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Diritto di credito del terzo: bene sotto sequestro

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’investitrice che chiedeva la restituzione di oro depositato presso una società e poi sottoposto a sequestro preventivo. Il suo diritto di proprietà si è trasformato in un diritto di credito del terzo da far valere nelle procedure concorsuali previste dal Codice Antimafia, non potendo più ottenere il dissequestro del bene specifico, ormai venduto dall’amministratore giudiziario.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diritto di Credito del Terzo: Cosa Accade ai Tuoi Beni in una Società Sotto Sequestro?

La recente sentenza della Corte di Cassazione Penale offre un’importante lezione sul diritto di credito del terzo in buona fede i cui beni vengono coinvolti nel sequestro preventivo di un’azienda. Il caso analizzato riguarda un’investitrice che, dopo aver depositato oro presso una società finanziaria, si è vista negare la restituzione a seguito del sequestro dell’intera società. La Suprema Corte ha chiarito che, in tali circostanze, il diritto di proprietà sul bene specifico si trasforma in un diritto di credito da esercitare secondo precise procedure, rendendo inammissibile la richiesta di dissequestro.

I Fatti del Caso

Una cittadina aveva stipulato un contratto di investimento, denominato “Conto Tesoro”, con una società specializzata in metalli preziosi. In base a tale accordo, aveva depositato una quantità di oro, rimanendone la legittima proprietaria. Successivamente, la società è stata oggetto di un’indagine per reati tributari e altro, che ha portato al sequestro preventivo di tutti i suoi beni, incluse le quote societarie.

L’oro dell’investitrice, essendo custodito presso la società, è stato coinvolto nel sequestro. A seguito della nomina di un amministratore giudiziario, l’oro è stato venduto e il ricavato versato al Fondo Unico di Giustizia (FUG), in quanto non era stato possibile identificarlo specificamente e distinguerlo dagli altri beni aziendali. L’investitrice, ritenendosi terza estranea ai fatti e proprietaria del bene, ha presentato istanza di dissequestro. La sua richiesta è stata rigettata prima dal G.i.p. e poi dal Tribunale, che ha dichiarato l’appello inammissibile. Di qui, il ricorso in Cassazione.

La Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del Tribunale. I giudici hanno stabilito che l’investitrice non aveva più un interesse concreto e attuale a ottenere il dissequestro dell’oro. Questo perché il bene originario non esisteva più in forma fisica, essendo stato legittimamente venduto dall’amministratore giudiziario. La sua posizione giuridica si era irrimediabilmente trasformata da diritto di proprietà su un bene specifico a un mero diritto di credito sul controvalore in denaro.

La Trasformazione del Diritto e il Diritto di Credito del Terzo

Il punto cruciale della sentenza risiede nella distinzione tra la titolarità di un bene e la titolarità di un credito. La Corte ha spiegato che, una volta che l’oro è stato confuso con il patrimonio aziendale e successivamente liquidato, il diritto dell’investitrice non poteva più essere soddisfatto tramite la restituzione fisica. La sua posizione è diventata quella di una creditrice, sebbene in buona fede.

La Procedura Corretta da Seguire

La Cassazione ha ribadito che la via corretta per tutelare il proprio interesse non è l’istanza di dissequestro, ma la partecipazione alla procedura di accertamento del passivo prevista dal Codice Antimafia (D.Lgs. 159/2011). L’investitrice, in qualità di diritto di credito del terzo, deve presentare una domanda di ammissione del proprio credito al giudice delegato. Sarà in quella sede che, una volta accertata la sua buona fede, potrà concorrere con gli altri creditori alla ripartizione dell’attivo realizzato dalla vendita dei beni sequestrati.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri principali. In primo luogo, l’inammissibilità dell’appello originario era dovuta alla sua natura ripropositiva rispetto a una precedente istanza già respinta, senza l’aggiunta di nuovi elementi. In secondo luogo, e in modo dirimente, è venuto meno l’interesse ad agire. Un’impugnazione deve portare a un risultato vantaggioso e concreto per chi la propone. In questo caso, anche se l’appello fosse stato accolto, non avrebbe potuto portare alla restituzione dell’oro, poiché questo era già stato venduto. L’unico risultato ottenibile è il riconoscimento di un credito, obiettivo perseguibile esclusivamente tramite la procedura di verifica dei crediti disciplinata dagli artt. 57 e seguenti del Codice Antimafia. La difesa della ricorrente, pur insistendo sulla buona fede, non ha contestato adeguatamente il fatto che il suo diritto si fosse ormai trasformato, rendendo il ricorso per dissequestro uno strumento processuale inadeguato allo scopo.

Le conclusioni

In conclusione, questa sentenza consolida un principio fondamentale: quando i beni di un terzo in buona fede vengono coinvolti in un sequestro preventivo e, per esigenze della procedura, vengono liquidati o confusi con il patrimonio dell’ente sequestrato, il diritto reale sul bene si estingue e si converte in un diritto di credito. La tutela per il terzo non svanisce, ma si sposta dal piano della rivendicazione del bene a quello dell’insinuazione al passivo della procedura concorsuale. È un monito per gli investitori a comprendere che, pur agendo in totale buona fede, il loro patrimonio può essere soggetto a tali trasformazioni giuridiche se depositato presso intermediari coinvolti in procedimenti penali.

Cosa succede ai beni di un investitore se vengono confusi con il patrimonio di una società sotto sequestro?
Il diritto di proprietà sul bene specifico (in questo caso, l’oro) si trasforma in un diritto di credito per un valore corrispondente. L’investitore non può più chiedere la restituzione del bene fisico, ma deve far valere le sue ragioni come creditore nella procedura di gestione dei beni sequestrati.

Perché il ricorso per ottenere il dissequestro è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché l’investitrice non aveva più un interesse concreto e attuale alla restituzione, dato che l’oro era già stato venduto dall’amministratore giudiziario. L’unica tutela possibile era ormai il riconoscimento del suo credito, obiettivo da perseguire con altri strumenti legali.

Qual è la procedura corretta che un terzo in buona fede deve seguire per recuperare il valore del suo investimento da una società sequestrata?
Il terzo deve presentare una domanda di ammissione del proprio credito nell’ambito della procedura di verifica dei crediti regolata dal Codice Antimafia (D.Lgs. 159/2011). In questa sede, il giudice accerterà la buona fede e il diritto del creditore a partecipare alla ripartizione del patrimonio liquidato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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