Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30648 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30648 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 1025/2025
ALDO ACETO
Relatore –
UP – 12/06/2025
NOME COGNOME
R.G.N. 5590/2025
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato a MATINO il 03/01/1968
avverso la sentenza del 30/09/2024 della Corte d’appello di Lecce
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per lÕinammissibilitˆ del ricorso; udita, per la parte civile Provincia di Lecce, lÕAvv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali come da conclusioni scritte e nota depositate in udienza; udita, per la parte civile Comune di Casarano, lÕAvv. NOME COGNOME sostituto processuale dellÕAvv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese come da conclusioni scritte e nota depositate in udienza; udito, per il ricorrente, lÕAvv. NOME COGNOME che ha concluso riportandosi ai motivi e insistendo per il loro accoglimento.
1.NOME COGNOME ricorre per lÕannullamento della sentenza del 30 settembre 2024 della Corte di appello di Lecce che, rigettando la sua impugnazione, ha confermato la condanna alla pena di otto mesi di arresto e 6000 euro di ammenda inflitta con sentenza del 20 settembre 2022 del Tribunale di Lecce per il reato di cui allÕart. 256, commi 2 e 3, d.lgs. n. 152 del 2006, a lui ascritto perchŽ, quale titolare dellÕomonima impresa individuale esercente attivitˆ di raccolta e trasporto di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, realizzava o comunque gestiva una discarica non autorizzata di rifiuti depositando, sul terreno intestato alla madre e per una estensione di circa 7000 metri quadrati, rifiuti non pericolosi, tutti stratificati nel tempo, essendo ricresciuta anche vegetazione erbacea spontanea, adagiati sul suolo in assenza di copertura ed esposti agli agenti atmosferici, o comunque abbandonava o effettuava il deposito incontrollato di tali rifiuti. Il fatto è contestato come accertato in Casarano lÕ8 luglio 2020. Con la stessa sentenza lÕimputato era stato condannato al risarcimento del danno subito dalle costituite parti civili, Comune di Casarano e Provincia di Lecce, liquidato in euro 10.000 a favore di ciascuna di esse.
1.1. Con il primo motivo deduce lÕinosservanza o lÕerronea applicazione dellÕart. 256, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006 e la carenza, la contraddittorietˆ e la manifesta illogicitˆ della motivazione che ha escluso la sussistenza della ipotesi alternativa, pure formulata dalla rubrica, del deposito incontrollato, piuttosto che della discarica. Sostiene che dallÕesame del compendio probatorio emerge che egli non aveva alcuna intenzione di disfarsi delle cose che invece aveva intenzione di riutilizzare in un prossimo futuro, considerata la propria attivitˆ.
1.2.Con il secondo motivo deduce lÕinosservanza o lÕerronea applicazione dellÕart. 131-bis cod. pen. e la carenza, la contraddittorietˆ e la manifesta illogicitˆ della motivazione in punto di esclusione della particolare tenuitˆ del fatto basata sugli stessi elementi utilizzati per ritenere la sussistenza del reato e senza considerare la condotta tenuta sei mesi dopo lÕaccertamento del reato allorquando aveva provveduto alla rimozione e allo smaltimento di tutti i rifiuti.
1.3.Con il terzo motivo deduce lÕinosservanza o lÕerronea applicazione degli artt. 133 cod. pen. e 256, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006 e la carenza, la contraddittorietˆ e la manifesta illogicitˆ della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio.
1.4.Con il quarto motivo deduce lÕinosservanza e lÕerronea applicazione degli artt. 538 e segg. cod. proc. pen. nonchŽ la carenza e la manifesta illogicitˆ della motivazione in punto di risarcimento del danno in favore delle parti civili.
2.Le parti civili, Provincia di Lecce e Comune di Casarano, hanno depositato memorie e conclusioni scritte con cui hanno chiesto il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute nel grado.
1.Il ricorso è inammissibile.
2.Il primo motivo è generico, manifestamente infondato e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimitˆ.
Dalla lettura della sentenza impugnata risulta, in fatto, che:
2.1.sul terreno di proprietˆ della madre del ricorrente era stata accertata la presenza di una notevole quantitˆ di rifiuti;
2.2.lÕarea in passato era stata utilizzata come cava, come sito cioè per lÕestrazione di materiale tufaceo, e benchŽ fosse parzialmente recintata era accessibile con i mezzi da un cancello metallico scorrevole;
2.3. in diversi punti dellÕarea, lÕ8 luglio 2020 erano stati rilevati cumuli di terra e roccia da scavo, materiale edile di risulta, conglomerato bituminoso proveniente dalla scarificatura dellÕasfalto stradale, la carcassa di un autocarro non marciante privo di targa e pneumatici, pannelli coibentati non integri (rotti o deformati), pneumatici fuori uso, sfalci di potatura, due barche in legno in cattivo stato di manutenzione, una delle quali provvista di motore completamente arrugginito;
2.4.uno dei cumuli era di notevoli dimensioni ed esisteva giˆ dal 2018 siccome rilevato da una ortofoto del 20 luglio 2018; altri cumuli erano presenti e visibili nelle ortofoto del 2015, 2017 e 2018; lÕautocarro era presente giˆ il 19 luglio 2015;
2.5.tutto il materiale si presentava buttato alla rinfusa e risultava rotto o comunque in stato di usura e in diversi punti i rifiuti risultavano stratificati, non erano separati in modo omogeneo, ma miscelati tra loro, erano abbandonati sul suolo senza alcuna protezione del terreno sottostante e completamente esposti agli agenti atmosferici siccome privi di copertura;
2.6.in alcuni punti erano visibili dei prelievi di terra e il successivo riempimento/colmatura con rifiuti (terra mista a fresato di asfalto);
2.7.lÕarea occupata dai rifiuti era pari a 7000 metri quadrati ed al momento dellÕaccesso vi erano parcheggiati un escavatore e un rimorchio di proprietˆ dellÕimputato, titolare di impresa che si occupa della raccolta e del trasporto di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi e di attivitˆ di scavi e movimento terra, manutenzione del verde pubblico, recupero e smaltimento di pneumatici, lavori edili stradali;
2.8.la quantitˆ di rifiuti complessivamente smaltiti dopo il sequestro è pari a kg. 293.820.
