Discarica abusiva: Quando l’Attività Autorizzata Diventa Reato
Operare nel settore del recupero dei rifiuti richiede il rispetto rigoroso delle autorizzazioni concesse. Ma cosa succede quando un’azienda autorizzata supera sistematicamente i limiti imposti? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che una gestione dei rifiuti che va oltre i confini dell’autorizzazione può trasformarsi nel grave reato di discarica abusiva. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere la linea di demarcazione tra attività lecita e illecito penale.
I Fatti del Caso
La vicenda riguarda i responsabili di una società autorizzata al recupero di specifiche tipologie di rifiuti (codici R3 e R13) entro un limite massimo di 10 tonnellate. Tuttavia, a seguito di un sopralluogo effettuato dalle autorità, è emersa una situazione ben diversa.
In un’area di circa 900 mq retrostante l’impianto, era stata accumulata una quantità enorme di rifiuti, stimata in circa 3.500 metri cubi. I materiali erano di vario tipo, anche pericolosi, depositati “alla rinfusa”, senza alcuna precauzione per la tutela ambientale. La presenza di vegetazione spontanea che cresceva tra i rifiuti indicava uno stato di abbandono prolungato. Di fatto, l’area era stata trasformata in una vera e propria discarica.
In precedenza, alla società era già stato notificato un divieto di proseguire l’attività di ricezione di rifiuti da terzi e l’ordine di selezionare e conferire i materiali a centri autorizzati, prescrizioni che erano state completamente ignorate.
La Decisione della Corte di Cassazione
Gli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la loro condotta dovesse essere inquadrata in una fattispecie meno grave, dato che l’attività era, in linea di principio, autorizzata. La Suprema Corte ha respinto questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile.
I giudici hanno stabilito che i fatti contestati non rappresentavano una semplice inosservanza delle prescrizioni, ma integravano pienamente il reato di realizzazione e gestione di una discarica abusiva, previsto dall’art. 256, comma 3, del D.Lgs. 152/2006 (Testo Unico Ambientale).
Le Motivazioni: Oltre i Limiti dell’Autorizzazione si configura la discarica abusiva
La Corte ha basato la sua decisione su diversi elementi chiave che distinguono una gestione illecita da una discarica abusiva:
1. Superamento dei Limiti Quantitativi e Qualitativi: La società era autorizzata per soli 10 tonnellate di rifiuti specifici. La presenza di 3.500 metri cubi di materiali eterogenei, inclusi rifiuti pericolosi, ha dimostrato che l’attività si svolgeva completamente al di fuori del perimetro autorizzativo.
2. Modalità di Stoccaggio e Abbandono: I rifiuti erano ammassati in modo caotico e senza alcuna misura di protezione ambientale. Questo, unito alla vegetazione infestante, era un chiaro segnale di abbandono e di una gestione incontrollata, elementi tipici di una discarica e incompatibili con un deposito temporaneo o un’attività di recupero regolamentata.
3. Carattere di Definitività: Secondo la giurisprudenza costante, si ha una discarica quando l’accumulo di rifiuti tende ad essere definitivo. Nel caso di specie, l’enorme quantità, la mescolanza dei materiali e il palese stato di abbandono configuravano un deposito permanente e non un’attività transitoria di recupero.
4. Irrilevanza della Durata: La Corte ha sottolineato che, di fronte a un accumulo così massiccio e disordinato, è irrilevante che il deposito si sia protratto per un periodo inferiore a quello previsto dalla normativa per il deposito temporaneo. Le modalità stesse della condotta erano sufficienti a qualificarla come discarica.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale per tutte le aziende che operano nel settore ambientale: l’autorizzazione non è una licenza illimitata. Il rispetto scrupoloso dei limiti quantitativi, delle tipologie di rifiuti trattabili e delle modalità di stoccaggio è essenziale. Superare tali limiti in modo significativo e con modalità che denotano abbandono e disorganizzazione non costituisce una mera infrazione amministrativa, ma può integrare il grave reato di discarica abusiva. Le conseguenze penali e i costi di bonifica possono essere devastanti per un’impresa. La prevenzione, attraverso un controllo rigoroso dei processi e il pieno rispetto della normativa, resta l’unica via per operare legalmente e in sicurezza.
Quando un’attività autorizzata di recupero rifiuti si trasforma nel reato di discarica abusiva?
Un’attività autorizzata si trasforma nel reato di discarica abusiva quando si superano in modo considerevole i limiti quantitativi e qualitativi previsti dall’autorizzazione e quando le modalità di stoccaggio dei rifiuti (ad esempio, accumulo disordinato, mescolanza di materiali pericolosi e non, assenza di presidi ambientali) rivelano uno stato di abbandono e un carattere di definitività, anziché di gestione temporanea.
