Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 9818 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 9818 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: dalla parte civile NOME COGNOME nato a CANDIA LOMELLINA il DATA_NASCITA nel procedimento a carico di: COGNOME NOME nato a FERRARA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/06/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il AVV_NOTAIO COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte d’Appello di Bologna ha confermato la sentenza, emessa dal Tribunale di Bologna il 11.5.2021, con cui NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati assolti perché il fatto non sussiste, rispettivamente, il primo – qu autore dell’articolo intitolato “NOME e i detenuti dimenticati” – dall’accu diffamazione aggravata ai danni di NOME COGNOME; il secondo, per omesso controllo ai sensi dell’art. 57 cod. pen., in qualità di direttore del quotidiano “Il Resto del Ca ove l’articolo era stato pubblicato in data 10.3.2017.
Le sentenze di merito hanno ritenuto l’esistenza della scriminante del diritto di criti rilevando la continenza verbale dello scritto, l’interesse pubblico alla notizia, la verit nucleo centrale dei fatti alla base della critica.
In sintesi, la contestazione di reato richiama, oltre al citato titolo dell’a giornalistico, una frase, ivi contenuta e rivolta al magistrato NOME AVV_NOTAIO, con si evocava il suicidio in carcere di NOME COGNOME COGNOME 1993, poco prima citat accostandolo alle opinioni del magistrato, il quale, all’epoca della vicenda, svolgeva l funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso la Procura di Milano; la frase riportata in imputazione come diffamatoria, nel contesto descritto è la seguente: “ora con disgustoso cinismo si assume la responsabilità di quel crimine non riconoscendo gli eccessi nell’uso della misura cautelare se non nelle scarcerazioni (sic!)”
Avverso la citata sentenza d’appello ha proposto ricorso la persona offesa NOME COGNOME, tramite il difensore di fiducia, deducendo due distinti motivi.
2.1. La prima censura difensiva eccepisce un vizio di violazione di legge in relazione all ritenuta sussistenza della causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di c giornalistica.
La tesi difensiva è che sia stata erroneamente ritenuta la verità del fatto, in relazion mero nucleo centrale da cui prende spunto la critica, aderendo alla giurisprudenza in materia di critica politica, laddove, COGNOME, nel caso di specie, si verte in tema di cr giudiziaria; si evidenzia, altresì, che, in ogni caso, ai fini della configurabilit scriminante del diritto di critica di qualsiasi genere, è necessaria comunque la verità d fatto che costituisce il presupposto delle espressioni critiche (su citano in proposito S 5, n. 51205 del 2023 e Sez. 5, n. 34513 del 2022).
La notizia giornalistica, invero, sarebbe stata riferita in maniera incompleta e disto nell’articolo incriminato, in relazione ad un’intervista rilasciata dalla stessa persona off alla trasmissione “L’Agorà” in data 9.3.2017, nella quale NOME non aveva fatto alcuna ammissione di eccessi nell’uso della misura cautelare nell’ambito della vicenda relativa a NOME COGNOME (peraltro non seguita quanto alle indagini dalla persona offesa, ma da
altro magistrato); anzi, in generale, aveva difeso la correttezza del ricorso alle misu cautelari nell’ampio contesto dell’inchiesta nota come “RAGIONE_SOCIALE“.
La manipolazione dei contenuti di quella intervista, anche attraverso strategiche omissioni dei dettagli della notizia, a giudizio della difesa, ha prodotto come effe l’individuazione di un fatto storico sostanzialmente falso, su cui l’autore dello scritt poi costruito il violento attacco diffamatorio.
Dall’articolo, infatti, si evince che COGNOME COGNOME negato eccessi nell’uso delle misur cautelari nell’ambito della “vicenda COGNOME“, difendendo sé o la Procura di Milano tutt mentre COGNOME tale circostanza non è veritiera, poiché mai egli aveva parlato del caso specifico evocato poi nell’articolo contestato. Nonostante ciò, è proprio tale episodio ch viene attribuito come “crimine” al ricorrente, senza contare che si sostiene falsamente l’ammissione di esso “con digustoso cinismo”.
La difesa sottolinea che la valutazione della sussistenza del diritto di critica deve ess condotta analizzando due momenti logici distinti: dapprima, va verificata la verità de fatto esposto, attribuito all’uomo pubblico; successivamente, si valutano le critic rivolte e le espressioni utilizzate.
Si denuncia, pertanto, “l’incontestabile sottovalutazione del criterio della verità del storico quale presupposto della critica”, nonostante la chiara manipolazione della notizia da parte dell’imputato autore dello scritto.
2.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia vizio di mancanza di motivazione, per omessa riposta al motivo d’appello relativo alla ritenuta sussistenza del diritto di critica.
La difesa aveva esposto, con l’atto di appello, le medesime argomentazioni contenute nel primo motivo di ricorso, riguardo all’insussistenza, nel caso di specie, del presupposto necessario ai fini della configurabilità della scriminante ex art. 51 cod. pen., costi dalla verità del fatto storico alla base della critica: a tali aspetti di censura l d’Appello non ha fornito alcuna risposta.
La sentenza impugnata, in particolare, si sarebbe confrontata in modo insufficiente e carente con le ragioni dell’impugnazione di secondo grado quanto alla non verità del fatto storico riportato – per le ragioni già esposte al punto che precede – facendo riferiment alla circostanza che la critica fosse stata legittimamente correlata alla presa di posizio della persona offesa a difesa delle scelte del suo ex ufficio di Procura ed al fatto soltanto a titolo esemplificativo era stata evocata la “vicenda COGNOME“, paradigmati della tesi che sostiene gli eccessi nell’uso della misura cautelare all’epoca dell’inchie “RAGIONE_SOCIALE“.
3. Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO della Corte di cassazione, con requisitoria scritta, chiesto il rigetto del ricorso.
3.1. L’imputato COGNOME, tramite il difensore di fiducia, ha depositato memoria ex ar 611 cod. proc. pen., in vista dell’udienza, con la quale conclude chiedendo l’inammissibilità o il rigetto del ricorso della parte civile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Va premessa una breve ricostruzione della vicenda attratta nell’area della diffamazione dalla contestazione di reato.
La parte civile, il giorno precedente a quello in cui è stato pubblicato l’articolo contes come diffamatorio, aveva rilasciato un’intervista televisiva, nella quale aveva affermat che l’uso delle misure cautelari nell’ambito dell’inchiesta “RAGIONE_SOCIALE” era st correttamente esercitato dalla Procura di Milano.
L’imputato NOME COGNOME, il giorno 10.3.2017, in disaccordo palese con tale opinione de dott. COGNOME, che, all’epoca dell’inchiesta “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, era componente dell’uffic requirente milanese, aveva criticato le parole della parte civile, specificamente nella par in cui – a suo giudizio – svelava una valutazione cinica, riferita al fatto che, a giudiz magistrato, l’eccesso vi era stato, semmai, in alcune scarcerazioni.
A rafforzare tale convincimento, l’imputato, nell’articolo contestato come diffamatorio ha evocato una vicenda emblematica dell’epoca, quella del suicidio in carcere dell’ing. NOME COGNOME, fatto di cronaca molto noto avvenuto nel 1993, anticipato da una lettera drammatica con cui si denunciava la gogna e il rancore dell’opinione pubblica cui era stato sottoposto, a causa delle indagini nei suoi confronti.
La parte civile ritiene che l’accostamento delle sue opinioni, circa la legitti dell’operato del gruppo inquirente di cui faceva parte in quegli anni, alla drammatic morte di NOME COGNOME COGNOME finito con attribuirgli la tesi che quella speci vicenda fosse stata gestita correttamente, circostanza non vera, in quanto egli mai si era espresso in merito e, soprattutto, non si era occupato di quella inchiesta, unitamente agl altri componenti del RAGIONE_SOCIALE“.
Tale ricostruzione delle posizioni in campo proverebbe l’insussistenza della scriminante del diritto di critica, secondo la difesa, mancando la verità del fatto, palesemen manipolato mediante il riferimento al suicidio di NOME COGNOMECOGNOME COGNOME mai richiamat da NOME COGNOME nell’intervista.
Ricostruite le tesi antagoniste, deve essere, quindi, chiarito il perimetro di operati della scriminante del diritto di critica, in base alla giurisprudenza di legittimità, che da tempo individuato i caratteri essenziali di configurabilità.
Ebbene, in tema di diffamazione a mezzo stampa, la Corte di cassazione ritiene che l’esimente in parola postuli comunque, quale presupposto necessario, la verità del fatto storico attribuito al diffamato, ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazio critica (ex multis, cfr. Sez. 5, n. 40930 del 27/9/2013, COGNOME, Rv. 257794; Sez. 5, n. 8721 del 17/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272432; Sez. 5, n. 34129 del 10/5/2019, COGNOME, Rv. 277002).
Si è consolidato, altresì, il condivisibile principio secondo cui l’esimente del diri critica postula una forma espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità disapprovazione, e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione, sebbene essa non vieti l’utilizzo di termini che, pur se oggettivamente offensivi, hanno anche il significato di mero giudizio critico negativo di cui si deve ten conto alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato (Sez. 5, n. 172 del 19/2/2020, COGNOME, Rv. 279133; Sez. 5, n. 37397 del 24/6/2016, C., Rv. 267866; Sez. 5, n. 31669 del 14/4/2015, COGNOME, Rv. 264442; vedi da ultimo, in un’ipotesi peculiare, Sez. 5, n. 33115 del 14/10/2020, COGNOME, Rv. 279965).
Sul fronte della giurisprudenza europea, per quanto riguarda la critica diretta contr coloro i quali rivestano posizioni pubbliche rilevanti, come certamente può dirsi per ch espleti le funzioni di magistrato, la Corte Europea dei Diritti Umani, da ultimo, tra l’a nella sentenza Magosso e Brindani c. Italia del 16.1.2020, ha posto l’accento sul fatto che i limiti della critica nei confronti dei funzionari che agiscono in qualità di perso pubblici nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali sono più ampi rispetto ai semplici cittadini (come precedenti, cfr. anche Medlis Islamske NOME RAGIONE_SOCIALE e altri c Bosnia Erzegovina [GC] del 27 giugno 2017; NOME c. Finlandia del 6 luglio 2010).
La giurisprudenza della Corte EDU, con specifico riguardo alla diffamazione di esponenti della magistratura, interpretando il § 2 dell’art. 10 CEDU, disposizione che, tr i motivi specifici idonei a giustificare le limitazioni alla libertà di espressione, i scopo di “garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario”, può dirsi orien modo stabile ad affermare che il potere giudiziario non è sottratto alla critica, ma che speciale protezione dell’autorità giudiziaria, attuata mediante anche possibili limitazi alla libertà di espressione, si giustifica per il fatto che in tal modo si concorre a tu la buona amministrazione della giustizia, di cui il rispetto e la fiducia del pubblico s una condizione (cfr. Corte EDU, Sunday Times (n. 1) c. Regno Unito, 26.4.1979, § 5556). La tutela dei giudici e dei pubblici ministeri, cioè, è necessaria, anche considerazione del particolare dovere di riserbo, prudenza e continenza che grava su di loro (Corte EDU, Prager e Oberschlick c. Austria, 26.4.1995, § 34; Corte EDU, Sunday Times (n. 1) c. Regno Unito, 26.4.1979, § 55-56).
Particolarmente rilevante è, ai fini che qui interessano, il caso risolto dalla Cort Strasburgo nella sentenza Morice c. Francia del 23 aprile 2015, in cui la Grande Chambre ha chiarito come il diritto di critica nei confronti di esponenti della magistr
corrisponde ad un interesse pubblico e gode di limiti più ampi di quello esercitabile ne confronti dei normali cittadini, purché la critica non si traduca in “attacchi graveme lesivi e infondati”, delineando, in tal modo, le coordinate per una corretta declinazio dell’esercizio legittimo del diritto di critica nei riguardi dell’operato della magistrat ragione del suo rappresentare un’istituzione fondamentale dello Stato, meritevole di essere tutelata nell’immagine di imparzialità, per la necessità di assicurare la fiducia consociati nel sistema giudiziario (per una ricostruzione in senso analogo, cfr. Sez. 5, n 19889 del 17/2/2021, Parrino, Rv. 281264).
Anche la giurisprudenza della Cassazione ha dimostrato peculiare attenzione ad un bilanciamento della critica giudiziaria con i valori di tutela dell’onore dei magis coinvolti, bilanciamento che si delinea anche come attitudine costante a coltivare il valore del dissenso in democrazia (tra le molte pronunce, si segnalano: Sez. 5, ord. n. 5638 del 16/1/2015, COGNOME, Rv. 263467; Sez. 5, n. 2890 del 4/12/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212693; Sez. 5, n. 28661 del 9/6/2004, Sinn, Rv. 229312).
Viceversa, il limite della continenza nel diritto di critica, utile a scriminare il diffamazione, è superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato, sicchè il contesto nel quale la condotta si colloca, di cui pure deve tenersi c per valutarne la portata diffamatoria, non può scriminare l’uso di espressioni che s risolvano nella denigrazione della persona oggetto di critica in quanto tale.
In tal caso, infatti, si travalica la linea di demarcazione tra il dissenso espre all’operato altrui – che deve essere ampiamente consentito in una società democratica, soprattutto nei confronti di chi ricopra incarichi o funzioni pubblici, e, tra ques magistrati – e la lesione della reputazione e dell’onore della persona attaccata.
Resta fermo che il “dissenso” è certamente un valore da garantire come bene primario in ogni moderna società democratica che voglia davvero dirsi tale, pur se non può trascendere le idee, esorbitare dalla ricostruzione dei fatti e giungere a fonda manifestazioni espressive che diventino meri argomenti di aggressione personale di chi è portatore di una diversa opinione (in tal senso Sez. 5, n. 7995 del 9/12/2020, deo. 2021, in motivazione).
Come già chiarito in altre pronunce (cfr. Sez. 5, n. 45249 del 25/10/2021, Longo, Rv. 282379), l’elaborazione ermeneutica ha condotto alla stabilizzazione di un orientamento di particolare apertura nei confronti della liceità della critica giudiziaria, sulla b principio di derivazione anche dalla giurisprudenza europea, secondo cui, in democrazia, a maggiori poteri corrispondono maggiori responsabilità e l’assoggettamento al controllo da parte dei cittadini, esercitabile anche attraverso il diritto di critica. Pertanto, di critica dei provvedimenti giudiziari e dei comportamenti dei magistrati deve essere riconosciuto – si è detto – nel modo più ampio possibile, costituendo l’unico reale e efficace strumento di controllo democratico dell’esercizio di una rilevante attiv
istituzionale, che viene esercitata nel nome del popolo italiano da soggetti che, a garanzi della fondamentale libertà della decisione, godono di ampia autonomia ed indipendenza; ne deriva che il limite della continenza può ritenersi superato soltanto in presenza espressioni che, in quanto inutilmente umilianti, trasmodino nella gratuita aggressione verbale del soggetto criticato (cfr. Sez. 5, n. 19960 del 30/1/2019, COGNOME, Rv. 276891 in un caso emblematico, nonché, altrettanto significativa, la pronuncia Sez. 5, n. 11662 del 6/2/2007, COGNOME, Rv. 236362, con cui si sono scriminate le espressioni “sprovveduto” ed “incauto” rivolte ad un magistrato).
L’unico ambito di maggior tutela è quello della critica che coinvolga i prerequisiti de funzione giurisdizionale, costituiti dai caratteri di indipendenza ed autonomia (cfr. citata sentenza Longo), percepiti come imprescindibili attribuzioni dell’esser appartenenti all’ordine giudiziario, oppure quando la critica si traduca in un giudizio valore e di stima sulla persona del magistrato, piuttosto che sulle sue capacit professionali.
Così, è stato stabilito che non costituisce esercizio legittimo del diritto di cri gratuita attribuzione di mala fede a chi conduce indagini giudiziarie, presentando come risultato di complotti o di strategie politiche l’opera del pubblico ministero, perché i caso non si esprime un dissenso, più o meno fondato e motivato, sulle scelte investigative, ma si afferma un fatto che deve essere rigorosamente provato e si finisce per realizzare un attacco alla “stima” di cui gode il magistrato (Sez. 5, n. 28661 del 200 cit.; cfr. anche Sez. 5, ord. n. 5638 del 16/1/2015, COGNOME, Rv. 263467 e Sez. 5, n 41671 del 7/7/2016, Menzione, Rv. 268043); ed egualmente è a dirsi se le accuse sono di strumentalizzazione della funzione (Sez. F, n. 29453 del 8/8/2006, COGNOME, Rv. 235069) o si trasmoda dalla critica aspra al dileggio (Sez. 5, n. 2066 del 11/11/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 242348).
Venendo al caso di specie, la verifica della legittimità della decisione e d motivazione impugnate va condotta tenendo presente che la giurisprudenza più recente ha ribadito che, nella valutazione della scriminante del diritto di critica, il rispett verità del fatto è garantito dalla circostanza che esso costituisca lo spunto da cui è sor la riflessione critica, in quanto quest’ultima, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica. In sintesi, la critica, per essere legitt deve prendere spunto da una notizia vera, connotarsi di pubblico interesse e non deve trascendere in un attacco personale (Sez. 5, n. 4530 del 10/11/2022, dep. 2023, Alloro, Rv. 283964).
Non è asimettrica rispetto a tali consolidate affermazioni la sentenza richiamata nel ricorso (Sez. 5, n. 17326 del 28/03/2024, n.m.), che in termini generali non fa altro ch riportare la necessità che la critica politica prenda spunto da una notizia vera, sen
smentirne l’ampiezza di intervento dissenziente che la connota, rispetto alle opinion altrui sul medesimo fatto al centro del dibattito.
Più precisamente, l’espressione “con disgustoso cinismo”, sulla cui valenza diffamatoria il ricorso, pure, verte è di per sé continente; si è visto come epiteti altrettanto e più pregnanti e aspri dal punto di vista dell’offensività intrinseca che li con nell’opinione pubblica siano stati ritenuti coerenti con la necessità di garantire un corre bilanciamento tra la reputazione individuale e la libertà del pensiero critico, c costituisce un connotato irrinunciabile dell’ordine democratico.
Innegabile è, poi, l’interesse pubblico alla vicenda, neppure messo in discussione dalla difesa di parte civile, essendo l’inchiesta “RAGIONE_SOCIALE” un’indagine che, come è stato gi affermato, riveste non più un interesse giudiziario attuale ma che, piuttosto, viene spesso evocata nel dibattito pubblico per i suoi effetti politici, anche collegati ovviament giudizio sugli istituti processuali di interesse, quale l’utilizzo delle misure cautelar carattere “storico” dell’inchiesta attenua gli stessi pur indicati limiti alla critica giu tanto più quando il relativo dibattito polemico sia scaturito da una riflessione pubbl innestata dalla stessa persona offesa (Sez. 5, n. 25138 del 21/2/2007, Feltri, Rv. 237248, in una fattispecie, con un punto nodale di analogia con quella in esame, in cui la persona offesa si era risolta ad intervenire liberamente sulla scena pubblica esternando le proprie considerazioni attraverso un’intervista a un quotidiano a tiratur nazionale, oggetto di replica da parte dell’articolo di stampa incriminato).
D’altro canto, l’art. 21 Cost., analogamente all’art. 10 CEDU, non protegge unicamente le idee favorevoli o inoffensive o indifferenti, essendo al contrario principalmente riv a garantire la libertà proprio delle opinioni che “urtano, scuotono o inquietano”, con conseguenza che di esse non può predicarsi un controllo se non nei limiti della continenza espositiva e della verità del fatto da cui la critica trae spunto, caratteri che, una riscontrati, consentono di configurare l’esimente.
4.1. Il punto cruciale su cui interrogarsi, dunque, è quello della verità del fatto, s deve farsi chiarezza.
La verità da cui si trae spunto per la critica, nel caso di specie, non è la vicenda giudizi relativa al suicidio dell’imprenditore NOME COGNOME in carcere, nel contesto de indagini cd. “RAGIONE_SOCIALE“.
Tale vicenda, infatti, non è stata attribuita alla persona offesa quale rappresentante d pubblico ministero incaricato delle indagini; l’articolo non rimprovera al ricorrente gestione di quel caso giudiziario, ma il cinismo di un’idea, vale a dire della valutazio circa il fatto che non vi siano stati abusi nella carcerazione preventiva nell’amb dell’inchiesta “RAGIONE_SOCIALE” ma che, anzi, l’uso scorretto sia stato quello di alc scarcerazioni.
Si tratta di un’opinione sgradita al ricorrente, ed eventualmente anche fallace nella su conclusione, racchiusa nell’espressione valutativa dell’idea del dott. COGNOME, bollata come
“disgustoso cinismo”; e tuttavia si tratta pur sempre di un’opinione legittimata dal dir di critica; di un’affermazione fortemente dissenziente e pungente nel lessico ma consentita, ancorchè contestata dalla persona offesa.
In altre parole, nell’articolo di stampa si manifesta un’opinione negativa riguardo pensiero del dott. COGNOME, a sua volta espresso pubblicamente in un’intervista televisiva precedente all’articolo e che ne costituisce l’antefatto immediatamente collegato; il tema comune e “vero” è quello della gestione delle misure cautelari durante la maxi inchiesta denominata “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“; il tema discusso, al centro delle opinioni legittimamente dissenzienti e di quella critica al centro del processo, è quello dell’abuso di tali mi cautelari.
L’idea della parte civile al riguardo è quella contestata dall’imputato e tacciata di cinis Ma tale pensiero, tale opinione del ricorrente è ammessa dallo stesso ricorso; da qui la considerazione dei giudici di merito che il fatto alla base dell’opinione critica dell’au dell’articolo sia vero.
La critica, dunque, parte da una base di verità e si manifesta come aspra obiezione verso un’idea che non si condivide.
Si tratta di un giudizio continente, come già sottolineato, poiché, seppure aspro nell espressioni utilizzate – tacciando di cinismo l’opinione del ricorrente e giudicando u “crimine” la gestione dell’inchiesta sulla vicenda del suicidio di COGNOME, non attribuita parte civile, chè altrimenti, sì, vi sarebbe stata violazione del criterio di verità – s una severa censura che non si risolve in un attacco personale o sguaiato.
Non rileva la circostanza che nell’articolo di NOME COGNOME, oggetto della contestazio si prenda spunto da un fatto vero – l’intervista di COGNOME dai contenuti generali di giudi sull’inchiesta RAGIONE_SOCIALE e sui suoi eventuali eccessi di rigore quanto all’utilizzo carcerazione preventiva – per allargare il campo di opinione alla vicenda di NOME COGNOME, COGNOME non trattata nell’intervista di COGNOME.
Invero, la critica può svolgersi sia mediante qualificazioni dell’idea altrui che introduce argomenti diversi a sostegno del proprio pensiero, nei limiti del rispetto della verità d affermazioni ulteriori che si propongono.
In conclusione, il ricorso della parte civile deve essere rigettato. Al rigetto seg condanna alle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese proces ali.
Così deciso il 2 dicembre 2024.