Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10425 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10425 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME NOME ad ANCONA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a FERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/02/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale della Corte di cassazione, NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
Udite le conclusioni del difensore e procuratore speciale, AVV_NOTAIO, per la costituita parte civile che, nel riportarsi alle conclusioni pervenute in data 4 gennaio 2023, ha depositato conclusioni scritte e nota spese.
Udite le conclusioni del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, per il ricorrente COGNOME, che nel riportarsi ai motivi di ricorso e ai motivi aggiunti, ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
1.Con sentenza del 20 febbraio 2023, la Corte di appello di Ancona ha confermato la pronuncia del 28 settembre 2020 del Tribunale di Ascoli Piceno nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME che, previa affermazione della penale responsabilità, erano stati condannati alla pena di giustizia condizionalmente sospesa, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, con relative statuizioni sulle richieste della costituita parte civile NOME COGNOME.
L’imputazione (artt.110,595 commi primo e terzo cod. pen.) ha ad oggetto la condotta di diffamazione attribuita ai ricorrenti e precisamente:
Per l’imputato COGNOME NOME la pubblicazione attraverso il social network “Facebook” di un post collegato all’articolo del quotidiano “Il Resto del Carlino” cha aveva fatto riferimento alle dichiarazioni della COGNOMECOGNOME testimone oculare di un omicidio di un cittadino nigeriano, con il quale offendeva la reputazione della persona offesa definendola “testimone improbabile”, accusandola di avere reso dichiarazioni per ragioni di discriminazione razziale. Inoltre, l’inserimento di un iink di collegamento ad un articolo pubblicato nel 2014 dal RAGIONE_SOCIALE nel 2014 relativo ad un’intervista rilasciata sempre dalla persona offesa che aveva salvato e adottato alcuni gattini che alcune persone di nazionalità cinese stavano catturando, accompagNOME da un ulteriore commento del seguente tenore “un paio di anni fa raccontò di quando i cinesi prendevano i gatti con i retini per mangiarli. Purtroppo, stavolta non c’è in ballo la sorte di amabili micetti, ma la vita di un essere umano la cui unica colpa è stata quella di cercare protezione in un paese in cui spargere impunemente, dai media e dai banchi parlamentari, razzismo e xenofobia sulle teste vuote di milioni di italiani, è pane quotidiano”; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Per l’imputato COGNOME NOME la risposta in calce al post descritto contenente il seguente commento: “Se non dovesse pensarci la giustizia, dovremmo pensarci noi e chi di noi la conosce. Allontanarla con un senso di schifo, lasciarla sola”.
2.Avverso la decisione della Corte d’appello i ricorrenti hanno proposto distinti ricorsi, attraverso i rispettivi difensori di fiducia, deducendo i motivi, di segui enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma primo, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. NOME COGNOME ha proposto ricorso con atto sottoscritto dal difensore di fiducia, AVV_NOTAIO.
Con il primo motivo, è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della scriminante di cui all’art. 51 cod. pen. quanto all’esercizio del diritto di critica politica e alla causa di non punibilità d provocazione di cui all’art.599 cod. pen.
La difesa opera una preliminare contestualizzazione della vicenda dalla quale ha avuto origine il post incrimiNOME.
In particolare, in data 5 luglio 2016 era stato ucciso un cittadino nigeriano accolto con la giovane moglie quale rifugiato politico dalla comunità del sacerdote NOME COGNOME.
La vicenda aveva creato profondo turbamento nella c:ornunità di Fermo interessando quotidiani locali e nazionali nonché la convocazione di una conferenza stampa a cui partecipavano esponenti politici locali fra i quali l’attuale ricorrente consigliere comunale, nel corso della quale il sacerdote riferiva la versione della moglie del giovane secondo la quale questi era stato deliberatamente ucciso per motivi razzisti da un cittadino fermano.
L’attuale persona offesa rendeva agli inquirenti una diversa versione secondo cui era stato il cittadino nigeriano ad aggredire il cittadino italiano, il quale s per difendersi aveva reagito colpendo il primo con un pugno che ne aveva cagioNOME la morte e pubblicava anche un post sul punto.
Le dichiarazioni della donna erano riprese il giorno successivo da un articolo del Resto del carlino e scatenavano reazioni accese e l’interesse di testate giornalistiche e della trasmissione radiofonic:a “La Zanzara” che intervistava la COGNOME.
Il post dell’imputato era NOME dall’invito di molte persone a fornire chiarimenti anche in ragione del suo attivismo in favore dei diritti umani e del suo impegno politico quale consigliere comunale.