2.9.Incontestata la natura di rifiuti del materiale in questione, la Corte di appello ha confermato, in diritto, la qualificazione della condotta come gestione di discarica abusiva, qualificazione giˆ data dal primo Giudice in presenza di un capo di imputazione che aveva contestato, in via alternativa, il reato di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti di cui allÕart. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006.
2.10.Il ricorrente se ne duole ma nel far ci˜ introduce, in modo oltremodo confuso e contraddittorio, elementi di fatto finalizzati a sovvertire non solo la descrizione dellÕarea e di quanto vi era stato rinvenuto, quanto, più ancora, a escludere la natura di rifiuto delle cose e a contestare la qualificazione della condotta come gestione di una discarica perchŽ – afferma – non è mai stata sua intenzione disfarsi delle cose, con conseguente svalutazione del versante soggettivo della qualificazione delle cose stesse come rifiuto a tutto (erroneo) vantaggio di quella oggettiva.
2.11.In disparte le inammissibili deduzioni fattuali (il ricorrente non denunzia il travisamento delle prove indicate dalla Corte di appello a sostegno della ricostruzione dei fatti con la conseguenza che i fatti stessi cos’ come descritti non possono essere sovvertiti in questa sede), va ribadito il principio di diritto secondo il quale il desiderio di riutilizzo della res che si trova in oggettivo stato di abbandono è preso in considerazione dal legislatore solo se si realizza secondo un criterio oggettivo e prevalente di compatibilitˆ ambientale (Sez. 3, n. 7567 del 22/04/1992, Abortivi, Rv. 190923 – 01), non quando è affidato alle intime e insondabili intenzioni dellÕagente. Non pu˜ essere lÕautore del reato a costituire se stesso interprete autentico della norma incriminatrice e a regolarne lÕambito applicativo. EÕ stato al riguardo precisato (e deve essere ribadito) che la definizione dell’art. 183, comma primo, lett. a), del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, a termini della quale costituisce rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione ovvero l’obbligo di disfarsi, esige – in conformitˆ alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale impone di interpretare l’azione di disfarsi alla luce della finalitˆ della normativa europea, volta ad assicurare un elevato livello di tutela della salute umana e dell’ambiente secondo i principi di precauzione e prevenzione – che la qualificazione alla stregua di rifiuti dei materiali di cui l’agente si disfa consegua a dati obiettivi connaturanti la condotta tipica, anche in rapporto a specifici obblighi di eliminazione, con conseguente esclusione della rilevanza di valutazioni soggettivamente incentrate sulla mancanza o meno di utilitˆ, per il medesimo, dei predetti materiali (Sez. 3, n. 19206 del 16/03/2017, Costantino, Rv. 269912 – 01, che, in fattispecie, relativa all’abbandono in un’area agricola di rifiuti speciali, tra cui materiali di risulta di attivitˆ edile, sfabbricidi, pneumatici, fusti, tubi e rocce da scavo, ha ritenuto che correttamente i giudici di
merito ne avessero escluso la destinazione all’utilizzo, come sostenuto dall’imputato, trattandosi di materiali accatastati alla rinfusa e parzialmente ricoperti da vegetazione spontanea). E’ noto che la corretta individuazione del significato del termine ÇdisfarsiÈ ha lungamente impegnato dottrina e giurisprudenza, nazionale e comunitaria, la quale ultima ha più volte chiarito alcuni concetti fondamentali, quali, ad esempio, la necessitˆ di procedere ad una interpretazione estensiva della nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni inerenti alla loro natura (Corte Giustizia 11 novembre 2004, COGNOME); di interpretare il verbo ÇdisfarsiÈ considerando le finalitˆ della normativa comunitaria e, segnatamente, la tutela della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti; di assicurare un elevato livello di tutela e l’applicazione dei principi di precauzione e di azione preventiva (Corte Giustizia 18 aprile 2002, COGNOME). Prescindendo dall’esaminare le diverse – note – posizioni, pu˜ qui rilevarsi come sia assolutamente certo che, secondo i principi generali ormai consolidati, debba ritenersi inaccettabile ogni valutazione soggettiva della natura dei materiali da classificare o meno quali rifiuti, poichŽ è rifiuto non ci˜ che non è più di nessuna utilitˆ per il detentore in base ad una sua personale scelta ma, piuttosto, ci˜ che è qualificabile come tale sulla scorta di dati obiettivi che definiscano la condotta del detentore o un obbligo al quale lo stesso è comunque tenuto, quello, appunto, di disfarsi del suddetto materiale (Sez. 3, Costantino, cit.; Sez. 3, n. 2125 del 27/11/2002, COGNOME, Rv. 223291 – 01; Sez. 3, n. 48316 dellÕ11/10/2016, COGNOME, non mass.).
