Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 19698 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 19698 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Biancavilla (CT) il 13/04/2001
avverso l’ordinanza del 20/01/2025 dal Tribunale di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso per la inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe indicato, il Tribunale di Catania -adito in sede di riesame ex art. 309 cod. proc. pen. -confermava l’ordinanza emessa il 9 dicembre 2024 dal Giudice per le indagini preliminari nei confronti di NOME COGNOME ritenuto gravemente indiziato del reato di partecipazione alla associazione per delinquere di stampo mafioso COGNOME, articolazione della cosca COGNOME di Catania ed operante ad Adrano, sub 1) e dei reati fine di estorsione e tentata estorsione, nonché di detenzione ai fini di cessione di sostanza stupefacente sub 4), 6), 9) e 18) della contestazione provvisoria.
Avverso il provvedimento ha proposto ricorso NOME COGNOME deducendo:
-violazione di legge, in relazione all’art. 309, comma 5, cod. proc. pen., e vizio di motivazione per illogicità.
Il Pubblico Ministero non aveva trasmesso al Tribunale del riesame il verbale di interrogatorio di garanzia e preventivo dei coimputati in violazione del diritto di difesa: il mancato deposito degli atti aveva precluso al difensore la possibilità di evidenziare elementi favorevoli al proprio assistito;
-vizio di motivazione per omissione.
I Giudici del riesame non avrebbero reso alcuna motivazione, sia in relazione al profilo della gravità indiziaria che delle esigenze cautelari, in ordine ai reati sub 1, 9 e 18, richiamando assertivamente il provvedimento impugnato quanto alla esistenza del sodalizio criminoso e senza criticamente soffermarsi sulla figura dell’indagato .
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché manifestamente infondato.
L’ ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia «se la trasmissione degli atti non avviene nei termini di cui al comma 5 …» dell’art. 309 cod. proc. pen. Tra gli atti -che debbono essere trasmessi al Tribunale entro cinque giorni dalla presentazione del riesame -sono menzionati «gli atti presentati a norma dell’art. 291, comma 1, nonché tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini e, in ogni caso, le dichiarazioni rese dalla persona sottoposta alle indagini ai sensi dell’articolo 291, comma 1quater ».
2.1. La dizione letterale della norma è chiara: la sanzione della perdita di efficacia del primigenio provvedimento cautelare presuppone che si tratti non solo di «elementi sopravvenuti» rispetto a quelli in origine trasmessi dal pubblico ministero al giudice della cautela, ma di elementi che contengano informazioni oggettivamente «a favore» dell’indagato.
2.2. Già questa Sezione -uniformandosi alle Sez. U, n. 19853 del 27/03/2002, COGNOME ha chiarito che il combinato disposto del comma 5 e 10 dell’art. 309 cod. proc. pen. richiama gli atti che «contenendo dati informativi idonei ad influire positivamente sulla posizione della persona sottoposta alle indagini, sarebbero stati necessari a consentire al Tribunale del riesame di esercitare la sua funzione di controllo a garanzia della libertà personale nella dialettica delle parti attraverso un’effettiva e tempestiva verifica giudiziale (…) attraverso la trasmissione dei dati
dai quali potessero desumersi gli elementi di colpevolezza, le esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura prescelta per assicurarle » . Inoltre – nel ribadire il consolidato orientamento di legittimità ( ex multis , Sez. 6, n. 25058 del 10/05/2016, COGNOME, Rv. 266972; Sez. 5, n. 51789 del 30/09/2013, Piazza, Rv. 25:7932; Sez. 6, Sentenza n. 12257 del 03/02/2004, COGNOME, Rv. 228469; Sez. 6, n. 20527 del 28/03/2003, COGNOME, Rv. 225451; Sez. 1, n. 190 del 12/01/2000, Verde, Rv. 215421) – ha altresì evidenziato come, in una tale evenienza, il ricorrente abbia «l’onere di indicare compiutamente gli elementi di qualificazione in senso a lui favorevole presenti negli atti non trasmessi, non potendo sostenerne apoditticamente la rilevanza ai fini della perdita di efficacia della misura cautelare ai sensi dell’art. 309, comma 10, cod. proc. pen.» (così, in motivazione, Sez. 6, n. 5405 del 27/01/2022, Salvato, Rv. 283000).
Il collegio – che intende ribadire tale esegesi -rileva come nel caso in esame il difensore , come già argomentato dal Tribunale e come si desume dal tenore dello stesso ricorso, si sia limitato a porre in risalto come NOME COGNOME fosse stato chiamato a rispondere di reati ‘connessi’, di guisa c he le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio di garanzia e/o di interrogatorio preventivo da parte dei coindagati avrebbero potuto in ipotesi riflettersi in senso favorevole sulla situazione cautelare dello stesso.
Il ricorrente, dunque, si è doluto del fatto di non avere avuto la disponibilità dei verbali di interrogatorio e di non avere potuto conoscere il contenuto di atti, potenzialmente favorevoli alle sorti processuali del Centamore.
