appello dell’istruzione dibattimentale, devono ritenersi prove decisive, ai fini della prognosi di cui all’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., quelle che, nella decisione di primo grado, hanno determinato o anche solo contribuito a determinare un esito liberatorio e che, pur in presenza di altre fonti
probatorie di diversa natura, se espunte, si rivelano potenzialmente idonee a incidere sull’esito del giudizio di impugnazione in termini di proscioglimento o di condanna, ragion per cui la rinnovazione della prova dichiarativa non deve avvenire nel caso in cui il giudice di appello, allorquando la dispone, già ritiene di dover ribaltare, per un’autonoma ragione giuridica, non collegata alla valenza di quella prova, la sentenza assolutoria pronunziata in primo grado (Sez. 3, n. 45810 del 14/11/2024, P., Rv. 287215 -01). Di conseguenza, in ipotesi di ribaltamento della sentenza assolutoria, sussiste l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria quando la prova decisiva riguarda le dichiarazioni rese in dibattimento dai consulenti tecnici e dai periti, ancorchØ siano state acquisite le loro relazioni, sempre che nella motivazione della sentenza di overturning tali dichiarazioni siano state autonomamente valorizzate e rivalutate (Sez. 5, n. 7379 del 21/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285980 –
01).
3.3. Conclusivamente, assodato il complesso di principi ora ribaditi, si deve prendere atto che, nel caso al vaglio, la Corte militare di appello, non avendo in alcun modo rivalutato (ossia, non avendo valutato in modo differente, in senso deteriore) l’intrinseco contenuto delle dichiarazioni rese in dibattimento dal consulente tecnico, ma avendo esclusivamente ricollocato quel medesimo contenuto, non diversamente valutato, nel nuovo inquadramento – congruo e coerente – della fattispecie, ha rettamente omesso di rinnovare la corrispondente istruzione dibattimentale prima della decisione di secondo grado.
Per quanto concerne il secondo motivo, deve considerarsi importante la precisazione resa dalla Corte di secondo grado lì dove ha fatto notare che la normativa di settore contempla una specifica disciplina per il caso in cui il militare ritenga illegittimo l’ordine impartito dai superiori.
In particolare, secondo l’art. 729, comma 2, d.P.R. 15 marzo 2010, n. 90 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare), egli deve comunicare lealmente al superiore il motivo per il quale ritiene illegittimo l’ordine e, tuttavia, se l’ordine viene confermato, il militare Ł tenuto a eseguirlo, salvo a tutelare la sua posizione, in accordo con la previsione di cui all’art. 1465 dell’Ordinamento militare.
4.1. Posto ciò, i giudici di appello hanno constatato che COGNOME non aveva seguito questa procedura nel caso in esame, ma aveva semplicemente contravvenuto all’ordine che era stato impartito e, poi, era stato anche reiterato nei suoi confronti, in modo chiaro, sì da non far insorgere dubbi o esitazioni per il destinatario, dunque in modo conforme al disposto di cui all’art. 727 d.P.R. cit.
Non valgono a contrastare gli argomenti (dalla difesa ritenuti sorretti anche sotto il profilo tecnico dalla succitata testimonianza qualificata), inerenti alla non provata efficacia preventiva del contagio del presidio costituito dalla mascherina di copertura delle vie di respirazione, svolti in varia guisa a sostegno della doglianza: essi confluiscono ineludibilmente nell’alveo riservato all’opportunità o meno di questa pratica preventiva che il Comandante, per lo svolgimento dell’attività pure indicata, aveva ritenuto occorrente, fra l’altro sulla base della persistente raccomandazione impartita dalle fonti secondarie regolatrici della disciplina dettata per evitare la diffusione del virus; e il piano dell’opportunità – il punto va evidenziato – non atteneva a scelte sindacabili da parte del militare subordinato.
Del resto, nemmeno la mera – dedotta, ma soltanto dedotta dalla difesa – illegittimità dell’ordine sarebbe stata suscettibile di sindacato ostativo da parte di COGNOME.
