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Diffamazione a mezzo stampa: vittima identificabile

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per diffamazione a mezzo stampa nei confronti di un individuo che aveva pubblicato un articolo su un quotidiano. L’articolo riportava una notizia falsa riguardo un sequestro di droga, senza nominare la vittima ma fornendo dettagli sul suo compagno e sulla loro residenza. La Corte ha stabilito che la vittima era comunque identificabile da un numero limitato di persone nella sua comunità, integrando così il reato. La sentenza chiarisce che per la diffamazione non è necessaria l’indicazione nominativa, ma è sufficiente la riconoscibilità del soggetto leso attraverso elementi contestuali.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Diffamazione a mezzo stampa: Quando la vittima è riconoscibile anche se non nominata

Il reato di diffamazione a mezzo stampa rappresenta una delle questioni più delicate nel bilanciamento tra libertà di cronaca e tutela della reputazione individuale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 4588/2024) offre un importante chiarimento su un aspetto cruciale: non è necessario menzionare esplicitamente il nome di una persona per offenderne la reputazione. Se il soggetto è riconoscibile attraverso altri elementi, il reato si configura ugualmente. Analizziamo insieme i dettagli di questo caso.

I fatti del caso: Un articolo e una reputazione lesa

La vicenda ha origine dalla pubblicazione di un articolo su un quotidiano locale, in cui si dava notizia di una perquisizione e del conseguente sequestro di ingenti quantità di sostanze stupefacenti presso un’abitazione situata in una piccola località. L’articolo menzionava nome e cognome di un uomo, indicandolo come indagato. La notizia, tuttavia, si è rivelata completamente falsa.

A seguito della pubblicazione, la compagna dell’uomo citato nell’articolo ha sporto querela per diffamazione. La donna ha dichiarato di essere la convivente dell’indagato e che l’abitazione menzionata era la loro casa, dove però non era mai avvenuta alcuna perquisizione né erano mai state rinvenute sostanze illecite. Sebbene il suo nome non comparisse nell’articolo, la donna si è sentita lesa nella sua reputazione, poiché facilmente identificabile dalla comunità locale come la persona coinvolta nei fatti narrati.

La questione giuridica: L’identificabilità della persona offesa

La difesa dell’imputato, condannato sia in primo grado che in appello, ha basato il proprio ricorso in Cassazione proprio sulla mancata menzione del nome della querelante. Secondo la tesi difensiva, in assenza di un’indicazione nominativa e non essendo il rapporto di convivenza un fatto notorio, la donna non poteva essere considerata il soggetto passivo del reato.

La Corte di Cassazione ha rigettato questa tesi, confermando le decisioni dei giudici di merito. Il punto centrale della questione non è la notorietà del rapporto, ma la concreta riconoscibilità della persona offesa da parte di un numero, anche limitato, di persone.

Le motivazioni: la diffamazione a mezzo stampa e il principio di riconoscibilità

La Corte ha spiegato che, per integrare il reato di diffamazione a mezzo stampa, è sufficiente che la vittima sia individuabile attraverso gli elementi forniti nel testo. Nel caso di specie, l’articolo conteneva diversi dettagli specifici: il nome del compagno della vittima, la sua età, la cittadinanza e, soprattutto, il luogo esatto della presunta perquisizione, un piccolo centro dove le persone si conoscono. Questi elementi, nel loro insieme, hanno permesso ad amici, conoscenti e commercianti del luogo di associare in modo inequivocabile la notizia falsa alla querelante. La Corte Territoriale aveva correttamente evidenziato come diverse persone avessero chiesto conto alla donna del fatto riportato sul quotidiano, a riprova della sua avvenuta identificazione come soggetto coinvolto. Di conseguenza, la notizia falsa del sequestro di cocaina e hashish presso la sua abitazione è stata ritenuta gravemente lesiva della sua reputazione.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di diffamazione: la tutela della reputazione non si ferma alla semplice menzione del nome. Chi scrive, specialmente se per professione, deve prestare la massima attenzione non solo a ciò che dice, ma anche a chi le proprie parole possono indirettamente riferirsi. L’uso di dettagli contestuali che consentono di identificare una persona, anche se non nominata, può essere sufficiente per configurare il reato. La decisione serve da monito sulla responsabilità che accompagna la libertà di espressione, sottolineando che la verificabilità delle fonti e l’accuratezza dei dettagli sono essenziali per evitare di ledere ingiustamente l’onore altrui.

Per configurare il reato di diffamazione è necessario che la persona offesa sia indicata nominativamente?
No, non è necessario. La Corte di Cassazione ha ribadito che il reato di diffamazione sussiste anche se il soggetto la cui reputazione è lesa non è indicato per nome, purché sia ugualmente individuabile da un numero, anche limitato, di persone.

Quali elementi possono rendere una persona riconoscibile in un articolo, anche se non viene nominata?
Secondo la sentenza, elementi come il nome e il cognome del compagno, l’età e la cittadinanza di quest’ultimo, e il luogo specifico di residenza (in questo caso un piccolo centro) sono sufficienti a rendere la persona offesa riconoscibile all’interno della sua comunità sociale.

La notorietà del rapporto tra la vittima e un’altra persona menzionata nell’articolo è un requisito fondamentale per la diffamazione?
No. La Corte ha ritenuto che la riconoscibilità non dipenda dalla notorietà del rapporto in senso assoluto, ma dalla capacità di un gruppo di persone (amici, conoscenti, commercianti del luogo) di collegare la persona non nominata a quella citata nell’articolo, sulla base delle informazioni fornite.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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