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Diritto di critica: offesa sui social non è reato

Una designer accusa un’ex segretaria di plagio su un social network, usando parole dure come “maniaca” e “freak”. La Corte di Cassazione ha assolto la designer, stabilendo che i commenti, sebbene forti, rientrano nel diritto di critica in quanto strettamente legati alla rivalità professionale e non a gratuiti attacchi personali.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Diritto di Critica e Diffamazione sui Social: Quando l’Offesa non è Reato

Il confine tra la libertà di espressione e la diffamazione è spesso sottile, specialmente nell’era digitale. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 788 del 2024, offre un importante chiarimento su come il diritto di critica possa giustificare l’uso di espressioni forti e offensive in un contesto di rivalità professionale, anche sui social network. La vicenda riguarda una stilista che aveva accusato pubblicamente una sua ex collaboratrice di plagio, usando termini come “maniaca” e “freak”, ma è stata assolta perché le sue parole, seppur dure, erano pertinenti al conflitto lavorativo.

I Fatti: Una Rivalità Professionale Sfocia sui Social

La controversia nasce da un post pubblicato su Facebook da una stilista di moda. Nel post, accusava la sua ex segretaria, anch’essa attiva nel settore, di averle copiato il lavoro e persino il curriculum. Le accuse erano accompagnate da frasi molto dure: la definiva una “maniaca”, incapace di “disegnare neanche una linea dritta” e la etichettava con l’acronimo “SWF”, un riferimento cinematografico a un personaggio ossessionato dall’imitazione di un’altra persona. Inizialmente, la Corte d’Appello aveva ritenuto queste espressioni diffamatorie, pur assolvendo l’imputata per la particolare tenuità del fatto. Tuttavia, la stilista ha impugnato la sentenza, sostenendo di aver esercitato il suo legittimo diritto di critica.

La Decisione della Corte: il Diritto di Critica Prevale

La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione precedente, annullando la sentenza senza rinvio perché “il fatto non costituisce reato”. Secondo i giudici supremi, le azioni dell’imputata rientrano pienamente nella scriminante del diritto di critica, previsto dall’art. 51 del codice penale.

Il Contesto Lavorativo è Determinante

Il punto centrale della decisione è il contesto in cui le frasi sono state pronunciate. Non si trattava di un attacco personale gratuito, ma di uno sfogo, seppur aspro, nato all’interno di una “rivalità nell’attività di creazione di modelli”. Le critiche, anche le più aspre, erano direttamente collegate a presunti comportamenti professionali scorretti, come l’ispirazione pedissequa e la mancanza di originalità. Per la Corte, la critica non ha mai travalicato i confini della vicenda lavorativa per attaccare la reputazione personale e la morale della controparte in modo decontestualizzato.

L’Analisi del Termine “Freak”

La Corte ha anche analizzato il termine “freak”, utilizzato in lingua originale nel post. I giudici hanno osservato che la traduzione italiana di “maniaca” o “strampalata” non coglie appieno la ricchezza semantica della parola inglese, che può avere significati meno lesivi. In ogni caso, anche inteso nella sua accezione più forte, il termine è stato ritenuto coerente con il contesto di stupore e critica per un comportamento professionale ritenuto ossessivo e sopra le righe, rafforzato dal riferimento al film “Single White Female”.

Le Motivazioni: i Limiti del Diritto di Critica

La motivazione della Cassazione si fonda su un principio consolidato: il diritto di critica tutela anche giudizi espressi con toni forti, aspri e sferzanti. Il limite invalicabile è quello della “continenza espositiva”, che però non va intesa come un obbligo di usare un linguaggio moderato, ma come un requisito di pertinenza. Le espressioni devono essere funzionali a esprimere un dissenso e non devono degenerare in aggressioni verbali gratuite e umilianti. In questo caso, secondo la Corte, l’imputata ha usato “una colorita espressione” per manifestare la sua opinione critica su comportamenti professionali. Le parole utilizzate, sebbene offensive, erano pertinenti al tema in discussione – la correttezza e l’autonomia stilistica – e quindi coperte dalla scriminante.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza rafforza la tutela della libertà di espressione nei contesti professionali e lavorativi, anche quando la critica assume toni polemici e accesi. Stabilisce che, per valutare la natura diffamatoria di una frase, è essenziale analizzare il contesto complessivo in cui è inserita. Un’espressione che potrebbe essere considerata diffamatoria in astratto, può essere legittima se costituisce una reazione pertinente a specifici comportamenti professionali. Di conseguenza, viene chiarito che il diritto penale non interviene per sanzionare la mera inopportunità di utilizzare toni polemici, ma solo quando la critica si trasforma in un attacco personale fine a sé stesso, slegato dalla vicenda concreta.

Usare termini forti come “maniaca” o “freak” sui social è sempre diffamazione?
No. Secondo la Cassazione, se tali espressioni sono inserite in un contesto specifico, come una rivalità professionale, e sono funzionali a esprimere una critica sull’operato altrui (in questo caso, l’accusa di plagio), possono rientrare nel legittimo esercizio del diritto di critica e non costituire reato.

Qual è il limite tra diritto di critica e offesa personale?
Il limite, secondo la sentenza, risiede nella pertinenza e nella proporzionalità. La critica, anche se aspra, deve rimanere collegata ai fatti in discussione (es. comportamenti lavorativi) e non deve trasformarsi in un’aggressione gratuita e decontestualizzata alla sfera morale e personale dell’individuo.

La Corte di Cassazione ha annullato la condanna al risarcimento del danno?
Sì. Avendo annullato la sentenza perché “il fatto non costituisce reato”, la Corte ha eliminato tutte le statuizioni civili. Di conseguenza, nessun risarcimento del danno né pagamento di provvisionale è dovuto dalla persona assolta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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