Di primario rilievo Ł, di conseguenza, la considerazione che la prospettata, mera illegittimità dell’ordine, da un lato, non sarebbe bastata a legittimare il militare subordinato a
non eseguirlo e, dall’altro, che tale illegittimità Ł stata addotta dal ricorrente in modo neanche sostenibile, poichØ si Ł fondata sulla – piø o meno sostenibile – scientificità della tesi che nega rilievo protettivo dalla diffusione del virus alla mascherina, ma non ha destituito di giuridico fondamento il dato che il Comandante (fondandosi sulla circolare n. 1/22) aveva ritenuto adeguato dare corso alla raccomandazione ministeriale e prescrivere l’uso di quel supporto sanitario da parte dei militari nell’ambiente concorsuale.
In modo del tutto persuasivo, quindi, i giudici di appello hanno concluso che COGNOME non avrebbe potuto sottrarsi all’ordine legalmente dato nel quadro dell’ordinamento vigente.
4.2. ¨ stato chiarito – e merita di essere riaffermato – il concetto per cui l’art. 173 cod. pen. mil. pace, che prevede il reato di disobbedienza, tutela l’esigenza di assicurare il corretto funzionamento dell’apparato militare mediante l’osservanza dell’ordine impartito dal superiore gerarchico, per cui il diritto-dovere del militare di non ottemperarvi Ł limitato al caso (già esplicitamente indicato dall’art. 4, quarto comma, legge 11 luglio 1978, n. 382, poi replicato dall’art. 1349 Codice dell’ordinamento militare e dall’art. 729 T.U. cit.) in cui tale comando sia manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisca comunque manifestamente reato (Sez. 1, n. 3339 del 13/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251837 – 01; in precedenza, Sez. 1, n. 4060 del 08.11.2007, dep. 2008, COGNOME, Rv 239199 – 01; Sez. 1, n. 12595 del 16.11/1998, Hass, Rv 211771 – 01; fra le successive, Sez. 1, n. 34470 del 15/05/2015, COGNOME, non mass.).
Quindi, esorbita da questo specifico alveo il caso in cui la volontà del superiore gerarchico, estrinsecatasi nell’ordine, miri comunque a conseguire fini previsti dall’ordinamento, in quanto inerenti alle modalità di amministrazione del personale inquadrato in un’organizzazione gerarchica.
4.3. In corrispondenza della definita area di obiettiva antigiuridicità del reato di disobbedienza, consegue che, per la realizzazione del reato stesso, Ł sufficiente il dolo generico, consistente nella consapevole volontà di rifiutare di obbedire ad un ordine, attinente al servizio, intimato dal superiore al di fuori dell’ipotesi, sopra indicata, in cui la legge eccezionalmente impone di disobbedire.
Esula altresì, per la giuridica esistenza dell’elemento psicologico di questo reato, qualsivoglia diversa motivazione addotta dal militare subordinato per giustificare tale suo comportamento.
NØ la prospettazione di una situazione differente da quella configurata dall’indicata disciplina potrebbe ritenersi sintomatica dell’assenza dell’elemento soggettivo costitutivo del reato di disobbedienza: attesa l’evidenziata genericità del dolo, Ł irrilevante la natura dei motivi che hanno determinato la condotta dell’agente.
Per completezza, Ł utile precisare che questa impostazione si Ł considerata operante anche nel caso di conflitto fra ordini, essendosi precisato (da Sez. 1, n. 2217 del 19/01/1996, Fazio, Rv. 204045 – 01) che l’interpretazione della disciplina normativa imperniata sulle disposizioni degli artt. 173 cod. pen. mil. pace (e già dall’art. 25 d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545, Regolamento di disciplina militare) non consente di sostenere che l’asserita incompatibilità dell’ordine, attinente al servizio e intimato da un superiore, con l’ordine precedentemente ricevuto da un altro superiore, possa esimere il militare dalla sua esenzione, sull’assunto che essa costituirebbe reato di violata consegna: la legittimità dell’ordine impartito nell’interesse del servizio non consente al subordinato di eludere in alcun modo l’efficacia vincolante dell’ordine medesimo – anche se esso, al suo apprezzamento, può apparire non opportuno e il dovere di obbedienza sanzionato dall’art. 173 cod. proc. mil. pace; infatti, l’ipotesi di conflitto di ordini (già regolata dall’art. 25, d.P.R. n. 545 del 1986, poi regolata dall’art. 729
d.P.R. n. 90 del 2010) stabilisce risolversi il contrasto nel senso che il militare Ł tenuto ad obbedire al nuovo ordine e a informare appena possibile il superiore che aveva impartito l’ordine precedente.