Alla luce della ricostruzione della vicenda, la difesa lamenta che la sentenza impugnata non ha considerato:
-l’interesse pubblico alla diffusione della notizia;
-il nucleo di verità a fondamento della pubblicazione del post;
-la continenza delle parole non avendo mai con le espressioni utilizzate il ricorrente trasceso in attacchi personali gratuiti. Non sono state mai utilizzate espressioni quali razzista, fascista, xenofoba come ammesso dalla stessa persona offesa nel coso della sua testimonianza.
L’espressione utilizzata dall’imputato di “improbabile testimone” è stata impropriamente e illogicamente interpretata nello stesso capo di imputazione dal Pubblico ministero quale sostanziale accusa di false dichiarazioni motivate dalla discriminazione razziale, interpretazione a cui ha poi aderito la sentenza impugnata.
2.1.1. Analogamente la sentenza impugnata ha erroneamente interpretato il richiamo al precedente articolo sulla cattura dei gattini, dal momento che il ricorrente aveva espressamente rievocato la vicenda non per sottolineare intenti
razzisti della persona offesa, quanto piuttosto per la sua abitudine ad esporsi pubblicamente.
2.2. Con il secondo motivo è stato dedotto vizio di motivazione nonché violazione di legge tradottasi in motivazione apparente.
La motivazione della sentenza impugnata risulta del tutto apparente limitandosi a riconoscere apoditticamente valenza offensiva all’espressioni utilizzate dal ricorrente, non offrendo argomenti logico-deduttivi con i quali escludere l’esercizio del diritto di critica e non considerando il contesto comunicativo proprio dei social network (Sez.5 n.8898/2021).
La motivazione appare contraddittoria allorquando riconosce valenza diffamatoria all’espressione “teste improbabile” per poi qualificare la persona offesa “reprensibile, improvvida, disinvolta”; è altresì contraddittoria nell’escludere la causa di non punibilità della provocazione per poi riconoscere alla persona offesa di avere concorso nella causazione del danno.
La sentenza risulta poi censurabile nella parte in cui ha travisato il contributo dichiarativo della persona offesa omettendo la valutazione della stessa in quanto portatrice di uno specifico interesse all’accertamento della penale responsabilità dell’imputato, trascurando la abitudine della stessa a rilasciare dichiarazioni ed interviste spesso con toni sensazionalistici, a giustificazione della reazione del ricorrente.
In data 21 dicembre 2023 sono pervenuti motivi aggiunti con i quali, nel riprendere i motivi contenuti nel ricorso principale, la difesa ha ulteriormente approfondito le doglianze relative al mancato riconoscimento della scriminante dell’esercizio del diritto di critica, della causa di non punibilità della provocazion in relazione all’art. 10 CEDU, della non punibilità per la particolare tenuità del fatto.
NOME NOME ha proposto ricorso con atto sottoscritto dai difensori di fiducia, AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO.
Con il primo ed unico motivo, è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della scriminante di cui all’art. 51 in relazione all’art. 595 comma terzo cod. pen.
Anche in tal caso la difesa ripercorre preliminarmente la vicenda che ha dato origine al post di COGNOME e al commento del ricorrente in termini analoghi al ricors presentato nell’interesse del coimputato.
Alla luce della ricostruzione della vicenda, anche in tal caso la difesa lam che la sentenza impugnata non ha considerato:
-l’interesse pubblico alla diffusione della notizia;
-il nucleo di verità a fondamento della pubblicazione del post.
Quindi, in punto di continenza, censura in primo luogo la sentenza impugnata nella parte in cui attribuisce al ricorrente una condivisione dei contenuti del post di COGNOME, in evidente contrasto con il principio dell’attribuibilità soggettiva del reat
Esclude che le espressioni utilizzate nel commento travalichino il requisito della continenza formale in ragione:
-della esistenza di una dichiarazione testimoniale fortemente controversa;
-della rilevanza sociale dell’accaduto,
potendosi escludere valenza offensiva all’espressione utilizzata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per le ragioni e nei termini di seguito espressi.
Il primo motivo di entrambi i ricorsi (motivo unico per l’imputato COGNOME) risulta fondato.
Occorre preliminarmente evidenziare che in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare l’offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell’imputato. (Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep.2020, Rv. 278145).
1.2 Nel caso di specie la sentenza impugnata (p.10) considera ” pacifici gli elementi dell’interesse pubblico alla notizia e della veridicità della esistenza di un contrasto-parziale- tra la versione di COGNOME e quella proveniente da altri fonti di prova”.