2.12.Va altres’ ribadito che la contravvenzione di abbandono di rifiuti, di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è configurabile nel solo caso di condotta estemporanea e meramente occasionale, che abbia ad oggetto quantitativi modesti, interessi aree non estese e non implichi attivitˆ di gestione dei rifiuti o ad esse prodromiche, essendo altrimenti configurabile la contravvenzione di discarica abusiva (Sez. 3, n. 33287 del 10/07/2024, COGNOME, Rv. 286844 – 01 che ha precisato che, tra i due reati, si verifica un fenomeno di “progressione criminosa”, risolvibile sulla base del principio di specialitˆ, con conseguente applicazione del solo regime sanzionatorio previsto per il più grave reato di discarica abusiva). Si tratta di principio che si colloca nel solco del consolidato insegnamento della Corte di cassazione secondo il quale l’abbandono differisce dalla discarica abusiva per la mera occasionalitˆ, desumibile dall’unicitˆ ed estemporaneitˆ della condotta – che si risolve nel semplice collocamento dei rifiuti in un determinato luogo, in assenza di attivitˆ prodromiche o successive – e dalla quantitˆ dei rifiuti abbandonati, mentre nella discarica abusiva la condotta o è abituale – come nel caso di plurimi conferimenti – o, pur quando consiste in un’unica azione, è comunque strutturata, ancorchŽ
grossolanamente, al fine della definitiva collocazione dei rifiuti “in locoÓ (Sez. 3, n. 18399 del 16/03/2017, COGNOME, Rv. 269914 – 01; Sez. 3, n. 47501 del 13/11/2013, COGNOME, Rv. 257996 – 01)
2.13.Ai fini, dunque, della configurabilitˆ del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, di cui allÕart. 256, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, sono necessari: 1) l’accumulo, più o meno sistematico, ma comunque ripetuto e non occasionale, di rifiuti in un’area determinata; 2) la eterogeneitˆ dell’ammasso dei materiali; 3) la definitivitˆ del loro abbandono; 4) il degrado, anche solo tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in questione, anche in difetto di una specifica organizzazione di persone e di mezzi (cos’, in motivazione, Sez. 3, n. 11258 dellÕ11/02/2010, COGNOME, Rv. 246459 – 01, con richiamo ad ulteriori precedenti conformi). Non è, peraltro, inutile ricordare, in questa sede che, secondo la definizione legislativa adottata in attuazione della Direttiva 1999/31/CE del 26 aprile 1999, è discarica qualunque area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo (art. 2, lett. g, d.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36). Si tratta di definizione che, da un lato, come anche in dottrina non si è mancato di evidenziare, espunge definitivamente, dallÕarea del penalmente rilevante, e comunque non la individua come requisito essenziale, la necessaria predisposizione di uomini e/o mezzi per la realizzazione e/o la gestione della discarica, dallÕaltro, come evidenziato anche da questa Corte, valorizza piuttosto la destinazione dellÕarea a luogo di smaltimento permanente dei rifiuti, a prescindere dallÕeffettivo degrado che ne pu˜ derivarne (e che, in ipotesi, potrebbe essere anche del tutto assente ove la discarica sia realizzata e gestita secondo la migliore tecnica possibile) (Sez. 3, n. 17289 del 20/02/2014, Terrizzi, non mass.).
2.14.SicchŽ, anche in caso di deposito di rifiuti che si realizzi con plurime condotte di accumulo, in assenza di attivitˆ di gestione, la distinzione con il reato di realizzazione di discarica non autorizzata si fonda principalmente sulle dimensioni dell’area occupata e sulla quantitˆ dei rifiuti depositati (Sez. 3, n. 25548 del 26/03/2019, Schepis, Rv. 276009 – 01).
2.15.La descrizione dello stato dei luoghi, la loro estensione, la durata pluriennale del deposito, la presenza persino di un escavatore, la colmatura dei rifiuti, la loro quantitˆ ed eterogeneitˆ, convergono verso la conclusione definitoria condivisa dalla Corte di appello e mal contrastata dal ricorrente.
3.Il secondo motivo è manifestamente infondato, generico e proposto, anchÕesso, al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimitˆ.
