Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13000 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13000 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME (CODICE_FISCALE), nato in Gambia il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/10/2023 del G.i.p. del Tribunale di Firenze visti gli atti, I provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 18/10/2023, il G.i.p. del Tribunale di Firenze convalidava l’arresto di NOME e, contestualmente, disponeva l’applicazione, nei suoi confronti, della misura cautelare della custodia in carcere, in quanto gravemente indiziato del reato di tentata rapina impropria in concorso (con NOME COGNOME) e in relazione al pericolo di commissione di reati della stessa specie.
Avverso l’indicata ordinanza del 18/10/2023 del G.i.p. del Tribunale di Firenze, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a unico motivo, con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 143, 143-bis, 386 e 392 dello stesso codice, nonché la violazione del diritto di difesa e delle
garanzie difensive, per la «mancata traduzione degli atti del procedimento nella lingua inglese, conosciuta e compresa pienamente dall’arrestato e imputato» e la «mancata conoscenza effettiva di detti atti da parte dello stesso imputato e arrestato alloglotta (non italoglotta)».
Il ricorrente premette che egli parla la lingua inglese, lingua ufficiale de Gambia, come era emerso anche dalla nomina, per procedere al suo interrogatorio nel corso dell’udienza di convalida, di un interprete di lingua inglese.
Ciò premesso, il COGNOME lamenta che «essuno degli atti del procedimento risulta essere stato tradotto nella lingua inglese, che parla e comprende pienamente l’indagato» e che il G.i.p. del Tribunale di Firenze aveva proceduto al suo interrogatorio: senza verificare che le informazioni previste dall’art. 386 cod. proc. pen. gli fossero state date nella lingua inglese e, quindi, senza dargliele o completarle con l’ausilio dell’interprete lì presente; senza che venissero letti e tradotti «gli atti del procedimento, le imputazioni e le richieste del pubblico ministero». Inoltre, neppure l’ordinanza di convalida dell’arresto, notificata mediante la EMAIL, era stata tradotta in inglese.
Il fatto che, quindi, nessuno degli atti del procedimento fosse stato tradotto in inglese – cioè nella lingua «compresa e parlata pienamente dall’arrestatoindagato» – integrerebbe una violazione degli artt. 143 e 143-bis cod. proc. pen.
Il ricorrente contesta poi la motivazione con la quale il G.i.p. del Tribunale di Firenze ha rigettato l’eccezione che egli aveva sollevato in proposito. Al riguardo, il NOME lamenta in particolare che: a) l’indagine svolta dal G.i.p. non sarebbe «esaustiva e concludente», in quanto nulla sarebbe stata accertato a proposito della sua capacità «di comprendere effettivamente i documenti di una certa complessità», nonché di parlare e di leggere l’italiano, mentre, a quest’ultimo proposito, le affermazioni della concorrente nel reato NOME COGNOME, secondo cui egli comprenderebbe e parlerebbe «benissimo» l’italiano, non risulterebbero dal verbale dell’udienza di convalida del 18/10/2023 e sarebbero, «in ogni caso, poco credibili, visto il contenuto accusatorio nei confronti del coindagato»; b) la contraddittorietà di ritenere, da un lato, che la nomina dell’interprete, ai fi dell’espletamento dell’interrogatorio, offriva maggiori garanzie e, dall’altro lato non necessaria la traduzione degli atti fondamentali del procedimento; c) la valorizzazione, da parte del G.i.p. del Tribunale di Firenze, della nomina, da parte sua, di un difensore di fiducia, il che non terrebbe del fatto che la Corte di cassazione ha affermato il diritto alla traduzione degli atti del procedimento anche quando l’imputato alloglotta abbia eletto domicilio presso il suo difensore (è citata: Sez. 1, n. 28562 del 08/03/2022, Ali, Rv. 283355-01).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’unico motivo è manifestamente infondato.
