Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14344 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14344 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CAPPELLE SUL TAVO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/06/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Etritt3 il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
crte ha concluso chiedendo .,NOME` ctec GLYPH t2L-5.-L GLYPH to- t
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IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di L’Aquila confermava la sentenza con cui il tribunale di Pescara, in data 12.9.2022, aveva condannato COGNOME NOME alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato ex artt. 494, 61, n. 2), c.p., in rubrica ascrittogli.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, il quale, premesso che il processo innanzi la corte di appello veniva trattato nelle forme di cui all’art. 23-bis I. n. 176/20 e successive modificazione, lamenta: 1) violazione di legge e omessa motivazione, in ordine al mancato rispetto del termine di cui all’art. 601, co. 5, c.p.p., in quanto, fissata l’udienza innanzi alla corte di appello in data 9.6.2023, il decreto di citazione a giudizio emesso in data 11.5.2023 era stato notificato al difensore 1’11.5.2023 e all’imputato successivamente a tale data, dunque senza il rispetto del termine di quaranta giorni liberi, violazione eccepita in via principale innanzi al giudice di appello; 2) violazione di legge e vizio di motivazione, in punto di mancata esclusione della ritenuta recidiva
2.1. Con requisitoria scritta del 4.10.2023, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione chiede che il ricorso venga accolto.
Con conclusioni scritte del 24.10.2023, pervenute a mezzo di posta elettronica certificata, il difensore di fiducia del Mutignai, AVV_NOTAIO, conclude per l’accoglimento del ricorso.
Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
Il tema da affrontare in relazione al primo motivo di ricorso impone di stabilire se alla fattispecie in esame debba applicarsi o meno la disciplina, invocata dal ricorrente, prevista dalla nuova formulazione dell’art. 601, co. 5, c.p.p., introdotta dalla cd. riforma Cartabia, che prevede la notifica ai difensori dell’appellante dell’avviso della data fissata per il giudizio di appello almeno quaranta giorni prima.
Ad avviso del Collegio a tale quesito deve darsi risposta negativa per un duplice ordine di ragioni.
Va innanzitutto rilevato che la modifica della precedente formulazione dell’art. 601, comma 3 e 5, c.p.p., che fissava in venti giorni e non in quaranta il termine per comparire concesso all’appellante e quello entro il quale deve essere notificata ai difensori di quest’ultimo la data per il giudizio di appello, si deve all’art. 34, comma 1, lett. g), n. 3 e n. 4, d.lgs. 10 ottobre 2022, con effetto a decorrere dal 30 dicembre 2022, ex art. 99 bis del medesimo decreto, così come modificato dall’art. 6, dl. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, nella I. 30 dicembre 2022, n. 199.
Ai sensi dell’art. 94, co 2, del citato d.lgs. 10.10.2022, n. 150, recante “Disposizioni transitorie in materia di videoregistrazioni e di giudizi di impugnazione”, inoltre, è stato previsto che le “disposizioni degli articoli 34, comma 1, lettere c), e), f), g), numeri 2), 3), 4), e h), 35, comma 1, lettera a), e 41, comma 1, lettera ee), si applicano a decorrere dalla scadenza del termine fissato dall’articolo 16, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2022, n. 15.
Deve, pertanto, ritenersi che, dovendosi applicare il principio del tempus regit actum in presenza di modifiche legislative attinenti a norme di natura processuale non dotate di efficacia retroattiva (cfr., ex olurimis, Sez. 5, n. 35588 del 03/04/2017, Rv. 271207), la nuova formulazione di cui all’art. 601, co. 5, c.p.p., invocata dal ricorrente, non può trovare applicazione nel caso in esame, posto che l’appello, come si evince dalla lettura degli atti, consentita in questa sede di legittimità, essendo stato dedotto un error in procedendo, risulta presentato in data 21.9.2022, dunque ben prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina.
Né va taciuto, per altro verso, che l’art. 5-duodecies della legge n. 199 del 2022 ha sostituito integralmente l’art. 94, comma 2, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, dettando una rinnovata disciplina transitoria di coordinamento delle nuove norme in tema di giudizio di impugnazione, improntate al paradigma dell’udienza non partecipata, con le disposizioni
dell’emergenza epidemiologica di cui al decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, in vigore fino al 31 dicembre 2022.