3.1.La Corte di appello ha escluso la particolare tenuitˆ dellÕoffesa in considerazione dellÕingente quantitˆ di rifiuti (kg. 293.820), della notevole estensione dellÕarea da essi ricoperta (7000 metri quadrati), della professionalitˆ
e organizzazione della condotta, della sua reiterazione nel tempo, delle attivitˆ di gestione dei rifiuti stessi (miscelamento e interramento), dello stato di degrado dellÕarea, pur tutelata dal PUTT della Regione Puglia, del danno alle risorse ambientali (suolo, sottosuolo e acque superficiali). Anche tenendo conto della successiva attivitˆ di rimozione dei rifiuti lÕoffesa, per i Giudici distrettuali, non pu˜ comunque ritenersi di particolare tenuitˆ. Sotto altro profilo, la Corte di appello ha rimarcato lÕabitualitˆ della condotta avuto riguardo ai due precedenti penali per il reato di cui allÕart. 256 d.lgs. n. 152 del 2006 (attivitˆ di gestione dei rifiuti non autorizzata).
3.2.In disparte le inammissibili deduzioni fattuali inerenti Çquanto affermato in costanza di istruttoria dibattimentale da parte di NOME (pag. 9 del ricorso), le informazioni fornite dalla Corte di appello sono più che sufficienti a spiegare le ragioni perchŽ il danno (o il pericolo di danno) non possa dirsi di speciale tenuitˆ.
3.3.Come insegnato da Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591 – 01, lÕistituto della causa di non punibilitˆ per particolare tenuitˆ del fatto Çpersegue finalitˆ connesse ai principi di proporzione ed extrema ratio; con effetti anche in tema di deflazione. Lo scopo primario è quello di espungere dal circuito penale fatti marginali, che non mostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessitˆ di impegnare i complessi meccanismi del processo. Proporzione e deflazione s’intrecciano coerentemente. Il dato normativo conduce senza dubbi di sorta a tale esito interpretativo. Il giudizio sulla tenuitˆ del fatto richiede, infatti, una valutazione complessa che ha ad oggetto le modalitˆ della condotta e l’esiguitˆ del danno o del pericolo valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen. Si richiede, in breve, una equilibrata considerazione di tutte le peculiaritˆ della fattispecie concreta; e non solo di quelle che attengono all’entitˆ dell’aggressione del bene giuridico protetto (É) è chiaro che la novella intende per l’appunto riferirsi alla connotazione storica della condotta, essendo in questione non la conformitˆ al tipo, bens’ l’entitˆ del suo complessivo disvaloreÈ . Il richiamo al primo comma dellÕart. 133 cod. pen. mette in campo, annotano le Sezioni Unite, Tushaj, Ç oltre alle caratteristiche dell’azione e alla gravitˆ del danno o del pericolo, anche l’intensitˆ del dolo e il grado della colpa (É) D’altra parte, proseguono occorre considerare che se è vero che lo sviluppo del progetto normativo ha in più occasioni mostrato di preferire la considerazione dei tratti più obiettivabili rifuggendo dai profili interiori, tuttavia, come ormai comunemente ritenuto, anche l’elemento soggettivo del reato penetra nella tipicitˆ oggettiva. Ci˜ è particolarmente chiaro nell’ambito della colpa, ove rileva il tratto obiettivo della violazione della regola cautelare. Ma anche nell’ambito del dolo condotta e colpevolezza sÕintrecciano (É) Essendo richiesta la ponderazione della colpevolezza in termini di esiguitˆ e quindi la sua graduazione, è del tutto naturale che il giudice sia chiamato ad un apprezzamento di tutte le rilevanti contingenze
che caratterizzano ciascuna vicenda concreta ed in specie di quelle afferenti alla condotta; ed è quindi escluso che una preclusione possa derivare dalla modesta caratterizzazione, sul piano descrittivo, della fattispecie tipicaÈ. Tali considerazioni valgono anche ai fini della valutazione del danno o del pericolo: Ç anche qui nessuna precostituita preclusione categoriale è consentita, dovendosi invece compiere una valutazione mirata sulla manifestazione del reato, sulle sue conseguenze (É) l’esiguitˆ del disvalore è frutto di una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno ed alla colpevolezza. E potrˆ ben accadere che si sia in presenza di elementi di giudizio di segno opposto da soppesare e bilanciare prudentementeÈ, sicchŽ Ç la valutazione inerente all’entitˆ del danno o del pericolo non è da sola sufficiente a fondare o escludere il giudizio di marginalitˆ del fattoÈ. Del resto, Çanche in presenza di un danno di speciale tenuitˆ l’applicazione dell’art. 131-bis è pur sempre legata anche alla considerazione dei giˆ evocati indicatori afferenti alla condotta ed alla colpevolezzaÈ e, per converso, Çquando si è voluto evitare che la graduazione del reato espressa in una circostanza aggravante ragguagliata all’entitˆ della lesione sia travolta da elementi di giudizio di segno opposto afferenti agli altri indicatori previsti dalla legge lo si è ha fatto esplicitamenteÈ .
