Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 788 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 788 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nata a WASHINGTON( STATI UNITI AMERICA) il 14/02/1969
avverso la sentenza del 30/09/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore Generale COGNOME
che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte d’Appello di Bologna, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto NOME COGNOME per la particolare tenuità del fatto a lei ascritto, ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., in ordine al reato di diffam nei confronti di NOME
All’imputata è stato contestato di aver offeso la reputazione della vittima pubblicando su proprio profilo personale “facebook”, in data 3.10.2017, tra le altre, le frasi: “Sem che la mia vecchia segretaria NOME ODP Collection (la quale vive a Bologna come me) non riesca a trovare la propria ispirazione! Ha usato il mio cv come se fosse il suo, dicend delle bugie sulla sua carriera, raccontando alle persone di aver lavorato per dei mie clienti!”, ed affermando ancora, tra l’altro, accusandola di aver copiato il suo lavoro stilista, “.. avrei dovuto aspettarmelo da questa maniaca!”, nonché di non saper “disegnare neanche una linea dritta” ed invitandola: “..trova la tua identità NOME Anc conosciuta come SWF”.
La sentenza d’appello ha ritenuto che, del più ampio post pubblicato, fossero da ritenersi diffamatori, perché incontinenti e non coperti dalla scriminante del diritto di crit contenuti riferiti alla inettitudine ed incapacità totale della persona offesa ed all’e di “maniaca” o “strampalata”, così tradotta la parola inglese “freak” utilizzata nel contes dello scritto, in cui si associava la vittima, altresì’, al personaggio del film “Single Female” (attraverso l’acronimo SWF), in cui una donna cercava di imitarne un’altra in modo maniacale.
Esclusa l’inoffensività del fatto e, d’altra parte, la scriminante den’esercizio di un d la Corte territoriale ha comunque valutato la condotta particolarmente tenue nell’offesa, applicando la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. e diminuendo conseguentemente la provvisionale già disposta m favore della parte civile.
L’imputata ricorre avverso la sentenza citata mediante il difensore di fiducia deducendo due diversi motivi.
2.1. Il primo argomento di censura eccepisce violazione di legge del provvedimento impugnato, che non ha assolto la ricorrente per insussistenza del fatto, né ha riconosciuto la scriminante del diritto di critica.
Il termine inglese “freak” utilizzato, nel contesto in cui è stato usato, non è da rite offensivo, potendo includere anche significati di mero giudizio critico negativo, non les della reputazione poiché non spregiativamente connessi al significato di “folle, alienato pazzo, malato di mente o squilibrato”, bensì potendo abbinarsi anche solo al senso di chi si comporti in modo strano o imprevedibile o che sia “fissato”, “patito” per qualcosa tutte accezioni non offensive della reputazione altrui, secondo la difesa.
Anche le critiche lavorative riferite all’incapacità professionale della stilista (ch saprebbe “disegnare una linea dritta”) sono espressioni del pensiero critico, appunto, da non considerarsi come attacchi personali alla morale altrui, ma soltanto collegate al contesto professionale in cui si muove la critica; dunque, pertinenti al tema in discussion e rientranti nella continenza espositiva, condizione per la sussistenza della scriminante invocata.
2.2. Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione illogica e contraddittoria quanto all condanna della ricorrente al risarcimento del danno e al pagamento delle spese processuali.
La tesi difensiva è la seguente:
poiché la sentenza impugnata ha operato “in riforma” dalla pronuncia di primo grado, e non “in parziale riforma”, non avrebbe potuto confermare le statuizioni civili di ta decisione, quanto al risarcimento del danno, ma avrebbe dovuto stabilirne di proprie ed autonome;
con riguardo alla condanna alle spese del processo d’appello, pure disposta dal provvedimento impugnato, essa sarebbe illegittima, in ossequio alla giurisprudenza di legittimità secondo cui il giudice di appello che modifichi la decisione di primo grado senso più favorevole all’imputato non può contestualmente condannarlo alle spese processuali, in quanto tale condanna consegue esclusivamente, e senza possibilità di deroghe, al rigetto dell’impugnazione o alla declaratoria della sua inammissibilità (Sez. 5, n. 40825 del 4/7/2017, Siciliano, Rv. 271426 e conformi successive). Inoltre, avrebbe dovuto applicarsi il criterio della soccombenza di cui all’art. 91 cod. proc. civ., conside che, comunque, l’appello dell’imputata è stato accolto e si è pronuncia sentenza di assoluzione ex art. 131-bis cod. pen.
