Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 11572 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 11572 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: nel procedimento a carico di: NOME COGNOME nato a REGGIO CALABRIA il 03/09/1976
dalla parte civile COGNOME NOME nato a PIANELLA il 09/09/1969 avverso la sentenza del 19/03/2024 della Corte d’appello di L’aquila Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito per la parte civile l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso; udita per l’imputata l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato di NOME per il reato di diffamazione aggravata commesso ai danni di COGNOME NOMECOGNOME accusato dall’imputata in un “post” pubblicato sul social media Facebook di aver fatto nominare, nella sua qualità di sindaco del Comune di Pianella, la propria moglie nel Consiglio di amministrazione di un’azienda partecipata anche dal suddetto ente locale.
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nomina della moglie NOME COGNOME era stata approvata con il voto unanime di tutti gli altri soggetti aventi diritto.
Il difensore dell’imputata ha depositato memoria con la quale ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel suo complesso infondato e deve pertanto essere rigettato.
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prospettiva, distinguendo tra dichiarazioni relative a fatti e dichiarazioni che contengano un giudizio di valore, sottolineando come anche in quest’ultimo sia comunque sempre contenuto un nucleo fattuale che deve essere sia veritiero che oggettivamente sufficiente per permettere di trarvi il giudizio, versandosi, altrimenti, in affermazione offensiva ‘eccessiva’, non scriminabile perché assolutamente priva di fondamento o di concreti riferimenti fattuali. In tal senso, la Corte Europea si riferisce principalmente al diritto di critica, politica, etica o di costume e, in generale, a quel diritto strettamente contiguo, sempre correlato con il diritto alla libera espressione del pensiero, che è il diritto di opinione, indicando quali siano i limiti da non travalicare nel caso di critica politica. Nella delineata prospettiva si pone la sentenza CEDU Mengi vs. Turkey, del 27.2.2013, che costituisce ancora la più avanzata ricognizione della posizione della Corte in materia di art. 10 della Carta nella distinzione tra diritto di critica e diritto di cronaca, distinguendo tra statement of facts (oggetto di prova) e value judgements (non suscettibili di dimostrazione), rilevando come nel secondo caso il potenziale offensivo della propalazione, nella quale è tollerabile – data la sua natura -‘exaggeration or even provocation’, sia neutralizzato dal fatto che la stessa si basi su di un nucleo fattuale (veritiero e rigorosamente controllabile) sufficiente per poter trarre il giudizio di valore negativo; se il nucleo fattuale è insufficiente, il giudizio è ‘gratuito’ e pertanto ingiustificato e diffamatorio.
Nel quadro così sommariamente delineato, ove il giudice pervenga, attraverso l’esame globale del contesto espositivo, a qualificare quest’ultimo come prevalentemente valutativo, i limiti dell’esimente sono costituiti dalla rilevanza sociale dell’argomento e dalla correttezza di espressione (Sez. 5, n. 2247 del 02/07/2004, Rv. 231269; Sez. 1, n. 23805 del 10/06/2005, Rv. 231764), sempre che sussista un rapporto di leale confronto tra l’opinione critica ed il fatto che la genera.
Il limite immanente all’esercizio del diritto di critica è, pertanto, costituito in definit dal fatto che essa non sia avulsa da un nucleo di verità e non trascenda in attacchi personali finalizzati ad aggredire la sfera morale altrui (ex multis Sez. 5, n. 31263 del 14/09/2020, COGNOME, Rv. 279909). In tal senso si è però contestualmente precisato che se l’esimente in questione postula una forma espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione, ciò non vieta l’utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, abbiano anche il significato di mero giudizio critico negativo di cui si deve tenere conto alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato (ex multis Sez. 5, n. 17243 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 279133).
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Ferme le rassegnate e condivise coordinate ermeneutiche, deve osservarsi che la Corte territoriale, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non ha fondato la conferma della sentenza di assoluzione dell’imputata esclusivamente su quanto da quest’ultima dichiarato nel dibattimento di primo grado, ma altresì e soprattutto sull’analisi dello scritto incriminato e del contesto in cui è maturato.
3.1 In particolare i giudici del merito hanno sottolineato come la COGNOME all’epoca dei fatti ricoprisse la carica di consigliere comunale e militasse nel gruppo di minoranza che si opponeva alla giunta guidata dal COGNOME. È dunque sulla base di tali dati fattuali che, tenuto conto della natura della vicenda oggetto dello scritto incriminato, che i giudici del merito hanno affermato il carattere eminentemente politico delle critiche mosse dall’imputata alla persona offesa. E ciò a prescindere dal fatto che le dichiarazioni spontanee dell’imputato, espressione del suo diritto di difesa, pur non essendo equiparabili a quelle rese nel corso dell’esame, costituiscono comunque un elemento della piattaforma cognitiva che può essere valorizzata dal giudice, soprattutto se non contrastate da elementi di segno contrario e se non risulta che lo stesso imputato si sia previamente rifiutato di sottoporsi al suo esame richiesto da una delle altre parti processuali (il che non risulta essere avvenuto nel caso di specie sulla base di quanto esposto in sentenza, né il ricorrente ha saputo documentare il contrario).
3.2 Facendo dunque buon governo dei principi illustrati in precedenza e in maniera tutt’altro che illogica la Corte è dunque pervenuta alla conclusione che l’accusa rivolta dalla COGNOME attenesse alla responsabilità politica del COGNOME di non aver comunque impedito – come peraltro era agevolmente nel suo potere – lo schieramento del comune di Pianella a favore della nomina della moglie nel consiglio di amministrazione dell’azienda partecipata anche dall’ente territoriale menzionato. Né il fatto che l’imputata abbia rimarcato come l’incarico assegnato al coniuge del sindaco comportasse una retribuzione – circostanza la cui veridicità non è mai stata in discussione – muta la natura della critica, che si risolve sostanzialmente nell’accusa della inopportunità politica della nomina in quanto idonea ad apparire agli occhi dell’opinione pubblica viziata da intenti clientelari. Rischio che pervero – come evidenziato nella sentenza di primo grado la cui motivazione si salda con quella della pronunzia impugnata non essendo stata sul punto oggetto di contestazione con il ricorso – è la stessa persona offesa ad essersi prospettato, come riferito dalla medesima nel corso della sua audizione.
3.3 L’imputata non ha dunque riferito fatti, di indubbio interesse pubblico, che nel loro nucleo essenziale possono ritenersi non veritieri, né è ricorsa ad espressioni che travalichino il limite di continenza imposto dall’art. 51 c.p., nell’interpretazione che ne ha fornito la consolidata giurisprudenza di legittimità. Ella si è invece limitata a fornire
una valutazione politica di tali fatti, che certo può anche essere considerata ingenerosa o errata, ma che non per questo esclude il legittimo esercizio del diritto di critica, posto che quest’ultima, per definizione, non deve essere “giusta” per assumere efficacia
scriminante.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29/1 2025