3.4.Tali principi sono stati ripresi e confermati da Sez. U, n. 18891 del 27/01/2022, Ubaldi, Rv. 283064 – 01. Lo scopo primario della causa di non punibilitˆ per particolare tenuitˆ del fatto, ribadiscono, è Çquello di espungere dal circuito penale fatti marginali, che non mostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessitˆ di impegnare i complessi meccanismi del processoÈ . Il fatto non è punibile non perchŽ inoffensivo, ma perchŽ il legislatore, pur in presenza di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, ritiene che sia inopportuno punirlo ove ricorrano le condizioni indicate nellÕart. 131-bis cod. pen. Una prospettiva ricordano, accolta e più volte rimarcata anche dalla Corte costituzionale (sent. n. 30 del 2021; sent. n. 156 del 2020; ord. n. 279 del 2017) che ha successivamente esteso l’ambito di applicazione dell’istituto (sent. n. 156 del 2020) anche ai reati puniti con la reclusione che, pur superiore nel massimo edittale a cinque anni, abbia un minimo edittale coincidente con quello generale di quindici giorni.
3.5.Ed infatti la Corte costituzionale ha più volte ribadito che Çla causa di non punibilitˆ di cui allÕart. 131-bis cod. pen. richiede una valutazione complessiva di tutte le peculiaritˆ della fattispecie concreta, a norma dellÕart. 133, primo comma, cod. pen., incluse quindi le modalitˆ della condotta e il grado della colpevolezza, e non solo dellÕentitˆ dellÕaggressione del bene giuridico protettoÈ (cos’ Corte cost., sent. n. 156 del 2020) e che Çil fatto particolarmente lieve, cui fa riferimento lÕart. 131-bis cod. pen., è comunque un fatto offensivo, che costituisce reato e che il legislatore preferisce non punire, sia per riaffermare la natura di extrema ratio della pena e agevolare la Òrieducazione del condannatoÓ, sia per contenere il
gravoso carico di contenzioso penale gravante sulla giurisdizioneÈ (Corte cost. ord. n. 279/2017).
3.6.Ci˜ nondimeno, lÕesiguitˆ del danno (o del pericolo) costituisce, insieme con Çle modalitˆ della condottaÈ, una condizione imprescindibile dellÕapplicazione della causa di non punibilitˆ di cui allÕart. 131-bis cod. pen. SicchŽ, se il danno (o il pericolo) non è ÒesiguoÓ, il fatto, pur globalmente considerato, non pu˜ mai essere considerato di particolare tenuitˆ.
3.7.La natura esigua del danno (o del pericolo) concorre a rendere non punibile un fatto che è comunque offensivo, sicchŽ essa non pu˜ essere confusa con le ipotesi di Òlieve entitˆÓ o di Ò minore gravitˆÓ o modestia del fatto che attenuano il reato, senza escluderne lÕoffensivitˆ. Si tratta di concetti non sovrapponibili che collocano la non punibilitˆ per particolare tenuitˆ del fatto nella angusta area schiacciata tra la totale inoffensivitˆ della condotta e il reato attenuato dalla sua lieve entitˆ, modestia o minore gravitˆ. Si tratta, dunque, di accertamento che deve essere effettuato caso per caso, non potendosi escludere lÕesiguitˆ del danno (o del pericolo) in base a valutazioni astratte ma nemmeno in base a interpretazioni eccessivamente dilatate dellÕistituto e distoniche rispetto alla sua finalitˆ.
3.8.La necessaria offensivitˆ del reato è concetto ormai acquisito dalla dottrina e dalla giurisprudenza, in particolar modo di quella del giudice delle leggi (sentenza n. 263 del 2000 e altre pronunce ivi richiamate: nn. 247 del 1997; 133 del 1992; 333 del 1991, 144 del 1991, 360 del 1995). Come insegnato dalla Corte Costituzionale, Çla verifica del rispetto del principio dell’offensivitˆ come limite di rango costituzionale alla discrezionalitˆ del legislatore ordinario nel perseguire penalmente condotte segnate da un giudizio di disvalore implica la ricognizione della astratta fattispecie penale, depurata dalla variabilitˆ del suo concreto atteggiarsi nei singoli comportamenti in essa sussumibili (É) Diverso profilo è quello dell’offensivitˆ specifica della singola condotta in concreto accertata; ove questa sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato (É), viene meno la riconducibilitˆ della fattispecie concreta a quella astratta, proprio perchŽ la indispensabile connotazione di offensivitˆ in generale di quest’ultima implica di riflesso la necessitˆ che anche in concreto la offensivitˆ sia ravvisabile almeno in grado minimo, nella singola condotta dell’agente, in difetto di ci˜ venendo la fattispecie a rifluire nella figura del reato impossibile (art. 49 cod. pen.)È (Sentenza n. 360 del 13-24 luglio 1995). LÕoffensivitˆ, è stato precisato, Çdeve ritenersi di norma implicita nella configurazione del fatto e nella sua qualificazione di illecito da parte del legislatore, salvo talune ipotesi marginali (É) nelle quali, a causa della necessaria astrattezza della norma, pu˜ verificarsi divergenza fra tipicitˆ ed offesaÈ (Sentenza n. 333 del 10-11 luglio 1991). Di rilievo, ai fini della ratio dell’istituto, l’affermazione che ÇlÕart. 25 , quale