All’art. 5 -duodecies citato è stabilito che l’art. 94, comma 2, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, viene sostituito dal seguente: “2. Per le impugnazioni proposte entro il 30 giugno 2023 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’art. 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo e 9, nonché le disposizioni di cui all’art. 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. Se sono proposte ulteriori impugnazioni avverso il medesimo provvedimento dopo il 30 giugno 2023, si fa riferimento all’atto di impugnazione proposto per primo”.
Orbene, sulla base della nuova disposizione, è così stabilito che se l’impugnazione è proposta entro il 30 giugno 2023, continuerà ad applicarsi la disciplina di cui all’art. 23, comma 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e comma 9, nonché le disposizioni di cui all’art. 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137. Si stabilisce inoltre che, nel caso in cui siano state proposte ulteriori impugnazioni (connesse, quindi, alla prima) avverso il medesimo provvedimento, ai fini dell’individuazione del regime applicativo, si dovrà fare esclusivamente riferimento all’impugnazione già proposta.
Di conseguenza, fino al 30 giugno 2023 – sulla base, per l’appunto, della nuova disposizione transitoria – la trattazione dei ricorsi per cassazione e quella dei giudizi d’appello avverrà sulla base delle disposizioni emergenziali, secondo una scelta ispirata al principio del tempus regit actum, riferito al regime giuridico vigente al momento in cui l’atto introduttivo d’impugnazione è stato proposto.
Ne discende che, per gli appelli già interposti alla data del 30 giugno 2023, indipendentemente dal fatto che sia stata o meno fissata entro tale termine la data dell’udienza, ogni fase del procedimento sarà disciplinata dalla normativa emergenziale, attualmente in vigore e, per effetto della nuova disciplina transitoria, tale regime si dilaterà fino al giugno 2023: viene così superata l’impasse circa il termine minimo per
la comparizione in appello, che continuerà ad essere di venti giorni, ai sensi dell’art. 601, c.p.p., vecchia formulazione.
Per effetto della nuova disposizione di cui all’art. 5duodecies della legge di conversione citata, al cessare del periodo di efficacia della disciplina emergenziale, prorogata, per l’appunto, al 30 giugno 2023, e quindi a fare data dal Primo luglio 2023, troveranno applicazione le nuove disposizioni previste dalla riforma, comunque improntate, pur con alcune specificità, al modello dell’udienza non partecipata (art. 598-bis, art. 611, c.p.p.).
Infine con il d.l. 23.6.2023, in tema di “Modifica all’articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 in materia di disciplina transitoria per i giudizi di impugnazione”, si è ulteriormente spostato in avanti il suddetto termine, essendosi previsto che “1. All’articolo 94, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, 150, il comma 2 è sostituito dal seguente: «Per le impugnazioni proposte sino al quindicesimo giorno successivo alla scadenza del termine del 31 dicembre 2023, di cui ai commi 1 e 3 dell’articolo 87, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui agli articoli 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e 9, e 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. Se sono proposte ulteriori impugnazioni avverso il medesimo provvedimento dopo la scadenza dei termini indicati al primo periodo, si fa riferimento all’atto di impugnazione proposto per primo».
In conclusione, dunque, anche sotto l’indicato profilo, risulta priva di fondamento la tesi difensiva, la cui evidente infondatezza rende irrilevante la circostanza che sulla dedotta eccezione la corte di appello non abbia fornito risposta.
Manifestamente infondato appare il secondo motivo di ricorso.
Si osserva, al riguardo, che, secondo l’orientamento prevalente nella giurisprudenza di legittimità, in tema di recidiva facoltativa, è richiesta al giudice una specifica motivazione sia che egli affermi sia che escluda la sussistenza della stessa, che, tuttavia, può essere adempiuto anche implicitamente ovvero con argomentazione succinta, con cui si dia conto
del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato (cfr. Sez. 6, n. 14937 del 14/03/2018, Rv. 272803; Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Rv. 274782).
La decisione impugnata risulta del tutto conforme a tali princìpi, posto che la corte territoriale non si è limitata a fare generico riferimento ai precedenti penali dell’imputato, ma ha evidenziato come essi denotino un’accentuata propensione di quest’ultimo alla consumazione abituale di reati, inserendosi, pertanto, nel solco dell’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui è compito del giudice quello di verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore (cfr. Sez. U., 27.5.2010, n. 35738, rv. 247838; Sez. VI, 23.11.2010, n. 43438, rv. 248960; Sez. 6, n. 20271 del 27/04/2016, Rv. 267130).
6. Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 16.11.2023.