4.4. Riprendendo il filo delle considerazioni dianzi svolte, i giudici di appello, lungi dal violare l’art. 173 cit., ne hanno fatto retta applicazione, così come hanno correttamente applicato la norma specificamente dettata dall’ordinamento militare in tema di esecuzione di ordini, il già richiamato art. 729 d.P.R. n. 90 del 2010.
A mente di questa norma, il militare deve eseguire gli ordini ricevuti con prontezza, senso di responsabilità ed esattezza, nei limiti stabiliti dal codice e dal regolamento, nonchØ osservando scrupolosamente le specifiche consegne e le disposizioni di servizio e, in particolare, il militare al quale Ł impartito un ordine che non ritiene conforme alle norme in vigore deve, con spirito di leale e fattiva partecipazione, farlo presente a chi lo ha impartito dichiarandone le ragioni, ed Ł tenuto a eseguirlo se l’ordine Ł confermato.
Soltanto quando al militare sia stato impartito un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque manifestamente reato, egli, come si Ł già precisato, ha il dovere di non eseguire l’ordine e informare al piø presto i superiori.
Al di fuori di questi casi estremi, non sussistono ragioni per legittimare eccezioni al principio consolidato.
Per le esposte ragioni si Ł da tempo consolidato il principio di diritto secondo cui l’azione tipica del reato di disobbedienza previsto dall’art. 173 cit. consiste nel rifiuto, nella omissione o nel ritardo di obbedienza ad un ordine attinente alla disciplina o al servizio, impartito da un superiore, da parte di un militare. La manifestazione della volontà del superiore, attinente al servizio o alla disciplina, quando non lasci alcuna libertà di comportamento del subordinato, deve essere considerata integrare un ordine, sicchØ, quando il superiore abbia manifestato al militare inferiore una legittima volontà, nell’interesse del servizio o della disciplina, e in funzione dell’autorità di comando, non Ł lecito al destinatario eludere in alcun modo, con il rifiuto esplicito, con l’omissione o con il ritardo della prestazione richiesta, il proprio dovere, essendo egli vincolato al dovere di obbedienza (così già Sez. 1, n. 8716 del 15/07/1993, COGNOME, Rv. 195073 – 01).
Alla stregua delle coordinate ermeneutiche man mano enucleate, la Corte di secondo grado ha, in modo argomentato e giuridicamente corretto, ritenuto non attinenti al caso oggetto di scrutinio le deduzioni difensive in punto di addotta – ma indimostrata – carenza di potere da parte dell’Autorità emittente l’ordine restato ineseguito.
4.5. Del pari, la Corte militare di appello, dissentendo dalle conclusioni raggiunte dal primo giudice sul punto della ritenuta inoffensività della condotta oggetto di imputazione, ha evidenziato, anzitutto, che per stabilire l’offensività qui rilevante non era necessario disporre perizia sul punto trattato dal consulente di parte e ha sottolineato che, piuttosto, con riferimento ai reati di pericolo, qual Ł quello di disobbedienza, onde pervenire all’assoluzione dell’imputato che abbia commesso la condotta tipica occorre la dimostrazione positiva dell’inoffensività di tale condotta, proprio alla luce del significato che assume la categoria dei reati di pericolo, dovendo il giudice accertare soltanto che si sia determinato il pericolo concreto per l’interesse tutelato, afferente al bene protetto dall’art. 173 cit.
¨ nel quadro così tratteggiato che si Ł considerato come l’affermazione del consulente di parte – circa il fatto che l’impiego obbligatorio della mascherina come strategia di prevenzione dell’infezione Covid non Ł attualmente supportato da evidenze scientifiche, essendo necessari ancora studi corredati da maggiore potenza statistica – non supporti
certamente la dimostrazione dell’inoffensività della condotta ascritta all’imputato rispetto all’interesse tutelato dalla norma incriminatrice, vale a dire la disciplina militare.