La esistenza di un contrasto- sia pure parziale- tra le diverse fonti dichiarative in occasione dell’episodio di sangue che coinvolgeva il cittadino straniero consente l’esercizio del diritto di critica.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte la critica postula fatti che la giustifichino e, cioè, un contenuto di veridicità limitato alla oggettiva esistenza de dati assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse (Sez. 5, n. 13549 del 20/02/2008, COGNOME, Rv. 239825; Sez. 5, n. 13880 del 18/12/2007, dep.2008, COGNOME, Rv. 239816; Sez. 5, n. 20474 del 14/02/2002, PG in proc. Trevisan, Rv. 221904; Sez. 5, n. 13264 del 16/03/2005, non massimata; Sez. 5, n. 20474 del 14/02/2002, Rv. 221904; Sez. 5, n. 7499 del 14/02/2000, Rv. 216534).
In tal senso, del resto, si è espressa la giurisprudenza convenzionale, che ha affermato che la libertà di esprimere giudizi critici, cioè “giudizi di valore”, trova solo, ma invalicabile, limite nella esistenza di un “sufficiente riscontro fattuale (Corte Edu, sent. del 27.10.2005 caso RAGIONE_SOCIALE c. Austria rie. n 58547/00, nonché sent. del 29.11.2005, caso COGNOME c.
Portogallo, ric. n 75088/01) e che, al fine di valutare la giustificazione di una dichiarazione contestata, è sempre necessario distinguere tra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, perché, se la materialità dei fatti può essere provata, l’esattezza dei secondi non sempre si presta ad essere dimostrata (Corte EDU, sent. del 1.7.1997 caso Oberschlick c. Austria par. 33).
1.3. La sentenza impugnata si sofferma invece sul requisito della continenza delle espressioni utilizzate reputandole quali espressioni che travalicano e trascendono il corretto esercizio del diritto di critica.
Giova rammentare che la continenza concerne un aspetto sostanziale e un profilo formale. La continenza sostanziale, o “materiale”, attiene alla natura e alla latitudine dei fatti riferiti e delle opinioni espresse, in relazione all’inter pubblico alla comunicazione o al diritto-dovere di denunzia: essa si riferisce, dunque, alla quantità e alla selezione dell’informazione in funzione del tipo di resoconto e dell’utilità/bisogno sociale di esso. La continenza formale attiene, invece, al modo con cui il racconto sul fatto è reso o il giudizio critico esterNOME, e cioè alla qualità della manifestazione: essa postula, quindi, una forma espositiva proporzionata, “corretta” in quanto non ingiustiificatamente sovrabbondante al fine del concetto da esprimere.
Ciò comporta che le modalità espressive non devono essere gratuitamente offensive. Tuttavia, toni aspri o polemici non possono considerarsi di per sé punibili quando siano proporzionati e funzionali all’opinione o alla protesta da esprimere (Sez. 5, n. 11905 del 05/11/1997, COGNOME G, Rv. 209647).
Quanto detto permette, allora, di ribadire che la diversità dei contesti nei quali si svolge la critica, così come la differente responsabilità e funzione dei soggetti ai quali la critica è rivolta, possono quindi giustificare attacchi di grand violenza se proporzionati ai valori in gioco che si ritengono compromessi: sono, in definitiva, gli interessi in gioco che segnano la “misura” delle espressioni consentite (Sez. 1, n. 36045 del 13/06/2014, P.M in proc. Surano, Rv. 261122). Tale principio deve trovare applicazione, in primo luogo, allorché le opinioni veementi siano rivolte a soggetti che detengono o rappresentano un potere pubblico, e siano dunque giustificate dalla sentita necessità di rispondere con durezza ad un esercizio del potere percepito come arbitrario o illegittimo, salvi, ovviamente, i non ammessi argumenta ad hominem.
Alla luce delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza non solo nazionale ma anche convenzionale, va riconosciuto, quindi, che le espressioni possono anche integrare ‘asprezze ed esagerazioni’, ma, collocate nel più ampio contesto comunicativo del quale sono parte, che consente di intenderle nel loro giusto valore, rientrano certamente nel cono d’ombra della scrinninante del diritto di critica, esercitato rispetto a valori ed interessi che gli imputai:i ragionevolmente
temevano potessero essere messi a repentaglio dai comportamenti come si desume dal riscontro fattuale rappresentato dalle stesse dichiarazioni della persona offesa.
1.4. Operata questa necessaria premessa, vanno svolte specifiche argomentazioni avuto riguardo alla posizione dei due ricorrenti.
