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Diritto di critica online: post non è diffamazione

Due utenti di un social network, condannati in primo e secondo grado per diffamazione a seguito di commenti su una testimone in un caso di cronaca, sono stati assolti dalla Corte di Cassazione. La Suprema Corte ha stabilito che le loro espressioni, seppur aspre, rientravano pienamente nel legittimo esercizio del diritto di critica, poiché non costituivano un attacco personale ma una critica alla versione dei fatti fornita dalla donna in un contesto di forte interesse pubblico. Questa sentenza rafforza i confini del diritto di critica nell’era digitale.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Diritto di Critica Online: Quando un Post Aspro su Facebook Non è Reato

In un’era dominata dai social media, il confine tra libera espressione e diffamazione è sempre più sottile. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 10425/2024) ha fornito chiarimenti cruciali, affermando che il diritto di critica può giustificare anche commenti aspri e polemici, a patto che non degenerino in attacchi personali. La Corte ha annullato la condanna per diffamazione a carico di due utenti di un noto social network, le cui esternazioni su una testimone in un caso di cronaca erano state giudicate offensive nei primi due gradi di giudizio.

I Fatti del Caso: un Post su Facebook finisce in Tribunale

La vicenda trae origine da un evento di cronaca che aveva scosso l’opinione pubblica: la morte di un cittadino straniero durante un alterco. Una testimone oculare aveva fornito agli inquirenti una versione dei fatti che differiva da altre, scatenando un acceso dibattito pubblico.
In questo contesto, un primo imputato, consigliere comunale, pubblicava un post sul suo profilo social definendo la testimone “improbabile” e la sua versione “piuttosto surreale”. Nel post, collegava anche un vecchio articolo di giornale in cui la stessa donna raccontava di aver salvato dei gattini, commentando sarcasticamente la presunta diversa sensibilità dimostrata nei due episodi.
Un secondo imputato commentava il post del primo, scrivendo che, se la giustizia non fosse intervenuta, la comunità avrebbe dovuto “pensarci noi” e isolare la donna, “lasciarla sola con un senso di schifo”.
Per queste espressioni, entrambi venivano condannati per diffamazione aggravata sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello.

Il Diritto di Critica e i suoi Limiti secondo la Cassazione

I due imputati hanno presentato ricorso in Cassazione, sostenendo di aver agito nell’esercizio del diritto di critica, tutelato dall’art. 51 del codice penale. La Suprema Corte ha accolto i loro ricorsi, annullando la sentenza di condanna senza rinvio perché “il fatto non sussiste”.
La decisione si fonda su un’attenta analisi dei limiti della critica, specialmente quando si inserisce in un dibattito di rilevante interesse pubblico. La Corte ha ribadito che la critica, per essere legittima, deve rispettare tre requisiti:
1. Interesse pubblico: L’argomento deve essere di rilevanza sociale.
2. Veridicità del fatto: La critica deve basarsi su un nucleo di verità fattuale (in questo caso, l’esistenza di versioni contrastanti sull’accaduto).
3. Continenza: L’esposizione non deve trascendere in attacchi personali gratuiti.

È proprio su quest’ultimo punto, la continenza, che la sentenza offre gli spunti più interessanti.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione ha smontato la tesi accusatoria, spiegando perché le espressioni utilizzate, sebbene dure, non integrassero il reato di diffamazione.

Per quanto riguarda il primo imputato, definire una testimone “improbabile” e la sua versione “surreale” non è stato considerato un attacco alla sua dignità personale. Si tratta, invece, di un giudizio critico, per quanto severo, sulla credibilità delle sue dichiarazioni in un contesto di forte contrapposizione. La Corte ha specificato che non si è trattato di un argumentum ad hominem, ovvero di un attacco personale slegato dal tema della discussione. L’imputato non ha accusato la donna di essere razzista o xenofoba, ma ha criticato la sua versione dei fatti e coloro che la condividevano acriticamente.

Anche il commento del secondo imputato, che invitava a “lasciarla sola”, è stato interpretato come una reazione aspra ma contestualizzata. Non era un’istigazione alla violenza, ma un’espressione forte per manifestare il dissenso verso le dichiarazioni della donna e la loro diffusione, proponendo una forma di isolamento sociale come reazione alla sua controversa testimonianza.

La Corte ha sottolineato che in un dibattito pubblico su temi sensibili, sono ammissibili anche “asprezze ed esagerazioni”, purché funzionali ad esprimere la propria opinione e non finalizzate al mero disprezzo della persona.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza rappresenta un punto fermo nella definizione dei confini del diritto di critica nell’ambiente digitale. Stabilisce che la critica politica e sociale, anche quando espressa con toni polemici sui social network, gode di un’ampia tutela. Il giudice deve valutare attentamente il contesto comunicativo e distinguere tra un giudizio severo, ma legittimo, e un’aggressione gratuita alla sfera morale e personale di un individuo. La decisione ribadisce che il dibattito pubblico, anche acceso, è un pilastro della democrazia e non può essere soffocato equiparando ogni espressione sgradita o pungente al reato di diffamazione.

Quando un commento aspro su un social network diventa diffamazione?
Un commento, anche aspro, diventa diffamazione quando travalica il diritto di critica e si trasforma in un attacco personale e gratuito alla dignità e alla reputazione di un individuo, utilizzando espedienti retorici come l’argumentum ad hominem, slegati dal contesto del dibattito.

Il diritto di critica può giustificare l’uso di espressioni come ‘testimone improbabile’?
Sì, secondo questa sentenza. Se inserita in un contesto di pubblico interesse e basata su un fatto reale (come l’esistenza di versioni contrastanti), un’espressione del genere costituisce un giudizio critico sulla credibilità di una dichiarazione e non un’offesa personale, rientrando così nei limiti della critica consentita.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna senza rinvio?
La Corte ha annullato la sentenza senza rinvio perché ha ritenuto che il fatto contestato non costituisse reato (‘il fatto non sussiste’). Ha valutato che le espressioni utilizzate dagli imputati, analizzate nel loro contesto, rientravano pienamente nella scriminante dell’esercizio del diritto di critica, escludendo quindi la sussistenza stessa del reato di diffamazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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