L’analisi del consulente di parte afferisce all’argomento che ha ritenuto non ancora possibile stabilire in modo certo il grado di tutela sanitaria conseguente al mancato uso della mascherina; fatto che, come hanno precisato i giudici di appello, non rileva, tuttavia, nella verifica della disobbedienza del militare all’ordine a lui impartito in merito all’uso del presidio suddetto.
Posto ciò e sottolineato anche, ad ogni buon fine, che dalle stesse indicazioni fornite dal consulente di parte, come richiamate dai giudici del merito, non Ł risultato infirmato l’approdo secondo il quale l’uso della mascherina per la prevenzione delle infezioni virali abbia avuto una non irrilevante utilità, confermata dall’adozione della disciplina impositiva al riguardo nel periodo di maggiore virulenza del Covid-19, la Corte di secondo grado – ritenuta la disposizione del Comandante non estranea al corretto dispiegamento della funzione svolta – ha logicamente considerato di dover escludere la mancanza di offensività della condotta disobbediente ascritta all’imputato.
In conclusiva sintesi, la questione agitata dal ricorrente in punto di insussistenza dell’offensività dell’atto di disobbedienza Ł stata fondatamente scartata dai giudici di appello, dal momento che essa non avrebbe dovuto essere indirizzata verso la verifica del grado di efficacia preventiva, sussistente o negata, del presidio sanitario che il militare si era rifiutato di indossare, bensì verso l’apprezzamento delle conseguenze sull’attività dell’amministrazione militare e la verifica dell’intralcio al servizio costituito dalle operazioni concorsuali scaturenti dalla condotta disobbediente dell’imputato.
Con riferimento a tale ambito COGNOME non ha articolato alcun argomento – al di là di prospettazioni di natura meramente rivalutativa – che possa stimarsi idoneo a destrutturare il solido discorso giustificativo offerto nella motivazione della sentenza impugnata.
Pertanto, anche la seconda doglianza deve essere disattesa.
Non meritano favorevole considerazione neanche gli svariati profili di censura cumulati dal ricorrente con il terzo motivo di impugnazione.
5.1. Una prima puntualizzazione occorre svolgere in ordine al tema, già impostato, della verifica dell’elemento soggettivo inerente al reato di disobbedienza.
¨ rilevante ribadire che il reato di disobbedienza militare si perfeziona, quanto all’elemento soggettivo, con riferimento al dolo generico, costituito dalla volontà di rifiutare di obbedire a un ordine che appaia oggettivamente attinente al servizio, nella piena consapevolezza della ribellione funzionale e dell’attinenza al servizio dell’ordine impartito dal superiore (Sez. 1, n. 28232 del 13/06/2014, COGNOME, Rv. 261412 – 01).
Orbene, dall’analisi compiuta dai giudici di appello emerge con nettezza la motivata valutazione della sussistenza – in relazione alla chiarezza e precisione della disposizione inadempiuta e alla reiterazione del rifiuto opposto dall’imputato – della volontà di COGNOME di non obbedire all’ordine impartito dal superiore, ordine certamente attinente al servizio che il militare era stato chiamato a svolgere, avendo egli messo in essere il comportamento inosservante con piena coscienza del vulnus apportato alla funzione che l’ordine del militare sovraordinato mirava a tutelare.
La lamentata violazione dell’art. 43 cod. pen., per la prospettata erronea individuazione dell’elemento soggettivo, attiene, quindi, a prospettazione del tutto priva di consistenza.
Il fatto, poi, che il ricorrente abbia addotto, nell’ambito di questa doglianza, che la posizione assunta dalla Corte militare di appello sulla valenza della raccomandazione impartita dalle fonti normative di settore circa il persistente impiego della mascherina
protettiva in determinati contesti sarebbe opinabile e che pari dignità avrebbe la tesi sviluppata dal primo giudice circa l’assenza di vincoli per il comportamento dei cittadini, di guisa che avrebbe dovuto comunque prendersi atto dell’incertezza insorta su chi potesse essere il reale destinatario del precetto, costituisce l’esito di un argomento giuridicamente insostenibile, siccome tale posizione non si confronta con la corretta individuazione dell’elemento oggettivo e dell’elemento soggettivo della norma incriminatrice violata, nei sensi già chiariti.