1.4.1. Con riferimento alla posizione dell’imputato NOME COGNOME, la imputazione riporta l’intero post pubblicato sul social “Facebook”, consentendo dunque di valutare nella sua interezza le espressioni utilizzate e il contesto in cui le stesse sono state pronunziate.
La sentenza impugnata (p.10) ravvisa valenza offensiva e diffamatoria al post nella parte in cui definisce la COGNOME “testimone improbabile, che dovrà assumersi la responsabilità di quanto afferma”; nella parte in cui considera la versione dei fatti offerta dalla donna quale “versione piuttosto surreale” ponendo in correlazione queste espressioni con ” coloro che stanno arnmantando la loro coscienza sporca con questa versione piuttosto surreale, ma confortante per i propri pregiudizi.”
La Corte territoriale in tal modo non ha operato buon governo dei principi fissati da questa Corte secondo cui in tema di diffamazione a mezzo stampa, il limite immanente all’esercizio del diritto di c:ritica è essenzialmente quello del rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l’utilizzo di “argumenta ad hominem”. (Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, dep.2011, Rv. 249239).
Ebbene nel caso di specie, può escludersi la sussistenza di un attacco offensivo alla persona e dunque un argumentum ad hominem ( ‘argomento contro l’uomo”), inteso come espediente retorico con il quale ci si allontana dall’argomento della polemica contestando non l’affermazione dell’interlocutore, ma l’interlocutore stesso.
L’imputato ha, alla luce del non contestato contrasto tra le versioni circa l’accaduto, definito COGNOME come testimone improbabile e la sua versione dei fatti piuttosto surreale: ricavare da questa espressione “una sostanziale accusa” rivolta alla COGNOME “di avere reso false dichiarazioni per ragioni d discriminazione razziale” costituisce operazione ermeneutica non corretta dal momento che si attribuiscono all’imputato accuse rivolte alla persona offesa di razzismo e xenofobia, mai pronunziate.
Dalla lettura del post emerge come l’imputato nel commentare la vicenda riferisca testualmente: “Personalmente non ce l’ho tanto con questa improbabile testimone (..) ma con quanti con sprezzo del ridicolo stanno
ammantando la loro coscienza sporca con questa versione piuttosto surreale, ma confortante per i propri pregiudizi.”
Sempre nel commentare la versione della COGNOME – secondo la quale il pugno sferrato dall’uomo italiano al cittadino straniero poi deceduto avrebbe costituito la reazione ad una violenta aggressione di più persone- l’imputato COGNOME ancora una volta rivolge accuse “alla stampa locale e a quanti sprezzanti del ridicolo stanno condividendo a manetta sulla rete ” tale versione.
Ad avviso del collegio, può quindi escludersi la valenza diffamatoria delle espressioni contestate senza peraltro ricorrere all’esercizio “del diritto di critic politica”, trattandosi di valutazioni dell’imputato tradottesi in una forma espositiva proporzionata, in quanto non ingiustificatamente sovrabbondante al fine del concetto da esprimere e non implicanti alcun attacco personale e diretto di razzismo e/o xenofobia.
1.4.2. Con riferimento alla posizione di COGNOME NOME, il ricorso è fondato quanto all’assenza di valenza diffamatoria nel commento al post pubblicato.
Richiamate integralmente tutte le argomentazioni sinora svolte con riferimento alla posizione dell’imputato COGNOME, il motivo risulta fondato nella parte in cui esclude che le espressioni utilizzate nel commento travalichino il requisito della continenza formale in ragione della esistenza di una dichiarazione testimoniale fortemente controversa unita alla rilevanza sociale dell’accaduto e alla forte reazione della comunità che era derivato dalla morte del cittadino nigeriano.
In risposta al post dell’imputato COGNOME, post di cui si è argomentato in precedenza, l’imputato risponde senz’altro aspro, ma indirizzando la sua reazione alla necessità di isolare (“lasciarla sola”) NOME COGNOME, laddove invece l sue dichiarazioni erano state condivise e diffuse come lo stesso post di COGNOME aveva evidenziato.
1.3. Dall’ accoglimento del motivo comune deriva l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio perché i fatti rispettivamente ascritti non sussistono con conseguente revoca delle statuizioni civili e la mancata liquidazione delle spese richieste dalla parte civile
L’epilogo decisorio comporta l’assorbimento dell’ulteriore motivo di ricorso nell’interesse di COGNOME NOME.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME perché il fatto a ciascuno ascritto non sussiste.
Così deciso, in Roma il 10 gennaio 2024
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Il Presidente