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Diminuente per non impugnazione e custodia cautelare

La Corte di Cassazione ha stabilito che la futura applicazione della diminuente per non impugnazione non può giustificare l’attenuazione della custodia cautelare in carcere. La riduzione di pena, infatti, interviene solo in fase esecutiva, dopo che la sentenza è diventata definitiva, e non può essere considerata in via prognostica durante la fase di cognizione per valutare i presupposti delle misure cautelari.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diminuente per non impugnazione: Non incide sulla custodia cautelare

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45646/2024, ha fornito un importante chiarimento sulla portata applicativa della diminuente per non impugnazione prevista dall’art. 442, comma 2-bis, del codice di procedura penale. La Corte ha stabilito che la mera intenzione dell’imputato di non appellare la sentenza di primo grado non può essere utilizzata per ottenere un’attenuazione della misura cautelare della custodia in carcere. Si tratta di un principio che distingue nettamente la fase di cognizione da quella esecutiva.

Il caso: la richiesta di attenuazione della misura cautelare

Un imputato, attualmente sottoposto alla misura della custodia in carcere, era stato condannato in primo grado con rito abbreviato a una pena di tre anni e quattro mesi di reclusione. La sua difesa ha presentato un’istanza per l’attenuazione della misura cautelare, basandosi su una specifica argomentazione. Poiché l’imputato non intendeva proporre appello, la sua pena ‘eseguibile’ sarebbe scesa al di sotto della soglia dei tre anni, grazie all’applicazione della riduzione di un sesto prevista come premio per la mancata impugnazione.

Secondo la tesi difensiva, questa prospettiva avrebbe dovuto comportare la revoca della custodia in carcere, in applicazione dell’art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen., che vieta il mantenimento di tale misura per pene inferiori a tre anni. Sia il GIP che il Tribunale della Libertà avevano però respinto questa richiesta, ritenendo che le esigenze cautelari fossero ancora presenti e che la riduzione di pena fosse un evento futuro e incerto.

La decisione della Corte sulla diminuente per non impugnazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei giudici di merito. Il fulcro della decisione risiede nella natura e nel momento applicativo della diminuente per non impugnazione.

La Corte ha spiegato che, sebbene la legge imponga al giudice una prognosi sulla pena che verrà probabilmente inflitta per decidere sulla custodia cautelare, questa valutazione non può estendersi a eventi futuri e dipendenti dalla mera volontà dell’imputato, come la rinuncia all’appello.

Irrilevanza della mera volontà dell’imputato

La scelta di impugnare o meno una sentenza è una facoltà personale dell’imputato, esercitabile fino all’ultimo giorno utile. Basare una decisione sulla custodia cautelare su una semplice dichiarazione d’intenti sarebbe come fondarla su un elemento prognostico privo di concretezza e verificabilità. La riduzione di pena, infatti, non è automatica ma consegue al passaggio in giudicato della sentenza, un momento che certifica la definitiva conclusione della fase di cognizione.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte sono chiare e lineari. La pena effettivamente inflitta in primo grado era superiore al limite di tre anni. La riduzione di un sesto, prevista dall’art. 442, comma 2-bis, c.p.p., è un beneficio che appartiene, per sua stessa natura, alla fase esecutiva del processo. È il giudice dell’esecuzione, infatti, che applica materialmente lo sconto di pena una volta che il termine per l’impugnazione è scaduto senza che questa sia stata proposta. Durante la fase cautelare, che si svolge nel corso della cognizione, il giudice non può anticipare gli effetti di un evento che non si è ancora verificato e che dipende dalla libera scelta dell’imputato. Di conseguenza, la pena da considerare ai fini dell’art. 275, comma 2-bis, c.p.p. è quella quantificata nella sentenza di primo grado, non quella che potrebbe risultare in futuro.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza ribadisce una netta separazione tra la fase di valutazione delle esigenze cautelari e la fase di esecuzione della pena. La diminuente per non impugnazione è un istituto premiale legato alla definitività della condanna e non può essere utilizzata come strumento per erodere i presupposti di una misura cautelare in corso. La valutazione sulla proporzionalità della custodia in carcere deve basarsi sulla pena concretamente inflitta al momento della decisione, non su una pena futura e ipotetica, la cui determinazione è subordinata a una scelta processuale che l’imputato non ha ancora compiuto in modo irrevocabile.

La semplice intenzione di non appellare una sentenza può portare alla revoca della custodia in carcere?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che la mera prospettazione della volontà di non impugnare la sentenza non è sufficiente per ottenere l’attenuazione o la revoca della custodia cautelare. La pena di riferimento rimane quella inflitta in primo grado.

Quando viene applicata la riduzione di pena per la mancata impugnazione?
La riduzione di pena, pari a un sesto, viene applicata dal giudice dell’esecuzione solo dopo che la sentenza è diventata definitiva, ovvero quando il termine per impugnare è scaduto senza che sia stato presentato appello.

Perché la futura riduzione di pena non può essere considerata ai fini della misura cautelare?
Perché la decisione di impugnare o meno è una facoltà personale dell’imputato, esercitabile fino all’ultimo momento. La produzione dell’effetto premiale appartiene alla fase esecutiva e non a quella di cognizione, dove si valutano le misure cautelari sulla base della situazione attuale e della pena già inflitta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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