Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30515 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30515 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a PALERMO il 11/06/1992
avverso l’ordinanza del 30/01/2025 del TRIB. LIBERTA’ di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME
udito il difensore
FATTO E DIRITTO
1. Con l’ordinanza di cui in epigrafe il tribunale di Palermo, adito ex artt. 322 e 324, c.p.p., confermava il decreto di sequestro probatorio emesso dal pubblico ministero presso il tribunale di Termini Imerese in data 5.12.2024, nei confronti di COGNOME NOME, avente a oggetto “una polo di colore blu scuro con logo bianco sul petto SX e strisce bianche e rosse sulle maniche e sul colletto, della marca RAGIONE_SOCIALE“.
Tale provvedimento era stato adottato nell’ambito del procedimento penale sorto a carico di quest’ultimo e di Pennaforte NOME, per il reato di cui all’art. 624 bis, cod. pen., oggetto dell’imputazione provvisoria all’esito della perquisizione disposta dal pubblico ministero, allo scopo di ricercare e sottoporre a sequestro “cose costituenti reato o ad esso pertinenti, quali i vestiti indossati dagli indagati in data 3.8.2024 e quant’altro relativo ai fatti per cui si procede e comunque utile alla prosecuzione delle indagini”.
Il tribunale del riesame, nel rigettare l’impugnazione cautelare proposta dal COGNOME, riteneva, in via preliminare, non fondata l’eccezione con cui quest’ultimo aveva dedotto la nullità del provvedimento di sequestro per violazione dell’art. 365, cod. proc. pen., derivante, secondo la prospettazione difensiva, dalla circostanza che gli agenti operanti non avevano chiesto all’indagato se fosse assistito da un difensore di fiducia, avvertimento diverso da quello di cui all’art. 144, disp. att., cod. proc. pen., concernente la facoltà di farsi assistere da un legale di fiducia o da altra persona idonea.
Osservava, al riguardo, il giudice dell’impugnazione cautelare che il decreto di perquisizione e sequestro di cui si discute, notificato all’atto della sua esecuzione all’indagato presente, conteneva, oltre alla nomina del difensore d’ufficio, anche l’informazione di garanzia e gli avvertimenti previsti dal codice di rito, compreso quello di cui all’art. 365, cod. proc. pen., della cui omissione la difesa si era doluta, senza tacere, inoltre, che, come affermato ripetutamente dalla giurisprudenza di legittimità, della perquisizione e del sequestro, atti da eseguire a sorpresa, onde garantire la genuinità dei loro risultati, non va data
notizia all’indagato prima che vengano eseguiti e non possono restare sospesi o bloccati in attesa dell’eventuale arrivo del difensore di fiducia o di ufficio designato (cfr. pp. 1-2 del provvedimento impugnato).
Avverso l’ordinanza del tribunale del riesame, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il suddetto COGNOME lamentando, con un unico motivo di ricorso, reiterativo, in definitiva, dell’eccezione rigettata dal tribunale del riesame, violazione di legge.
Ad avviso del ricorrente il provvedimento di perquisizione e sequestro è affetto da nullità, erroneamente non rilevata dal giudice dell’impugnazione cautelare, in quanto, come si evince dai verbali di esecuzione della perquisizione e del relativo sequestro, allegati al ricorso in conformità al principio dell’autosufficienza, gli agenti incaricati dell’esecuzione del provvedimento del pubblico ministero non chiesero all’indagato, presente al compimento della perquisizione e del sequestro, se fosse assistito o meno da un difensore di fiducia, ma procedettero direttamente a nominare un difensore di ufficio, rendendo il COGNOME semplicemente edotto della facoltà di farsi assistere da un legale di fiducia o da altra persona idonea, ai sensi della previsione dell’art. 114, disp. att., cod. proc. pen.
Rileva, inoltre, il ricorrente che, pur recando il provvedimento notificato al D’Aguanno un riferimento all’art. 365 del codice di rito, riportato, tuttavia, solo nella parte in cui viene riconosciuta la facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, senza preventivo avviso, quando il pubblico ministero procede al compimento di atti di perquisizione e sequestro, in esso difettavano le richieste e gli inviti idonei a rendere effettivo e concreto il diritto alla nomina del difensore di fiducia, vale a dire la richiesta alla persona sottoposta a indagini che si presente, se sia assistita da un difensore di fiducia (ex art. 365, co. 1, cod. proc. pen.), nonché l’invito a esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia, nel caso in cui ne sia priva (ex art. 369, cod. proc. pen.).