risulta dalla lettura sistematica a cui fanno da sfondo, oltre ai parametri indicati dal remittente, l’insieme dei valori connessi alla dignitˆ umana, postula, infatti, un ininterrotto operare del principio di offensivitˆ dal momento della astratta predisposizione normativa a quello della applicazione concreta da parte del giudice, con conseguente distribuzione dei poteri conformativi tra giudice delle leggi e autoritˆ giudiziaria, alla quale soltanto compete di impedire, con un prudente apprezzamento della lesivitˆ in concreto, una arbitraria ed illegittima dilatazione della sfera dei fatti da ricondurre al modello legaleÈ (Sentenza n. 263 del 2000; cfr. altres’ sentenza n. 225 del 2008 che ha ben sintetizzato lo stato dellÕarte ricordando come ÇlÕampia discrezionalitˆ che Ð per costante giurisprudenza di questa Corte Ð va riconosciuta al legislatore nella configurazione delle fattispecie criminose, si estende anche alla scelta delle modalitˆ di protezione penale dei singoli beni o interessi. Rientra, segnatamente, in detta sfera di discrezionalitˆ l’opzione per forme di tutela avanzata, che colpiscano l’aggressione ai valori protetti nello stadio della semplice esposizione a pericolo; nonchŽ, correlativamente, l’individuazione della soglia di pericolositˆ alla quale riconnettere la risposta punitiva. Tali soluzioni debbono misurarsi, nondimeno, con l’esigenza di rispetto del principio di necessaria offensivitˆ del reato: principio desumibile, in specie, dall’art. 25, secondo comma, Cost., in una lettura sistematica cui fa da sfondo Çl’insieme dei valori connessi alla dignitˆ umanaÈ (sentenza n. 263 del 2000). La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo chiarito in qual modo si atteggi, a tale riguardo, la ripartizione di competenze tra giudice costituzionale e giudice ordinario (sentenze n. 265 del 2005, n. 263 e n. 519 del 2000, n. 360 del 1995). Spetta, in specie, alla Corte Ð tramite lo strumento del sindacato di costituzionalitˆ Ð procedere alla verifica dell’offensivitˆ Çin astrattoÈ, acclarando se la fattispecie delineata dal legislatore esprima un reale contenuto offensivo; esigenza che, nell’ipotesi del ricorso al modello del reato di pericolo, presuppone che la valutazione legislativa di pericolositˆ del fatto incriminato non risulti irrazionale e arbitraria, ma risponda all’ id quod plerumque accidit (tra le altre, sentenza n. 333 del 1991). Ove tale condizione risulti soddisfatta, il compito di uniformare la figura criminosa al principio di offensivitˆ nella concretezza applicativa resta affidato al giudice ordinario, nell’esercizio del proprio potere ermeneutico (offensivitˆ Çin concretoÈ). Esso Ð rimanendo impegnato ad una lettura Òteleologicamente orientataÓ degli elementi di fattispecie, tanto più attenta quanto più le formule verbali impiegate dal legislatore appaiano, in sŽ, anodine o polisense Ð dovrˆ segnatamente evitare che l’area di operativitˆ dell’incriminazione si espanda a condotte prive di un’apprezzabile potenzialitˆ lesivaÈ).
3.9.La non punibilitˆ per particolare tenuitˆ del fatto, dunque, presuppone il positivo superamento del doppio vaglio di offensivitˆ (Òin astrattoÓ ed Òin
concretoÓ) del reato consumato e della condotta posta in essere. LÕesiguitˆ, infatti, qualifica il danno o il pericolo concreto cagionati dal reato, ma non lo esclude, pur collocandosi al di sotto delle ipotesi attenuate dalla lieve entitˆ del fatto ovvero della sua minore gravitˆ o modestia.
3.10.LÕesiguitˆ del danno (o del pericolo) costituisce requisito per la non punibilitˆ del fatto, che non pu˜ essere assorbito dalla non abitualitˆ del comportamento: il reato attenuato occasionale resta pure sempre punibile . SÕè giˆ detto che lÕesiguitˆ del danno presuppone ma non esclude lÕoffensivitˆ del reato, imponendo pertanto lÕobbligatorio esercizio dellÕazione penale (art. 112, Cost.) cui lo Stato rinuncia non giˆ per lÕesiguitˆ – appunto – dellÕoffesa, bens’ perchŽ la tenuitˆ del fatto incide sulla finalitˆ rieducativa della pena (di qui la necessitˆ che il comportamento non sia abituale).S’Ž anche ricordato il principio secondo il quale l’offensivitˆ deve persistere dal momento della astratta predisposizione normativa a quello della applicazione concreta da parte del giudice. Autorevoli pronunciamenti della Corte di cassazione hanno ulteriormente sottolineato lo stretto legame che deve intercorrere tra la Ògravitˆ oggettiva del reatoÓ, la conseguente Òproporzionalitˆ della penaÓ e la Òfinalitˆ rieducativaÓ della stessa (Sez. U, n. 46653 del 26/06/2015, COGNOME; Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, COGNOME). Il Giudice delle leggi ha ribadito che Çla sanzione criminale rappresenta non giˆ la risposta alla mera disobbedienza o infedeltˆ alla legge, in quanto sintomatica di inclinazioni antisociali del soggetto; quanto piuttosto la reazione alla commissione di fatti offensivi di interessi che il legislatore, interprete della coscienza sociale, reputa oggettivamente meritevoli di essere salvaguardati da determinate forme di aggressione col presidio della penaÈ (Corte cost.le, Sent. 8 novembre 2006, n. 394). Una sanzione proporzionata alla gravitˆ dellÕoffesa costituisce espressione del diritto inviolabile della persona (Sez. U, COGNOME, cit.). Necessaria offensivitˆ del reato e finalitˆ rieducativa della pena costituiscono un binomio inscindibile sancito dal combinato disposto di cui agli artt. 2, 3, 13, 25 e 27, Cost. La finalitˆ rieducativa della pena non appartiene solo alla fase esecutiva: è giˆ nel precetto, nelle modalitˆ stesse con cui è confezionato e nella sanzione prevista per la sua violazione (Corte Cost.le, sentenza n. 364 del 1988). Si pu˜ affermare che la gravitˆ dellÕoffesa costituisce, a livello di prevenzione generale, unitˆ di misura della pena, ma non in via esclusiva in sede di prevenzione speciale (artt. 132, 133, cod. pen. e oggi anche 131-bis, cod. pen.). Altri criteri, oltre la gravitˆ dell’offesa, concorrono a definire e a regolare lÕ an e il quomodo della pretesa punitiva al fine di meglio adeguarla alla finalitˆ rieducativa della pena (perdono giudiziale, sospensione del procedimento con messa alla prova, sospensione condizionale della pena, pene sostitutive, sospensione dellÕesecuzione della pena, misure alternative alla detenzione; solo per fare degli esempi).