Qual è la differenza tra un “deposito temporaneo” di rifiuti e una “discarica abusiva”?
La differenza fondamentale risiede nelle modalità e nella finalità dell’accumulo. Il deposito temporaneo è una fase transitoria e regolamentata della gestione dei rifiuti, soggetta a precisi limiti di tempo, quantità e modalità di stoccaggio. La discarica abusiva, invece, è caratterizzata da un accumulo incontrollato e tendenzialmente permanente di rifiuti in un’area non autorizzata, in evidente stato di abbandono.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente per due motivi: in primo luogo, riproponeva le stesse argomentazioni già respinte nei precedenti gradi di giudizio, senza sollevare critiche specifiche alla sentenza impugnata; in secondo luogo, le tesi difensive erano in palese contrasto con i dati normativi e con la consolidata giurisprudenza, la quale qualifica come discarica abusiva un accumulo di rifiuti con le caratteristiche di quantità, eterogeneità e abbandono riscontrate nel caso di specie.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18781 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18781 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/03/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a TERMINI IMERESE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a TERMINI IMERESE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/06/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME.
Rilevato che, con un unico motivo di ricorso, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno dedotto il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 256, comma 3, d. Igs. n. 152 del 2006, in quanto l’attività era autorizzata ed il fatto avrebbe dovuto essere qualificato giuridicamente, in base alla giurisprudenza richiamata in ricorso, a norma dell’art. 256, comma 1, d. Igs. citato;
Ritenuto che tale motivo è inammissibile: a) sia perché riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici in sede di merito e non scandito da specifica critica RAGIONE_SOCIALE argomentazioni a base della sentenza impugnata; b) sia perché prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità (si v., in particolare, quanto argomentato dalla sentenza impugnata alle pagg. 2/5, in cui evidenzia come la tesi difensiva, sviluppata già in sede di merito e replicata in sede di legittimità senza alcun apprezzabile elemento di novità critica, non poteva essere accolta, in quanto la RAGIONE_SOCIALE risultava autorizzata al recupero dei soli rifiuti di cui ai codici R3 ed R13 peraltro nel limite massimo di 10 ton. mentre al momento del sopralluogo eseguito dalla PG erano presenti, oltre a macchinari e ad un’autovettura in stato di abbandono, nella zona retrostante l’impianto, in un’area di circa 900 mq. una considerevole quantità di circa 3.500 mc. di rifiuti di vario tipo, anche pericolosi, depositati alla rinfusa senza alcun precauzione a tutela dell’ambiente, rifiuti che giacevano, come emergeva dalla produzione fotografica, ammassati indistintamente sul suolo in un’area molto estesa, in stato di abbandono come desumibile dall’abbondante vegetazione spontanea in cui si trovava il materiale; si rileva poi in sentenza che in esito ad un sopralluogo eseguito il 1.03.2018 era stato disposto ex art. 216, d. Igs. n. 152 del 2006, il divieto di prosecuzione dell’attività di recupero limitatamente alla fase di ricezione di rifiuti di terzi, venendo la società diffidata a selezionare tutti i r per tipologia ed a conferirli presso centri di recupero autorizzati entro 60 gg.; era quindi evidente che la società aveva omesso di ottemperare alle predette prescrizioni, e nonostante fosse stata disposta la sospensione della precedente autorizzazione e dell’attività, aveva proseguito l’attività di recupero con le stesse modalità di raccolta e stoccaggio, così realizzando una vera e propria discarica abusiva; pertanto, quanto argomentato in diritto alle pagg. 4/5 dell’impugnata sentenza, circa l’irrilevanza del fatto che l’accumulo dei rifiuti si fosse protratto pe un periodo inferiore a quello stabilito dalla normativa, è senza alcun dubbio corretto, atteso il tendenziale carattere di definitività della condotta degli imputati in relazione al notevole quantitativo di rifiuti, in evidente stato di abbandono, Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
nonché alle modalità con cui erano stati ammassati senza alcun presidio ambientale ed alla rinfusa, richiedendo il deposito temporaneo quantomeno la separazione dei rifiuti per categorie omogenee, si v. la citata Cass. 11258/2010; Cass. 38676/2014);
Ritenuto, conclusivamente, che il congiunto ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna di ciascun ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della RAGIONE_SOCIALE, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione del ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ammende. Così deciso il 1° marzo 2024
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Il Presidente