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Diffamazione online: la Cassazione traccia i limiti

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso di diffamazione online, stabilendo i confini tra il legittimo esercizio del diritto di critica e la lesione della reputazione altrui sui social media. La Corte ha sottolineato che, sebbene la critica sia permessa, essa non deve mai trasmodare in attacchi personali gratuiti e denigratori, confermando la condanna per il reato di diffamazione aggravata a carico di un utente per aver pubblicato post offensivi nei confronti di un professionista.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Diffamazione online: quando la critica diventa reato secondo la Cassazione

La crescente diffusione dei social media ha reso la diffamazione online un tema di grande attualità giuridica. Distinguere tra un commento critico e un’offesa penalmente rilevante è una sfida costante. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce importanti chiarimenti su come bilanciare la libertà di espressione con la tutela della reputazione individuale.

I fatti del caso

La vicenda trae origine da una serie di post pubblicati su una nota piattaforma social. Un utente aveva espresso giudizi fortemente negativi sull’operato di un professionista, utilizzando espressioni che andavano oltre una semplice critica. I commenti, accessibili a un vasto pubblico, descrivevano il professionista con termini denigratori, accusandolo di incompetenza e disonestà senza fornire prove concrete a supporto. La persona offesa sporgeva querela, dando inizio a un procedimento penale che vedeva l’imputato condannato sia in primo grado che in appello per il reato di diffamazione aggravata.

L’analisi della diffamazione online e il ricorso in Cassazione

L’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, sostenendo di aver semplicemente esercitato il proprio diritto di critica, costituzionalmente garantito. La sua difesa argomentava che le espressioni utilizzate, sebbene aspre, rientravano nei limiti della polemica e del dissenso, soprattutto in un contesto, come quello dei social network, caratterizzato da un linguaggio spesso informale e diretto.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, fornendo una motivazione chiara e dettagliata. I giudici hanno ribadito che il diritto di critica, per essere considerato legittimo, deve rispettare tre limiti fondamentali: la pertinenza, la continenza e la verità del fatto narrato. Nel caso specifico, la Corte ha rilevato il superamento del limite della continenza. Le espressioni usate non erano semplici critiche all’operato professionale, ma si traducevano in un attacco personale e gratuito, finalizzato unicamente a ledere la reputazione e il decoro della persona offesa. La Corte ha specificato che la diffamazione online è aggravata proprio per la sua capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone in brevissimo tempo, amplificando il danno alla reputazione. L’anonimato percepito e la rapidità della comunicazione digitale non possono diventare uno scudo per condotte illecite.

Le conclusioni

Con questa ordinanza, la Cassazione conferma un orientamento consolidato: la libertà di espressione non è illimitata. Sul web, come nella vita reale, è necessario utilizzare un linguaggio rispettoso, anche quando si esprime un dissenso. La critica è lecita quando è costruttiva e basata su fatti, ma diventa reato quando si trasforma in un insulto fine a se stesso. Questa decisione serve da monito per tutti gli utenti dei social media, ricordando che dietro ogni profilo c’è una persona con una dignità e una reputazione da proteggere, e che le parole, anche quelle digitate su una tastiera, hanno un peso e possono avere conseguenze legali significative.

Quando una critica su internet diventa reato di diffamazione online?
Una critica diventa diffamazione quando supera i limiti della continenza, cioè quando non si limita a un dissenso sull’operato di una persona ma si traduce in un attacco personale, gratuito e denigratorio, volto unicamente a lederne la reputazione.

Perché la diffamazione commessa sui social network è considerata aggravata?
È considerata aggravata perché l’utilizzo di mezzi come i social network consente di raggiungere un numero indeterminato e vasto di persone, amplificando così la portata dell’offesa e il danno arrecato alla reputazione della vittima.

L’uso di un linguaggio informale sui social media giustifica espressioni offensive?
No, secondo la Corte di Cassazione, il linguaggio più informale e diretto tipico dei social media non giustifica l’uso di espressioni gratuitamente offensive e denigratorie che costituiscono un attacco personale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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