Il Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di cassazione ha chiesto, con requisitoria scritta, l’inammissibilità del ricorso.
La difesa della parte civile ha depositato conclusioni, con allegate anche le conclusion per il giudizio d’appello, con le quali rappresenta i motivi per i quali il ricorso dell’im dovrebbe essere dichiarato inammissibile o rigettato, chiedendo altresì che vengano liquidate 2.500 euro, oltre accessori di legge, a titolo di rifusione delle spese del prese grado di giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, avuto riguardo al primo, assorbente motivo di censura, nella part in cui deduce la sussistenza della scriminante del diritto di critica, sicchè la sentenza de essere annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato,
2. Deve premettersi che la Cassazione, in materia di diffamazione, può autonomamente e direttamente conoscere e valutare l’offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione (Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, NOME, Rv. 278145 che ha ribadito come sia compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell’imputato; l’affermazione è conforme a Sez. 5, n. 48698 del 19/9/2014, COGNOME, Rv. 261284; Sez. 5, n. 41869 del 14/2/2013, COGNOME, Rv. 256706; Sez. 5, n. 832 del 21/6/2005, deo. 2006, COGNOME, Rv. 233749). 2.1. Ancora è utile ricordare che, in tema di diffamazione, questa Corte di legittimità h formato, nel tempo, un orientamento con cui si è volutamente rafforzata la tutela del diritto alla libertà di espressione critica del pensiero e, parallelamente, si sono indic limiti, tuttora esistenti, di esercizio di tale diritto con modalità che non traval confini, sia pur avvertiti come sempre più ampi, della manifestazione delle proprie opinioni, scadendo in gratuite offese dell’altrui onore e immotivate aggressioni dell reputazione personale.
Ecco, dunque, che – oltre al presupposto necessario della verità del fatto storico attribui al diffamato, ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazione critica (ex multis Sez. 5, n. 40930 del 27/9/2013, COGNOME, Rv. 257794; Sez. 5, n. 8721 del 17/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272432; Sez. 5, n. 34129 del 10/5/2019, COGNOME, Rv. 277002) si è consolidato il condivisibile principio secondo cui l’esimente del diritto di critica p una forma espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione, che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione, sebbene essa non vieti l’utilizzo di termini che, pur se oggettivamente offensivi ed aspr hanno anche il significato di mero giudizio critico negativo di cui si deve tenere conto al luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato (Sez. 5, n. 17243 de 19/2/2020, COGNOME, Rv. 279133; Sez. 5, n. 37397 del 24/6/2016, C., Rv. 267866; Sez. 5, n. 31669 del 14/4/2015, COGNOME, Rv. 264442; vedi da ultimo, in un’ipotesi peculiare Sez. 5, n. 33115 del 14/10/2020, COGNOME, Rv. 279965).
In altre parole, si è postulata la sussistenza del requisito della continenza e, ai fini verifica della sussistenza del reato di diffamazione, nella valutazione di detto presuppost necessario ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, è stato chiari affermazione che il Collegio intende ribadire – che si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur se aspri, forti e sferzanti, non siano meramente gratuiti, ma siano, invece, pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato ed al concetto da esprimere (Sez. 5, n. 32027 del 23/3/2018, COGNOME, Rv. 273573).
Si è condivisibilmente chiarito, peraltro, come tale affermazione sia valida anche nell’ambito di contesti dialettici che coinvolgano rapporti lavorativi, economici o
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qualsiasi modo professionali, come quello di specie, poichè è proprio in tali circostanze di fatto che si verificano le ipotesi maggiormente problematiche; ‘quelle che percorrono crinali stretti, sempre in bilico tra l’esigenza di dar voce ai diritti di libertà del anche e soprattutto quando esso sia critico, e la necessità di offrire (ancora) un margine di tutela al diritto alla reputazione, che taluno in dottrina ritiene oramai sempre spesso marginale nelle applicazioni concrete che ne fa la giurisprudenza” (cfr. Sez. 5, n. 7995 del 9/12/2020, dep. 2021, COGNOME che ha deciso una fattispecie di diffamazione alimentatasi, analogamente al caso oggi all’esame del Collegio, in un contesto lavorativo).