Ciascuna delle ulteriori variazioni proposte muovendo dall’erroneo assunto ora evidenziato, peraltro mediante il mero riferimento alle norme regolatrici degli istituti evocati e, perciò, in modo apodittico, si rivela conseguentemente infondata.
5.2. In particolare, la difesa – oltre a prospettare che l’ordine di partecipare alle operazioni concorsuali indossando la mascherina protettiva era stato ritenuto correttamente, se non altro in via putativa, dal militare COGNOME destinatario di esso, lesivo del suo diritto di libertà di autodeterminarsi in punto di prevenzione dal virus, sicchØ era da considerarsi contrario alle norme in vigore e quindi tale da giustificare la sua mancata esecuzione, assunto adeguatamente contrastato dalla Corte di merito, come si Ł già precisato – ha dedotto che l’imputato era incorso in errore sul fatto, facendo carico ai giudici di appello di aver incongruamente omesso la corrispondente rilevazione, imposta dall’art. 47 cod. pen.
Orbene, la disposizione che il Maresciallo COGNOME era stato chiamato a osservare, vale a dire di attendere alla funzione assegnatagli nelle operazioni concorsuali indossando la mascherina protettiva, oltre a non contenere alcunchØ di illegale e a non costituire manifestamente reato o, addirittura, indirizzare il comportamento del destinatario di essa contro le istituzioni dello Stato, era di chiara e semplice comprensione e di altrettanto agevole attuazione.
Il fatto che COGNOME opinasse che l’impiego del suddetto presidio sanitario non avesse utilità sotto il profilo della prevenzione della diffusione del virus, non poteva pertanto abilitare in nessun modo il militare – impregiudicato il suo diritto a professare quella sua opinione in tutte le sedi che avrebbe considerate competenti – a rifiutare l’esecuzione dell’ordine stesso.
E, come pure si Ł già precisato da parte della Corte di merito, di tanto l’imputato era certamente conscio, considerando d’altronde l’evidenziata natura generica del dolo che determina l’integrazione del reato di disobbedienza militare: nel caso in esame, l’imputato aveva esattamente colto la realtà effettuale in relazione a cui aveva orientato la sua condotta.
Non Ł inutile ribadire, sul tema, che l’errore sul fatto che, ex art. 47 cod. pen., esime dalla punibilità Ł quello che cade su un elemento materiale del reato e consiste in una difettosa percezione o in una difettosa ricognizione della percezione che finisca per alterare il presupposto del processo volitivo, indirizzandolo verso una condotta viziata alla base. Viceversa, se la realtà Ł stata esattamente percepita nel suo concreto estrinsecarsi, non si determina errore sul fatto, bensì errore sull’interpretazione tecnica della realtà e sulle norme che la disciplinano, errore non rilevante ai fini dell’applicazione della norma invocata (Sez. 5, n. 1780 del 26/10/2021, dep. 2022, P., Rv. 282471 – 01; Sez. 6, n. 32329 del 25/06/2010, COGNOME, Rv. 248092 – 01).
Non può, quindi, reputarsi l’evenienza dell’esimente invocata, nemmeno riferendosi al, pure dedotto, titolo putativo, giacchØ per la sua configurabilità sarebbe stato necessario che – pur non essendo obiettivamente vero che l’ordine impartito costituisse manifestamente reato o fosse stato indirizzato contro le istituzioni dello Stato – il destinatario di esso si fosse trovato nella situazione di fatto tale da indurlo a ritenere l’evenienza di un siffatto ordine
manifestamente contra legem nei sensi ora indicati, ossia fosse incorso in un errore di fatto sulla situazione determinativa della dedotta esimente.
Invece, nel caso esaminato, pur a voler dare per dimostrato l’asserto del ricorrente, si verterebbe in situazione in cui l’autore del fatto illecito avrebbe erroneamente inteso la normativa vigente come applicabile a una situazione rispondente alla realtà, a cui era evidente che essa non si attagliava, per cui, ove pure volesse darsi credito alle richiamate asserzioni, si tratterebbe di un mero errore di diritto.