Vale anzitutto evidenziare che, nel corso del suo interrogatorio durante l’udienza di convalida dell’arresto, l’indagato fu assistito da un interprete. A tal proposito, si deve osservare come la formulazione dell’accusa – la possibilità di comprensione della quale è assicurata dalla previsione del cornma 1 dell’art. 143 cod. proc. pen. – abbia luogo proprio con l’interrogatorio, che il giudice effettua, in sede di convalida dell’arresto, nelle forme dell’art. 65 cod. proc. pen., tra l quali, quindi, la contestazione del fatto attribuito «in forma chiara e precisa».
Ciò evidenziato, si deve rammentare che, secondo la Corte di cassazione, in tema di diritto alla traduzione degli atti, anche dopo l’attuazione della direttiv 2010/64/UE a opera del d.lgs. 4 marzo 2014 n. 32, l’accertamento relativo alla conoscenza, da parte dell’imputato (o dell’indagato), della lingua italiana spetta al giudice di merito, costituendo un’indagine di mero fatto, non censurabile in sede di legittimità se motivato in termini corretti ed esaustivi (Sez. 2, n. 11137 del 20/11/2020, dep. 2021, NOME COGNOME, Rv. 280992-01; Sez. 2, n. 46139 del 28/10/2015, COGNOME, Rv. 265213-01; Sez. F, n. 44016 del 04/09/2014, COGNOME, Rv. 260997-01; Sez. 5, n. 33775 sdel 27/02/2014, NOME, Rv. 261640-01).
Nel caso di specie, il G.i.p. del Tribunale di Firenze ha ritenuto che il COGNOME conoscesse la lingua italiana in quanto: a) come da lui stesso dichiarato, era presente in Italia da circa 10 anni; b) la concorrente nel reato NOME COGNOME aveva dichiarato che egli comprendeva e parlava «benissimo» la lingua italiana, tanto che lei parlava con lui in italiano; c) nel corso del suo interrogatorio, il Mann aveva mostrato di comprendere le domande che gli venivano rivolte (dal giudice, in italiano), tanto da anticipare, qualche volta, le risposte rispetto alla traduzion delle stesse domande, come risultava chiaramente dalla visione della registrazione dell’interrogatorio; d) gli agenti della polizia giudiziaria operanti non avevano segnalato la mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell’arrestato, il quale aveva nominato un difensore di fiducia.
Il Collegio reputa che tale accertamento della conoscenza della lingua italiana da parte del NOME sia stato motivato dal G.i.p. del Tribunale di Firenze in termini corretti ed esaustivi, sicché esso, costituendo una valutazione di merito, non è censurabile in questa sede di legittimità.
Né la correttezza ed esaustività dello stesso accertamento risulta inficiata dalle censure del ricorrente, atteso che: a) quanto a quella secondo cui l’accertamento compiuto non si potrebbe ritenere esaustivo in quanto non sarebbe stata accertata la capacità «di comprendere effettivamente i documenti di una certa complessità», essa risulta del tutto generica, non essendo stato neppure indicato quali sarebbero «i documenti di una certa complessità» che il ricorrente,
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con il suo livello di conoscenza della lingua italiana, non sarebbe in grado di comprendere; b) quanto a quella relativa alle affermazioni che erano state rese dalla coindagata COGNOME: b.1) contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente, le dichiarazioni della COGNOME non dovevano risultare necessariamente dal verbale dell’udienza di convalida, ben potendo risultare anche dagli atti di polizia giudiziaria (Sez. 3, n. 9354 del 15/01/2021, P., Rv. 281479-01); b.2) l’asserita scarsa credibilità delle stesse dichiarazioni appare costituire una mera illazione, atteso anche che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, le stesse dichiarazioni non si possono ritenere avere un «contenuto accusatorio»; c) non vi è contraddizione tra l’affermazione che l’assistenza dell’interprete per l’espletamento dell’interrogatorio era «per maggiore garanzia, essendo stata prospettata dal suo difensore la mancata comprensione della lingua italiana», e l’accertamento che, invece, contrariamente a tale prospettazione, il COGNOME comprendeva l’italiano; d) il G.i.p. del Tribunale di Firenze non ha affermato che la nomina, da parte del COGNOME, di un difensore di fiducia escludesse l’obbligo di traduzione degli atti ma solo che gli agenti della polizia giudiziaria avevano raccolto dal COGNOME anche tale nomina.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 18/01/2024.