2.1. Con requisitoria scritta del 12.5.2025, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott.ssa NOME COGNOME chiede che il ricorso venga rigettato.
Il ricorso va dichiarato inammissibile, essendo sorretto da motivi manifestamente infondati.
Preliminarmente va ricordato che, ai sensi dell’art. 365 del codice di rito (intitolato “Atti ai quali il difensore ha diritto di assistere senza avviso”) “Il pubblico ministero, quando procede al
compimento di atti di perquisizione o sequestro, chiede alla persona sottoposta alle indagini, che sia presente, se è assistita da un difensore di fiducia e, qualora ne sia priva, designa un difensore di ufficio a norma dell’articolo 97 comma 3.
Il difensore ha facoltà di assistere al compimento dell’atto, fermo quanto previsto dall’articolo 249.
Si applicano le disposizioni dell’articolo 364 comma 7″.
Tali disposizioni si applicano, giusta la previsione dell’art. 370, co. 2, cod. proc. pen., anche quando la polizia giudiziaria provveda al compimento di atti di perquisizione e sequestro su delega del pubblico ministero, come avvenuto nel caso in esame.
Orbene, come è stato osservato in dottrina, la previsione dell’art. 365, cod. proc. pen., rappresenta uno svolgimento, piuttosto che un’eccezione, dell’art. 364 del medesimo codice, in quanto il primo comma del citato art. 365 enuclea una categoria di atti, perquisizioni e sequestri, del pari garantiti, ma meno intensamente di quelli indicati dai commi primo e terzo dell’art. 364, cod. proc. pen., giacché, mentre questi ultimi fondano un vero e proprio diritto del difensore al previo avviso, quelli di cui si discute, secondo quanto previsto dal secondo comma dell’art. 365, cod. proc. pen., fondano una semplice facoltà del difensore, di fiducia o di ufficio, di “assistere al compimento dell’atto, proprio in ragione della natura di “atto a sorpresa” della perquisizione e del sequestro, la cui fruttuosità potrebbe essere in tutta evidenza facilmente compromessa in caso di previo avviso del loro compimento al difensore.
Proprio in considerazione della natura di “atti a sorpresa” della perquisizione e del sequestro, da tempo la giurisprudenza di legittimità si è attestata sul condivisibile principio, non contestato dal ricorrente, secondo il quale, a norma dell’art. 365 cod. proc. pen., richiamato anche dall’art. 370 stesso codice, il difensore ha la facoltà di assistere al compimento di atti di perquisizione o di sequestro, ma tale diritto non può giustificare la sospensione o l’arresto dell’atto di indagine, in attesa dell’eventuale arrivo del difensore (di fiducia o d’ufficio) per l’occasione nominato: ciò in quanto il difensore ha la facoltà di assistere al compimento dell’atto in funzione di assistenza dell’indagato purché sia prontamente reperibile, cosicché il compimento dell’atto non può restare sospeso o bloccato in attesa del suo eventuale arrivo, ma può egualmente avere corso (cfr. Sez. F, n. 27372 del 25/07/2006, Rv. 235169).
Investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 365, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3 e 24, Cost., “nella parte in cui non prevede che il p.m. durante la perquisizione svolta in assenza dell’indagato, dia avviso delle operazioni al difensore di fiducia o di ufficio, previa nomina di quest’ultimo ove occorra”, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 251 del 1990, ha giudicato tale questione manifestamente infondata, proprio “perché, con riguardo alle perquisizioni locali, nessun avviso al difensore è prescritto dalla legge in ordine al compimento delle operazioni, sia o non presente ad esse la persona sottoposta alle indagini e a prescindere dall’avvenuta nomina di un difensore di fiducia o dall’avvenuta designazione di un difensore di ufficio da parte del pubblico ministero (la stessa rubrica dell’art. 365 parla, chiaramente, di “atti ai quali il difensore ha diritto di assistere senza avviso”), dato che la perquisizione è atto, per sua natura, sempre urgente e riservato, perché ha come presupposto, ai fini della sua efficacia, l’elemento della sorpresa (cfr. sentenza n. 123/74), caratteristica propria anche della fattispecie delineata dal codice di procedura penale del 1988″.
