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Diritto di critica: quando l’offesa non è reato

Un professore, condannato in appello per diffamazione ai danni del suo dirigente scolastico, è stato assolto dalla Corte di Cassazione. La Corte ha stabilito che le sue aspre parole, quali “totalmente incapace” e “in momenti di sonnolenza”, rientravano nel legittimo esercizio del diritto di critica, poiché strettamente legate al contesto di una disputa professionale e non mirate a un’aggressione personale gratuita. La sentenza sottolinea l’importanza di valutare il contesto complessivo per definire i limiti della continenza verbale.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Diritto di Critica vs Diffamazione: Quando un’accusa di “incapacità” è legittima?

La linea che separa la legittima espressione di un’opinione dalla diffamazione è spesso sottile, specialmente in contesti professionali conflittuali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 33723/2024) offre un chiarimento fondamentale su questo tema, affermando che l’uso di espressioni forti come “totalmente incapace” può rientrare nel diritto di critica se inserito in un contesto fattuale preciso e non fine a sé stesso. Analizziamo questa importante decisione.

I fatti del caso: una disputa professionale via email

La vicenda vede come protagonista un docente che, dopo aver richiesto insistentemente e senza successo la documentazione relativa a un incarico svolto, si vedeva negare l’esistenza stessa dell’incarico dal proprio dirigente scolastico. Il problema? L’incarico era formalmente previsto nel contratto collettivo d’istituto, firmato dallo stesso dirigente.

Di fronte a questa palese contraddizione, il docente inviava una comunicazione via PEC in cui accusava il dirigente di essere “totalmente incapace di predisporre un Contratto Collettivo Integrativo” e suggeriva che avesse agito “probabilmente, sempre in momenti di sonnolenza”. Per queste frasi, il docente veniva condannato per diffamazione nei primi due gradi di giudizio.

L’esercizio del diritto di critica e i suoi limiti

Il diritto di critica, tutelato dall’articolo 21 della Costituzione, permette di esprimere giudizi e opinioni, anche negative. Tuttavia, per non sfociare in diffamazione, deve rispettare tre limiti:

1. Verità del fatto: La critica deve basarsi su un fatto storico vero.
2. Interesse pubblico: Deve esistere un interesse pubblico alla conoscenza del fatto.
3. Continenza: L’esposizione deve essere misurata, senza attacchi personali gratuiti e utilizzando un linguaggio proporzionato.

Il punto cruciale del caso in esame è proprio il limite della continenza. I giudici di merito avevano ritenuto le espressioni del docente esorbitanti e gratuitamente offensive.

La decisione della Cassazione sul diritto di critica

La Corte di Cassazione ha ribaltato il verdetto, assolvendo il docente perché “il fatto non sussiste”. La Corte ha sottolineato un principio fondamentale: le frasi incriminate non possono essere estrapolate e analizzate in un vuoto pneumatico. È necessario calarle nel loro contesto specifico.

Il contesto è tutto: perché le frasi non erano diffamatorie

La Corte ha osservato che le espressioni del docente, per quanto aspre, non erano un attacco personale fine a sé stesso. Al contrario, erano la reazione diretta e consequenziale a un comportamento palesemente contraddittorio del dirigente. L’accusa di “incapacità” era legata alla specifica azione di redigere un contratto per poi negarne il contenuto. L’espressione “momenti di sonnolenza” era una figura retorica, quasi paradossale, utilizzata per enfatizzare l’assurdità della situazione.

La continenza verbale: un concetto flessibile

Secondo la Suprema Corte, la critica, anche accesa, non travalica il limite della continenza quando è “strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione”. Si possono utilizzare termini oggettivamente offensivi se questi hanno anche il significato di un mero giudizio critico negativo, da valutarsi alla luce del contesto complessivo.

Le motivazioni

La motivazione della Cassazione si fonda sulla necessità di una lettura congiunta e contestualizzata degli scritti. La Corte ha riconosciuto che le espressioni utilizzate dal docente erano sì aspre, ma trovavano fondamento nella verità della situazione fattuale (l’incarico esisteva ed era nel contratto) e rappresentavano una critica, seppur decisa, alla contraddizione del dirigente. Non si trattava di attacchi personali slegati dalla vicenda professionale, ma di critiche direttamente riconducibili a essa. Pertanto, l’esercizio del diritto di critica, in questo specifico contesto, ha scriminato la condotta, escludendo la sussistenza del reato di diffamazione.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce che il diritto di critica, specialmente in ambito lavorativo e sindacale, consente l’uso di un linguaggio polemico e tagliente, a patto che sia ancorato a fatti veri e non si trasformi in un insulto gratuito alla persona. La valutazione della continenza non è un esercizio astratto, ma deve tenere conto della specifica dinamica dei rapporti tra le parti e del contesto in cui le espressioni vengono formulate. Un principio di garanzia fondamentale per la libertà di espressione.

Quando un’espressione forte come “totalmente incapace” smette di essere diffamazione e rientra nel diritto di critica?
Rientra nel diritto di critica quando è strettamente collegata a un fatto specifico e serve a evidenziare una contraddizione o una carenza professionale, senza degenerare in un attacco personale fine a se stesso. Nel caso di specie, era legata alla palese contraddizione del dirigente che negava un incarico previsto nel contratto da lui stesso firmato.

Il contesto in cui viene pronunciata una frase offensiva è rilevante per la valutazione del reato di diffamazione?
Sì, è fondamentale. La Corte di Cassazione ha stabilito che le frasi non possono essere valutate in modo isolato. L’intero contesto della comunicazione e la situazione fattuale (in questo caso, la disputa lavorativa e il comportamento del dirigente) sono decisivi per determinare se si è superato il limite della continenza.

L’uso di un linguaggio ironico o paradossale può essere protetto dal diritto di critica?
Sì. La Corte ha ritenuto che l’espressione “in momenti di sonnolenza” fosse un modo per enfatizzare il paradosso del comportamento del dirigente. Sebbene aspra, questa critica, inserita nel contesto, è stata considerata una modalità espressiva riconducibile a una critica decisa ma corretta, senza travalicare i limiti della continenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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