3.1. Ebbene, è il caso di evidenziare come la trasmissione degli atti al riesame costituisca prerogativa esclusiva del Pubblico ministero e come la valutazione degli ‘elementi sopravvenuti’ rientri nella determinazione discrezionale della parte pubblica. Pertanto, là dove il ricorrente affermi apoditticamente la presenza di elementi per lui favorevoli, non è possibile sapere in primo luogo se i coindagati abbiano o meno effettivamente risposto alle domande loro rivolte oppure se, come ex lege previsto, non si siano avvalsi della legittima facoltà di non rispondere. In secondo luogo, non è possibile nemmeno sapere se le informazioni, là dove acquisite, siano o meno in grado di ‘destrutturare’ l’impianto motivazionale in relazione alla tenuta della gravità indiziaria.
3.2. Dunque -come pure rilevato dal Tribunale che correttamente argomentava in ordine alla mancata dichiarazione di inefficacia della misura – non erano state evidenziate nella competente sede (né lo sono state innanzi a questa Corte) le condizioni per affermare che la determinazione dell’organo requirente di non produrre gli atti abbia privato il Tribunale del riesame della conoscenza di atti sopravvenuti e dal contenuto oggettivamente favorevole per il ricorrente.
Manifestamente infondata è anche la doglianza con cui il ricorrente lamenta il vizio di motivazione per omissione in relazione alla gravità indiziaria in ordine ai reati, provvisoriamente contestati ai capi nr 1), 9) e 18).
4.1. Pur condividendosi la premessa della difesa – secondo cui il riesame di una misura cautelare personale in quanto mezzo di impugnazione con effetto interamente devolutivo impone il necessario esame del profilo della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari, di guisa che il Tribunale può annullare o riformare in senso favorevole all’imputato il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli enunciati e/o confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dell’ordinanza cautelare – va comunque ribadito che l’effetto interamente devolutivo , secondo recente opzione interpretativa di questa Corte di legittimità, che il Collegio ribadisce, si affievolisce qualora l’impugnazione sia limitata ad uno solo dei presupposti applicativi della misura o ad alcuni capi e punti ( ex multis , Sez. 5, n 40061 del 12/07/2019, Valorosi, Rv278314; Sez. 6, n. 18853 del 15/3/2018, Puro, Rv. 273384; Sez. 1, n. 3769 del 21/10/2015, Lomonaco, Rv. 266003).
4.2. Ciò è quanto accaduto nel caso di specie, là dove il ricorrente ha limitato le proprie censure ai gravi indizi di colpevolezza dei reati di cui ai capi 4) e 6) (cfr pag. 2 provvedimento impugnato).
Il citato criterio interpretativo consente, dunque, di ritenere che in ordine agli ulteriori capi di imputazione sul Tribunale gravasse solo un obbligo motivazionale attenuato. Pertanto, in assenza di specifiche censure e in ragione dell’attenuazione in capo ai Giudici di merito del l’ obbligo di motivazione rispetto a capi o punti non oggetto di specifica argomentazione, il riesame correttamente ha richiamato l’ordinanza applicativa della misura, ribadendone l’adeguatezza motivazionale.
E’ in quest’ottica, dunque, che andrà condotta la verifica di legittimità sulla motivazione del riesame in ordine ai gravi indizi, dovendosi altresì considerare che il sindacato di questa Corte in materia cautelare è limitato alla deduzione di ragioni di specifiche violazioni di legge o di manifesta illogicità secondo i canoni di logica ed i principi di diritto, ma non può rispondere a censure che riguardano la ricostruzione dei fatti o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 2/3/2017, COGNOME, Rv. 269884; Sez. 6, n. 11194 del 8/3/2012, COGNOME, Rv. 252178).
4.3. Nel caso di specie, la motivazione dell’ordinanza impugnata (pagg. 3 e ss), ancorché in modo sintetico e per lo più rinviando al contenuto del dato intercettativo richiamato nell’ordinanza genetica e nella richiesta cautelare , appare adeguata in merito alla sussistenza ed alla gravità del compendio indiziario: i
riferimenti alla contestazione associativa e al ruolo nevralgico svolto dal boss NOME COGNOME che, dopo una detenzione di 27 anni , tornava in libertà con il preciso intento di riorganizzare il clan COGNOME e che tanto faceva riprendendo i contatti con i sodali, tra cui il COGNOME, in modo da ricostituire una ‘squadra di fedeli’ per potere realizzare il programma criminoso, perpetrando estorsioni ai danni degli eserciz i commerciali e organizzando l’attività di spaccio di marjiuana e cocaina sul territorio di pertinenza – sono elementi idonei ad evidenziare le ragioni per le quali il Tribunale ha condiviso la valutazione del primo giudice in merito alla sussistenza dei gravi indizi.
4. Alla inammissibilità del ricorso segue ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen . -la condanna al pagamento del ricorrente delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare in tremila euro, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (vedi Corte Costit., sent. n 186 del 13 giugno 2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 29/04/2025