Anche a tale ambito scriminante ha compiuto riferimento il ricorrente nell’atto di impugnazione, pur se ha indicato l’art. 59, anzichØ l’art. 51, cod. pen.
¨ però risultato chiaro che non sussisteva in capo al militare il diritto soggettivo a non indossare il presidio sanitario tale da paralizzare l’ordine a lui impartito.
5.3. Nemmeno giova alla difesa la prospettazione che, a causa della dedotta varietà di interpretazioni, a cui ascrive anche la dialettica concretatasi nelle diverse decisioni esitate giudici di merito, COGNOME sarebbe incorso in un errore di diritto non evitabile, determinativo della disobbedienza.
Deve considerarsi, per vero, che quest’ultimo errore non vale – in via generale e impregiudicati i (qui non influenti) casi specificamente eccettuati dall’art. 5 cod. pen. (pur come emendato da Corte cost., sent. n. 364 del 1988) – a escludere la punibilità dell’agente, perchØ esso, oltre a non potersi concettualmente assimilare, sotto nessun profilo, all’errore di fatto, nel caso in esame, ove verificatosi, si sarebbe comunque risolto in un inescusabile errore sulla liceità del comportamento, dipendente dalla personale opzione interpretativa ascrivibile all’agente stesso, contraria all’effettività degli obblighi giuridici derivanti dall’ordinamento.
Invero, non può invocarsi l’ignoranza della legge penale ex art 5 cod. pen. (sempre per come inquadrato alla luce dell’orientamento della giurisprudenza costituzionale) da parte di chi, professionalmente inserito in un campo di attività collegato alla materia disciplinata dalla legge integratrice del precetto penale, non si uniformi alle regole di settore, per lui facilmente conoscibili a ragione dell’attività professionale svolta (Sez. 3, n. 22813 del 15/04/2004, COGNOME, Rv. 229228 – 01).
Nel caso di specie, in primo luogo, la difesa avrebbe dovuto dedurre e dimostrare che, in modo assolutamente incolpevole, il militare subordinato, alla stregua delle regole dettate all’epoca dei fatti in tema di presidi sanitari volti a prevenire il contagio, avesse, per errore di diritto, percepito l’ordine di svolgere l’attività demandatagli nella sede concorsuale con l’impiego della mascherina suindicata come un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisse manifestamente reato, o comunque addurre l’evenienza di legittime ragioni che gli avessero reso, per errore di diritto, impossibile percepire come eseguibile la disposizione impartitagli e dare conseguentemente corso alle ripetute intimazioni del superiore, ragioni peraltro non manifestate secondo la procedura stabilita dall’art. 729 cit.
In questa prospettiva, si ricorda anche che non si richiede, in capo all’agente, la coscienza dell’antigiuridicità o dell’antisocialità della condotta e tanto meno la volontà di violare una determinata norma di legge, giacchØ altrimenti rimarrebbe svuotato di contenuto e di efficacia il precetto della inescusabilità dell’ignoranza della legge penale contenuto nel citato art. 5 cod. pen., pur come emendato dal Giudice delle leggi.
In secondo luogo, non costituisce un argomento favorevole in modo determinante alla posizione del ricorrente la constatazione della divergenza interpretativa insorta fra i giudici dei due gradi di merito (fatto del resto non inconsueto nell’ordinaria dialettica processuale):
ciò non elideva l’emersa necessità per il militare subordinato di eseguire l’ordine del superiore, all’evidenza non esorbitante dai limiti suindicati.
Del resto, come Ł stato di recente sottolineato dalle Sezioni Unite, la stessa incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell’interpretazione e nell’applicazione di una norma non abiliterebbe, da sola, a invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile della legge penale, in quanto il dubbio circa la liceità o meno di una condotta, ontologicamente inidoneo a escludere la consapevolezza dell’illiceità della medesima, deve indurre l’agente a un atteggiamento di cautela, fino all’astensione dalla condotta antigiuridica (Sez. U, n. 16153 del 18/01/2024, Clemente, Rv. 286241 – 02).