3.11.Quel che ora preme evidenziare, alla luce delle considerazioni che precedono, è che: a) la finalitˆ rieducativa della pena appartiene (anche) al diritto sostanziale, come pure – significativamente – lÕistituto della non punibilitˆ per particolare tenuitˆ del fatto, la cui collocazione codicistica, prima dellÕart. 132, cod. pen., fornisce, a tal fine, un criterio interpretativo-sistematico fondamentale; b) la necessitˆ della pena è collegata alla sua finalitˆ rieducativa, sicchŽ lÕoffesa al bene o comunque all’interesse tutelato pu˜ escludere la sua applicazione quando, in concreto, il fatto non esprime alcuna esigenza risocializzante del suo autore; c) solo la mancanza, in concreto, di tale esigenza legittima, sul piano costituzionale, la paralisi dellÕazione penale.
3.12.LÕistituto della particolare tenuitˆ del fatto si inserisce in un sistema in cui lÕazione penale è obbligatoria, sicchŽ esso non pu˜ costituire (nŽ essere interpretato alla stregua di un) criterio direttivo di politica criminale volto ad affermare il principio secondo il quale ” de minimis non curat praetorÓ. Esso riguarda piuttosto il rimprovero per il singolo fatto, che non si giustifica quando, per la particolare tenuitˆ dellÕoffesa e la non abitualitˆ del comportamento, la pena non assolverebbe in alcun modo alla finalitˆ rieducativa che la legittima (non a caso lÕistituto in questione si collocava nella legge delega n. 67 del 28 aprile 2014 in un più ampio contesto di riforma del sistema sanzionatorio, non attuato dal Governo). La non punibilitˆ per particolare tenuitˆ del fatto, incidendo sui presupposti del rimprovero, si colloca a pieno titolo nell’ambito della colpevolezza, esaltando ancor più il principio di extrema ratio del diritto penale. Un diverso argomentare, che valorizzasse, per esempio, le esigenze deflattive dell’istituto, tradirebbe la centralitˆ che la ‘persona’ assume nella Costituzione repubblicana, trasformandola da fine a mezzo di politiche criminali ispirate a logiche del tutto estranee anche all’obbligatorietˆ dell’azione penale.
3.13.In conclusione, la modesta gravitˆ del fatto non esclude la offensivitˆ della condotta nŽ la natura esigua del pericolo derivante dalla condotta addebitata allÕimputato, sanzionata dal Giudice con una pena superiore al minimo edittale.
3.14.Nel caso di specie, lÕesiguitˆ del danno è stata esclusa con motivazione che fa buon governo dei principi sopra illustrati, non è manifestamente illogica, non è intrinsecamente contraddittoria, non si fonda su dati travisati ed è perci˜ insindacabile in questa sede.
3.15.Cos’ come non è censurabile la motivata affermazione della abitualitˆ della condotta, non vedendosi ragione alcuna per escludere la rilevanza delle condanne inflitte con precedenti decreti penali. Non vÕè un passo della norma che ne giustifichi una simile lettura riduttiva.
3.16.La affermata abitualitˆ (che osta comunque alla declaratoria di non punibilitˆ del fatto) rende superfluo ribadire (ma è comunque bene farlo) che la condotta dell’imputato successiva alla commissione del reato non pu˜, di per sŽ
sola, rendere di particolare tenuitˆ un’offesa che tale non era al momento del fatto, potendo essere valorizzata solo nell’ambito del giudizio complessivo sull’entitˆ dell’offesa recata, da effettuarsi alla stregua dei parametri di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen. (Sez. 6, n. 43941 del 03/10/2023, COGNOME, Rv. 285360 01; Sez. 3, n. 18029 del 04/04/2023, Hu, Rv. 284497 – 01).