Non vi è dubbio che l’evoluzione nomofilattica, in linea con le opzioni più moderne della dottrina, ha portato ad approdi che optano per una tutela assai ampia del diritto di critic corrispondente alla declinazione di grande espansione del perimetro operativo del diritto di libertà di manifestazione del pensiero protetto dall’art. 10 CEDU, proveniente dalla giurisprudenza europea.
Secondo le affermazioni della Corte di Strasburgo, la libertà di espressione costituisce uno dei fondamenti su cui si basa una società democratica ed è una delle condizioni primarie del suo progresso e dello sviluppo di ciascuno; fatto salvo il paragrafo dell’articolo 10, essa vale non soltanto per le «informazioni» o le «idee» accolte con favore o considerate inoffensive o indifferenti, ma anche per quelle che urtano, scioccano o inquietano: così esigono il pluralismo, la tolleranza e lo spirito di apertura, senza i non esiste una «società democratica» (cfr. per tutte, sul tema , generale del diritto di critica, COGNOME c. Svizzera [GC1 del 15 ottobre 2015 e COGNOME e altri c. Francia del 11 giugno 2020, entrambe sullo specifico argomento della critica politica).
Come sancita dall’articolo 10, pertanto, tale libertà è soggetta a eccezioni, che sono d interpretazione restrittiva, e la necessità di limitarla deve essere accertata in manie convincente.
Si ribadisce, dunque, che il “dissenso” è certamente un valore da garantire come bene primario in ogni moderna società democratica che voglia davvero dirsi tale (cfr. ancora la sentenza n. 7995 del 2021), sia pur con la precisazione che esso, tuttavia, non può trascendere le idee, esorbitare dalla ricostruzione dei fatti e giungere a fonda manifestazioni espressive che diventino meri argomenti di aggressione personale di chi è portatore di una diversa opinione (ovvero false accuse: cfr., in ambito di diritto libertà di espressione e contesti non politici, per un caso recente della giurisprudenz della Corte EDU in cui non è stata riscontrata violazione dell’art. 10 CEDU: Vesselinov c. Bulgaria del 2 maggio 2019; di interesse, in precedenza, Marinova c. Bulgaria del 12 luglio 2016).
Non vi è dubbio, quindi, che il limite della continenza nel diritto di critica debba rite superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato, sicchè il
contesto nel quale la condotta si colloca, di cui pure deve tenersi conto per valutare l portata diffamatoria di una condotta, non può scriminare l’uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona oggetto di critica in quanto tale, travalicand la linea di demarcazione tra il dissenso espresso all’operato altrui e la lesione del reputazione e dell’onore della persona attaccata (cfr., in senso analogo, Sez. 5, n. 15060 del 23/2/2011, Dessì, Rv. 250174).
In altre parole, come è stato osservato, il riconoscimento del diritto di critica to giudizi anche aspri sull’operato del destinatario delle espressioni, purché gli stes colpiscano quest’ultimo con riguardo a modalità dii condotta manifestate nelle circostanze a cui la critica si riferisce; ma non consente che, prendendo spunto da dette circostanze, si trascenda in attacchi a qualità o modi di essere della persona che finiscano per prescindere dalla vicenda concreta, assumendo le connotazioni di una valutazione di discredito in termini generali della persona criticata (cfr., in un’ipotesi di “b risposta” giornalistico, la sentenza Sez. 5, n. 4853 del 18/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269093).
Il contesto dialettico, da un lato, e, dall’altro, la continenza che tollera espressioni e dure, purchè pertinenti alla vicenda concreta e che non si spingano al discredito inutilmente infamante della persona, costituiscono i due poli valutativi per la verifica de sussistenza del diritto di critica.
Sulla base di tali presupposti si è mossa la casistica, secondo linee interpretative di vol in volta influenzate dal caso concreto (la citata pronuncia n. 15060 del 2011 ha escluso la scriminante del diritto di critica nei confronti degli imputati che avevano affisso n bacheche aziendali e diffuso con volantini un comunicato in cui, contestando la posizione dissenziente di un iscritto alla C.G.I.L., lo si definiva “notoriamente imbecil diversamente, in altre fattispecie, è stato sostenuto che l’utilizzo del term “incompetente” nei confronti di un architetto, con riferimento al suo operato tecnico, non esorbiti di per sé dai limiti della critica consentiti: cfr. la pronuncia n. 31669 del 2015; nonchè Sez. 5, n. 36077 del 09/07/2007, Mazz:ucco, Rv. 23772.3; in un’altra ipotesi, questa Corte ha ritenuto legittimo l’epiteto “idiota” nei confronti di un poliziotto, in q l’imputato aveva inteso solo stigmatizzare l’uso eccessivo della forza, sproporzionato rispetto al reato e alle condizioni di tempo e di luogo in cui si era svolto il fatto: S n. 15089 del 29/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279084).