Trascorrendo alla disamina del quarto e ultimo motivo, si osserva che, nella medesima cornice già tratteggiata, i giudici di appello hanno escluso che l’imputato potesse essere ritenuto non punibile per la particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131bis cod. pen.
6.1. Si Ł considerato, sull’argomento, il fatto che il reato Ł risultato aggravato per le due circostanze del grado rivestito e per la presenza di tre o piø militari al momento del compimento dell’azione, entrambe incidenti sulla valutazione di gravità della violazione.
Si Ł valutato – anche e in modo non secondario – l’effetto determinato dalla condotta dell’imputato, sfociato nell’affrontata e, con le indispensabili attività aggiuntive, risolta necessità di sostituzione di COGNOME con un altro militare per conferire a quest’ultimo, osservante dell’ordine di utilizzare il presidio sanitario, l’incarico di provvedere all’espletamento delle incombenze assegnate al militare sostituito.
Questi dati di fatto, per la Corte di secondo grado, hanno connotato la fattispecie di un’offensività tale da farla esorbitare dall’ambito di applicazione della suindicata norma.
6.2. Ora, si muove dal concetto, già espresso dall’elaborazione di legittimità, in base al quale, in tema di reati militari, la concreta offensività della condotta di disobbedienza di cui all’art. 173 cod. pen. mil. pace, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131bis cod. pen., va parametrata alle circostanze di fatto in cui si Ł verificata la violazione e all’incidenza dell’ordine violato, quantomeno in prospettiva, sulla regolarità ed efficienza del servizio cui l’ordine era correlato (Sez. 1, n. 33369 del 12/04/2024, COGNOME, Rv. 286822 – 01); ciò, naturalmente, nell’alveo del principio di diritto secondo cui, ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, primo comma, cod. pen., ma non Ł necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 7, ord., n. 10481 del 19/01/2022, Deplano, Rv. 283044 – 01; Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647 – 01).
Nel quadro di principi così delineato, occorre prendere atto che la Corte militare di appello ha – sulla scorta di motivazione congrua ed esente da vizi logico-giuridici, dunque in modo incensurabile – valutato la condotta di disobbedienza serbata dall’imputato come connotata da una gravità tale da imporre l’esclusione della causa di non punibilità dell’art. 131bis cod. pen.
In relazione al complesso delle circostanze che aveva caratterizzato la condotta dolosa di COGNOME, l’apprezzamento di essa conclusivamente fatto dalla Corte militare di appello si Ł risolto, pertanto, in un giudizio di maggiore gravità della stessa, concretizzatasi in una forma e con modalità che – sulla base di una ponderazione congrua e coerente – sono state ritenute estranee alla sfera della particolare tenuità: i giudici di appello hanno incensurabilmente ritenuto il reato commesso dall’imputato inidoneo – per livello dell’offesa
al bene giuridico protetto, portata del danno o pericolo cagionato e modalità della condotta a rientrare nell’area dei fatti di particolare tenuità a cui l’art. 131bis cod. pen. stabilisce applicarsi la corrispondente causa di non punibilità.
Il ricorrente, dal canto suo, non ha svolto argomenti di spessore adeguato a infirmare la richiamata conclusione, tali non potendo considerarsi i riferimenti alla valutazione sanzionatoria inerente al diverso ambito delle circostanze attenuanti.
Mette conto ribadire, al riguardo, che non Ł dato rilevare alcuna contraddizione tra il diniego della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto e il riconoscimento delle attenuanti generiche.
In effetti, i parametri di valutazione previsti dall’art. 131bis , primo comma, cod. pen., anche con la considerazione della condotta susseguente al reato, hanno natura e struttura oggettive (pena edittale, modalità e particolare tenuità della condotta, esiguità del danno), mentre quelli da valutare ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche sono pure, e prevalentemente, collegati ai profili soggettivi del reo (Sez. 5, n. 17246 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 279112 – 01; v. anche Sez. 3, n. 35757 del 23/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270948 – 01).
Il complessivo esame dei motivi man mano valutati conduce, in definitiva, alla conclusione che l’impugnazione deve essere rigettata.
A questa pronuncia consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così Ł deciso, 24/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME