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Diritto di critica e diffamazione: limiti e tutele

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un magistrato che accusava di diffamazione un noto critico d’arte per un articolo. La Corte ha stabilito che il diritto di critica prevale quando si basa su un fatto vero (un’intervista del magistrato), ha interesse pubblico e, sebbene aspra, la critica rimane nei limiti della continenza verbale, criticando un’opinione e non attaccando la persona.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Diritto di Critica e Diffamazione: La Cassazione Traccia i Confini

Il confine tra la libera manifestazione del pensiero e la lesione della reputazione altrui è spesso sottile e oggetto di complesse valutazioni giudiziarie. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un’importante chiarificazione sui limiti del diritto di critica, specialmente quando rivolto a figure pubbliche come i magistrati. Il caso, che vedeva contrapposti un noto magistrato e un celebre critico d’arte, ha permesso di ribadire i principi fondamentali che scriminano un’opinione, anche aspra, dal reato di diffamazione.

I Fatti del Processo

Tutto ha origine da un’intervista televisiva rilasciata da un magistrato di spicco, in cui difendeva l’operato della Procura durante una famosa inchiesta nazionale del passato, in particolare riguardo all’uso delle misure cautelari. Il giorno seguente, un noto quotidiano pubblicava un articolo a firma di un famoso critico, fortemente polemico nei confronti delle affermazioni del magistrato.

L’articolo evocava un tragico evento di cronaca legato a quell’inchiesta – il suicidio in carcere di un importante imprenditore – e accusava il magistrato di “disgustoso cinismo” per aver, a suo dire, difeso un sistema che aveva portato a tali eccessi. Il magistrato, sentendosi diffamato, querelava sia l’autore dell’articolo sia il direttore del giornale, sostenendo che l’accostamento fosse indebito e basato su fatti falsi, poiché egli non si era mai occupato di quel caso specifico né lo aveva menzionato nell’intervista.

Le Decisioni di Merito e il Diritto di Critica

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno assolto gli imputati con la formula “perché il fatto non sussiste”. I giudici di merito hanno ritenuto che l’articolo rientrasse pienamente nell’esercizio del diritto di critica, tutelato dall’ordinamento. Secondo le sentenze, erano presenti tutti i requisiti necessari per l’applicazione della scriminante: l’interesse pubblico della notizia, la continenza verbale (nonostante i toni aspri) e la verità del nucleo centrale dei fatti su cui si innestava la critica.

Il Ricorso in Cassazione

La parte civile ha impugnato la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando due vizi principali:
1. Violazione di legge: I giudici avrebbero errato nel ritenere sussistente il requisito della verità del fatto. La difesa del magistrato sosteneva che l’articolo avesse manipolato la realtà, creando un collegamento falso tra le sue dichiarazioni generali e il caso specifico del suicidio, mai menzionato nell’intervista.
2. Mancanza di motivazione: La Corte d’Appello non avrebbe risposto adeguatamente alle specifiche censure mosse riguardo alla non veridicità del presupposto storico della critica.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato e confermando l’assoluzione. La motivazione della sentenza è cruciale per comprendere i limiti del diritto di critica.

Il punto centrale, secondo gli Ermellini, è la corretta interpretazione del requisito della “verità del fatto”. Nel contesto della critica, questo requisito non impone che ogni singola affermazione dell’autore sia storicamente ineccepibile. Piuttosto, esige che la critica parta da uno “spunto” fattuale vero. In questo caso, il fatto vero e incontestabile era l’intervista televisiva in cui il magistrato esprimeva una precisa opinione sull’uso della custodia cautelare durante la nota inchiesta.

L’articolo del critico, quindi, non ha attribuito al magistrato la responsabilità diretta di quel suicidio, ma ha usato quell’episodio emblematico come argomento polemico per contestare l’opinione generale espressa dal magistrato. Si tratta, secondo la Corte, di una legittima modalità di argomentazione critica, che può svolgersi “allargando il campo di opinione” a vicende correlate per rafforzare il proprio dissenso.

L’espressione “disgustoso cinismo” è stata giudicata forte ma continente. La giurisprudenza, anche europea, riconosce che il dibattito su temi di interesse pubblico, specialmente quando coinvolge figure che ricoprono ruoli istituzionali, ammette toni aspri e pungenti. La critica non deve trascendere nell’attacco personale gratuito, ma può manifestarsi con giudizi di valore netti e sgraditi. La Corte ha stabilito che, nel caso di specie, l’articolo criticava un’idea, per quanto in modo severo, senza risolversi in una denigrazione personale.

Conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale per la libertà di espressione: il diritto di critica gode di un’ampia tutela, soprattutto nel dibattito pubblico. Le conclusioni pratiche che possiamo trarre sono le seguenti:

1. La verità del fatto come punto di partenza: La critica, per essere legittima, deve basarsi su un evento o una dichiarazione realmente accaduti. Non è necessario, però, che l’intera argomentazione critica si limiti a commentare pedissequamente quel fatto, potendo essa spaziare su esempi e argomenti correlati.
2. Liceità dei toni aspri: Espressioni forti e giudizi di valore negativi sono ammessi se funzionali a esprimere un dissenso su temi di interesse collettivo e se non si traducono in un’aggressione personale fine a se stessa.
3. Maggior tolleranza verso la critica a figure pubbliche: Chi ricopre cariche pubbliche o interviene nel dibattito pubblico è soggetto a un vaglio critico più severo da parte dei cittadini e della stampa, come garanzia di controllo democratico.

Quando un’espressione forte come “cinismo” non costituisce diffamazione?
Secondo la Corte, un’espressione forte come “disgustoso cinismo” non costituisce diffamazione quando è utilizzata per esprimere un giudizio di valore critico su un’opinione espressa pubblicamente, rientrando nei limiti della continenza verbale se inserita in un contesto di dibattito su temi di rilevante interesse pubblico e non si traduce in un attacco personale gratuito.

Per esercitare il diritto di critica, è necessario che il fatto usato come esempio sia stato menzionato dalla persona criticata?
No. La Corte ha chiarito che la critica può prendere spunto da un fatto vero (nel caso di specie, un’intervista) per poi allargare il campo di discussione a esempi o argomenti diversi, anche non trattati dalla persona criticata, al fine di sostenere la propria tesi critica.

I magistrati godono di limiti di critica più ampi rispetto ai normali cittadini?
Sì. La sentenza, richiamando la giurisprudenza nazionale ed europea, conferma che i limiti della critica nei confronti di funzionari pubblici, inclusi i magistrati, sono più ampi rispetto a quelli previsti per i semplici cittadini. Questo perché il loro operato è soggetto al controllo democratico e al dibattito pubblico, pur nel rispetto della loro reputazione e onore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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