3.17.Che il ricorrente abbia provveduto alla successiva bonifica dellÕarea è considerazione irrilevante a fronte della oggettiva gravitˆ del fatto e della abitualitˆ della condotta.
4.Il terzo motivo è inammissibile perchŽ manifestamente infondato e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimitˆ.
4.1.Il ricorrente è stato condannato alla pena di otto mesi di arresto e 6.000 euro di ammenda, cos’ determinata: pena-base, un anno di arresto e 9.000 euro di ammenda, ridotta di un terzo per lÕapplicazione delle circostanze attenuanti generiche.
4.2.La pena edittale del reato di realizzazione o gestione di una discarica non autorizzata di rifiuti non pericolosi (tale è stato ritenuto il fatto) è dellÕarresto da sei mesi a due anni e dellÕammenda da 2.500 a 26.000 euro. I Giudici di merito hanno applicato una pena-base inferiore al medio edittale che, calcolato secondo i criteri fissati da Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01, è pari a quindici mesi di ammenda e 14.250 euro di ammenda.
4.3.LÕinsegnamento della giurisprudenza di legittimitˆ sul punto è chiaro: nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, COGNOME, Rv. 245596).
4.4.La Corte di appello ha ritenuto di non dover modificare la pena irrogata in primo grado, giˆ attenuata ai sensi dellÕart. 62bis cod. pen., in considerazione della rilevante gravitˆ del fatto e, più in generale, per le stesse ragioni per le quali ha escluso lÕapplicazione della causa di non punibilitˆ per la particolare tenuitˆ del fatto stesso. A tal fine ha preso in considerazione anche gli elementi offerti in valutazione dalla difesa, per un verso ritenendone la insussistenza e lÕinconcludenza rispetto al quadro probatorio (come, per esempio, la dedotta intenzione di riutilizzare i rifiuti), per altro verso affermandone la sub-valenza rispetto agli indici di gravitˆ oggettiva e soggettiva del reato (come, per esempio, la bonifica del sito giˆ presa in considerazione ai fini della applicazione delle circostanze attenuanti generiche).
4.5.Il ricorrente se ne duole, lamentando lÕelevato Çirrigidimento trattamentaleÈ, ma sostanzialmente sollecita la Corte di cassazione a sostituirsi al giudice di merito nellÕesercizio di una discrezionalitˆ che appartiene solo a questi. Si tratta, allÕevidenza, di richiesta inammissibile.
5.Il quarto motivo è generico.
5.1.La Corte di appello ha confermato la condanna del ricorrente al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dalle parti civili (Provincia di Lecce e Comune di Casarano) in considerazione dei danni non patrimoniali subiti a causa della condotta dellÕimputato (ampiamente illustrati alle pagg. 21-23 della sentenza impugnata).
5.2.Il ricorrente se ne duole ma il suo argomentare è assolutamente generico non essendo stato sviluppato un ragionamento critico della ratio decidendi che, invece, è fondata su considerazioni non manifestamente illogiche e su dati di fatto dei quali non viene dedotto il travisamento.
5.3.Ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale è sufficiente, per quanto riguarda lÕ an del risarcimento , l’indicazione dei fatti materiali presi in considerazione e del percorso logico posto a base della decisione (Sez. 1, n. 44477 del 25/10/2024, COGNOME, Rv. 287154 – 01; Sez. 6, n. 48086 del 12/09/2018, B., Rv. 274229 – 01; Sez. 4, n. 18099 del 01/04/2015, COGNOME, Rv. 263450 – 01; Sez. 5, n. 6018 del 31/01/1997, COGNOME, Rv. 208086 – 01). La relativa decisione, affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi, è censurabile in sede di legittimitˆ sotto il profilo del vizio della motivazione solo se essa difetti totalmente di giustificazione o si discosti macroscopicamente dai dati di comune esperienza o sia radicalmente contraddittoria (Sez. 5, n. 7993 del 09/12/2020, dep. 2021, P., Rv. 280495 – 02; Sez.6, n. 48461 del 28/11/2013, Fontana, Rv. 258170 – 01; Sez. 5, n. 35104 del 22/06/2013, R.C. Istituto Cittˆ Studi, Rv. 257123 – 01; Sez. 3, n. 34209 del 17/06/2010, COGNOME, Rv. 248371 – 01).
5.4.Il ricorrente neglige lÕinsegnamento della Corte di cassazione e si sottrae allÕonere di specificare in quale parte la motivazione della Corte di appello sia contraria ai principi sopra indicati.
6.Alla declaratoria di inammissibilitˆ del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., essendo essa ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonchŽ del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente nella misura di 3.000,00. Il Collegio intende in tal modo esercitare la facoltˆ, introdotta dallÕart. 1, comma 64, legge n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista dallÕart. 616 cod. proc. pen. in caso di
inammissibilitˆ del ricorso considerate le ragioni della inammissibilitˆ stessa come sopra indicate.
Alla declaratoria di inammissibilitˆ consegue altres’ la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili liquidate come da dispositivo.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi euro 3.686,00 per ciascuna di esse oltre accessori di legge e spese documentate.
Cos’ deciso in Roma, il 12/06/2025.
Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME COGNOME
NOME COGNOME