2.3. Nel caso sottoposto oggi al Collegio, è bene analizzare l’epiteto “freak” – utilizz nei confronti della persona offesa e parte civile nella sua versione originale in ling inglese, poiché rimanda ad un caleidoscopio di significati più sfumato ed ampio dei suoi corrispondenti termini tradotti in italiano; una ricchezza semantica che è stata solo parte colta dalla versione “maniaca” o “stramba” adottata nell’imputazione e nella motivazione dei giudici di merito.
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Invero, se rapportate al contesto squisitamente lavorativo-artistico-professionale dell due protagoniste della vicenda, impegnate come stiliste di moda in un comune circuito lavorativo ed un tempo legate da un rapporto del tipo “datrice di lavoro (l’imputata)/dipendente (la persona offesa)”, le frasi complessivamente attribuite all ricorrente, compreso il termine “freak”, testimoniano di una rivalità nell’attivit creazione di modelli, in ragione della quale l’imputata ha manifestato la sua opinione duramente critica rispetto a comportamenti della sua ex segretaria ritenuti poco corretti e comunque non condivisibili, quali l’ispirazione pedissequa al suo lavoro, percepita come deplorevole.
La critica non si è spinta mai sino all’argomento del dileggio o dell’aggressione personale e decontestualizzata alla reputazione altrui, scollegata dalla vicenda oggetto della criti stessa.
Viceversa, dalle frasi utilizzate si comprende come anche il termine “freak” non debordi da un contesto di riferimento strettamente professionale e lavorativo, quand’anche inteso nella sua accezione di persona “maniaca”, rafforzata dal riferimento di immagine alla protagonista del film Single White Female, opera dalla trama riferita ad un’ossessiva ispirazione di una protagonista all’altra.
In altre parole, lo stupore dell’imputata per un comportamento al di sopra delle righe da lei auspicate di correttezza ed autonomia stilistica è stato manifestato con una colorit espressione, entrata nel lessico comune inglese e conosciuta anche, di per sé, in quello internazionale, nonché attraverso il tenore tutto professionale delle frasi nelle qual inseriva l’attacco alle capacità della “rivale”: i contenuti complessivi del dell’imputato s , pertanto, non trasmodano al di fuori del pensiero critico consentito e scriminato, ai sensi dell’art. 51 cod. pen.
In altre parole, le espressioni utilizzate non sono da considerarsi come attacchi personal alla morale o alla sfera personale altrui, ma sono pertinenti, anche nell’epiteto “frea chiaramente riferito al comportamento della vittima limitato al suo lavoro stilistico, tema in discussione e rientranti nella continenza espositiva, condizioni per la sussistenza della causa di esclusione della punibilità invocata.
Ciò senza dimenticare che il piano dell’intervento penale e l’area di rilevanza penale non si sovrappongono alle valutazioni, sicuramente diverse, circa l’inopportunità di utilizzar anche in contesti lavorativi di forte dissenso, toni poco pacati e accesi dalla polemic piuttosto che cercare diverse vie di componimento delle frizioni ovvero di manifestazione del dissenso verso l’operato altrui.
Su tali considerazioni, del resto, già in passato, questa Sezione ha chiarito che non ha natura diffamatoria l’espressione “pazzo” se inserita in un contesto peculiare professionale, con ricadute strettamente collegate all’ambito lavorativo in cui vien pronunciata (cfr. Sez. 5, n. 17672 del 8/1/2010, COGNOME, Rv. 247218, in cui è sta ritenuta scriminata l’espressione riferita al titolare di uno studio professiona
pronunciata, nel contesto di una discussione tra colleghi avente ad oggetto l’organizzazione e la funzionalità del lavoro, quale rappresentazione della conduzione scorretta dell’ufficio, foriera di gravi conseguenze sullo stesso).
La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato, rilevata la scriminante del diritto di critica. Di conseguenza, nulla è dovuto per le spese di giudizio richieste dalla parte civile, mentr devono considerarsi eliminate le statuizioni relative al risarcimento del danno ed alla
provvisionale già decise nei gradi di merito.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.
Così deciso il 27 settembre 2023.