Per espressa previsione normativa, dunque, nel caso in cui la polizia giudiziaria proceda al compimento di atti di perquisizione e sequestro su delega del pubblico ministero, non è posto a suo carico l’obbligo di dare previo avviso dello svolgimento di tali operazioni al difensore di fiducia o di ufficio, che ha solo la facoltà (rectius il diritto) di essere presente al compimento dell’atto, dovendo la polizia giudiziaria solo accertare, nel caso in cui l’indagato sia presente al compimento dell’atto di perquisizione e sequestro, se quest’ultimo sia assistito o meno da un difensore di fiducia e, in caso contrario, procedere alla nomina di un difensore di ufficio, in modo da consentire all’indagato di avvalersi dell’assistenza di un difensore tecnico in sede di esecuzione del provvedimento del pubblico ministero di perquisizione e sequestro, in conformità a quanto previsto dall’art. 365, co. 2, cod. proc. pen., restando a carico dell’indagato la scelta di farsi assistere o meno da un difensore, di fiducia o di ufficio, prontamente reperibile.
Di maggiore intensità appare, invece, la garanzia prevista dall’art. 114, disp att. cod. proc. pen., relativo agli atti compiuti di iniziativa dalla polizia giudiziaria (intitolato “Avvertimento del diritto all’assistenza del difensore “), secondo il cui disposto “Nel procedere al compimento degli atti indicati nell’art. 356 del codice, la polizia giudiziaria avverte la persona sottoposta alle indagini, se presente, che ha facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia”.
Come chiarito, infatti, dalla giurisprudenza di questa Corte il legislatore ha previsto l’avviso ex art. 114 cit. soltanto in relazione agli atti di cui all’art. 356 cod. proc. pen. in considerazione della vocazione probatoria di questi ultimi e della conseguente necessità di controllo della regolarità dell’operato della polizia giudiziaria, sicché, in tema di sequestro probatorio, l’obbligo di dare avviso all’indagato della facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia, ai sensi dell’art. 114 disp. att. cod. proc. pen., sussiste solo in caso di sequestro eseguito su iniziativa della polizia giudiziaria e non anche in caso di sequestro delegato dal pubblico ministero, trattandosi di soggetto inserito nell’ambito dell’ordinamento giudiziario e dotato di ampie garanzie di indipendenza ai sensi dell’art.
107 Cost, avviso, peraltro, che non necessita di formule sacramentali, purché sia idoneo al raggiungimento dello scopo, ovvero quello di avvisare colui che non possiede conoscenze tecnico-processuali del fatto che, tra i propri diritti, vi è la facoltà di nominare un difensore che lo assista durante l’atto (cfr. Sez. 3, n. 10400 del 11/02/2021, Rv. 281565; Sez. 3, n. 40530 del 05/05/2015, Rv. 264827; Sez. 3, n. 23697 del 01/03/2016, Rv. 266825).
Se ciò è vero, come è vero, l’argomentazione difensiva si caratterizza per un’intrinseca contraddizione, in quanto affermare che gli agenti operanti hanno proceduto ad un adempimento non dovuto, nell’informare l’indagato presente della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia (cfr. il verbale di perquisizione dell’11.1.2025), per poi procedere, in assenza di nomina fiduciaria, alla designazione di un difensore di ufficio, indicato dal pubblico ministero procedente nel provvedimento notificato al COGNOME, significa riconoscere, sotto il profilo dei diritti della difesa, che la polizia giudiziaria ha fatto ricorso ad una procedura, quella di cui all’art. 114, disp. att. cod. proc. pen., molto più “garantista” di quella contemplata dall’art. 365 del codice di rito, che non prevede, come si è visto, che l’indagato sia informato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.
In conclusione la mancata richiesta all’indagato presente, da parte degli agenti operanti, se egli fosse o meno assistito da un difensore di fiducia, non inficia minimamente la validità degli atti compiuti dalla polizia giudiziaria, posto che avere informato il COGNOME della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, implicava logicamente sollecitare quest’ultimo a dichiarare se egli avesse o meno nominato un difensore di fiducia.
Del resto nel provvedimento del pubblico ministero, unitamente all’informazione di garanzia, si informava specificamente l’indagato della possibilità di nominare non più di due difensori e, in caso, di mancata nomina, del suo diritto di essere assistito da un difensore di ufficio, come pure del diritto di farsi assistere da un difensore di fiducia, senza avviso,
quando il pubblico ministero procede al compimento di atti di perquisizione e sequestro.
Ma il COGNOME, pur reso edotto di tali diritti, espressamente vi aveva rinunciato prima che iniziassero le operazioni di perquisizione, che hanno
condotto al sequestro degli indumenti in precedenza indicati (cfr. ancora il verbale di perquisizione dell’11.1.2025), sicché nessuna violazione del
diritto di difesa è configurabile nel caso in esame.
5. Alla dichiarazione di inammissibilità, consegue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità
dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di
inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 4.6.2025.