Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29737 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29737 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
SENTENZA
Sui ricorsi presentati da:
Del COGNOME NOME, nata ad Agropoli il DATA_NASCITA;
COGNOME NOME, nata ad Agropoli il DATA_NASCITA,
avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno del 21/11/2023.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr.
NOME COGNOME, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21/11/2023 la Corte di appello di Salerno confermava la sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania del 09/12/2022, che aveva condannato NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione ciascuna per il reato di cui all’articolo d.l. n. 4/2019.
Avverso il provvedimento ricorrono congiuntamente le imputate per il tramite del comune difensore.
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2.1. Con il primo motivo lamentano violazione dell’articolo 7, comma 1, dl. 4/2019 e vizio di motivazione.
I profili di falsità accertati nella sentenza di primo grado concernevano:
l’omessa indicazione di una autovettura Mini Cooper, di proprietà della COGNOME dal 4 ottobre 2017;
l’omessa indicazione di quattro autovetture di cui era proprietario il sig. NOME COGNOME, coniuge della COGNOME e padre della COGNOME;
l’omessa indicazione della quota di proprietà di 3/180 di un immobile, intestata alla COGNOME;
l’omessa indicazione di redditi per 14.752,00 euro, indebitamente percepiti dalla COGNOME nel 2017 quale emolumento pensionistico spettante alla di lei madre, nel frattempo deceduta;
la falsa attestazione che la COGNOME non era occupata, laddove invece la stessa risultava titolare di una ditta individuale.
La Corte di appello ha stigmatizzato l’erronea impostazione della sentenza di primo grado, che aveva ricollegato la punibilità delle dichiarazioni rese dalle agenti alla mera falsità d stesse, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, ma ha rilevato nondimeno che «nel caso di specie se la COGNOME e la COGNOME avessero indicato il reddito percepito e l’attività svolta non avrebbero superato gli stringenti l previsti dall’articolo 2 della normativa citata, così come, del resto, dimostrato anche da avvenuta quasi totale restituzione delle somme percepite, che ha natura sostanzialmente confessoria».
In realtà, La Corte territoriale faceva proprie solo alcune delle doglianze difensiv riconoscendo che le automobili e le quote degli immobili intestate alle imputate e gli alt componenti del nucleo familiare erano prive di valore e quindi irrilevanti ai fini del conseguiment del beneficio.
La sentenza arrivava tuttavia a diverse conclusioni in relazione agli emolumenti pensionistici percepiti dalla COGNOME e alla qualifica di imprenditore rivestita dalla COGNOME.
Quanto alla prima circostanza, la Corte di appello sottolinea la necessità di computare l’irregolare percezione dei ratei pensionistici ai fini della individuazione del reddit richiedente.
In riferimento a tale somma, la Corte d’appello ha omesso di verificare se la sua percezione abbia o meno comportato il superamento dei limiti previsti dall’articolo 2 del d.l. 4/2019, pos che un mero computo aritmetico avrebbe consentito di appurare la sussistenza dei requisiti per il conseguimento del beneficio, in quanto il reddito del nucleo familiare, quantunque maggiorato degli importi contestati, risultava sempre al di sotto dei limiti di legge (euro 9.600), tene conto dei cosiddetti indicatori di equivalenza.
In tal modo la Corte territoriale è incorsa in un evidente difetto di motivazione.
Quanto alla seconda circostanza, la Corte, prendendo nota nella documentazione difensiva che attestava la sostanziale passività dell’impresa della COGNOME, sfrattata per morosità da
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locali dell’attività commerciale, abbia inferito in modo incongruo che la ricorrente, come molt titolari di attività commerciali, potrebbe aver deciso di non pagare il canone di locazione e operare “in nero”, come sarebbe attestato dalla documentazione contabile, da cui risultano acquisti per 22.000 C ma nessuna vendita, circostanza quest’ultima asseritamente inverosimile.
A tal proposito, evidenziagicorrentìcome ai fini del riconoscimento del diritto a percepir il reddito di cittadinanza rileva esclusivamente il reddito percepitgil patrimonio disponibile titolarità di alcuni beni, e non certo la mera qualifica soggettiva posseduta (nel caso di speci quella di imprenditore).
Né, d’altro canto, la sentenza impugnata formula alcuna ipotesi in ordine alla produzione da parte della ricorrente di redditi superiori alla soglia di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di NOME COGNOME è infondato.
L’articolo 2, comma 1, lettera b), n. 4), del d.l. 4/2019, stabilisce che tra i requisiti di ac alla misura occorre che, con riferimento a requisiti reddituali e patrimoniali, il nucleo famil debba possedere «un valore del reddito familiare inferiore ad una soglia di euro 6.000 annui moltiplicata per il corrispondente parametro della scala di equivalenza di cui al comma 4. La predetta soglia è incrementata ad euro 7.560 ai fini dell’accesso alla pensione di cittadinanza. In ogni caso la soglia è incrementata ad euro 9.360 nei casi in cui il nucleo familiare risieda abitazione in locazione, come da dichiarazione sostitutiva unica (DSU) ai fini ISEE».
Nel caso di specie, le ricorrenti non hanno dedotta la sussistenza dei presupposti per operare l’incremento, per cui il parametro reddituale di riferimento è costituito da seimila euro annui.
Ai sensi del comma 4 della norma in esame, poi, il parametro della «scala di equivalenza», di cui al comma 1, lettera b), numero 4), è pari a 1 per il primo componente del nucleo familiare ed è incrementato di 0,4 per ogni ulteriore componente di minore età, fino ad un massimo di 2,1, ovvero fino ad un massimo di 2,2 nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti componenti in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza, come definite ai fini dell’ISEE (circostanze non dedotte dalle ricorrenti).
Pertanto, il massimo incremento possibile sarebbe stato 6.000 euro moltiplicato per 2.1 (non avendo le ricorrenti dedotto la presenza di persone in condizioni di disabilità o non autosufficienza nel nucleo familiare), pari a 12.600 euro, cifra inferiore a quella (indebitamente) percepita dal COGNOME a titolo di pensione della defunta madre, con conseguente superamento della soglia di penale rilevanza.
Trattandosi di mera operazione aritmetica, peraltro di semplice computo, il Collegio non ritiene che la Corte territoriale sia incorsa in un difetto di motivazione: ed infatti, laddo fatto espresso riferimento agli «stringenti limiti» della norma in esame e alla natur
«sostanzialmente confessoria» delle restituzioni operate dalle due imputate, non vi è dubbio che abbia implicitamente respinto la doglianza difensiva.
Il ricorso è pertanto infondato.
2. Il ricorso di NOME COGNOME è del pari infondato.
Come evidenziato dal Procuratore generale, ai cespiti non dichiarati dalla COGNOME si aggiungerebbero, secondo la prospettazione accusatoria condivisa dai giudici del merito, i redditi dell’impresa commerciale intestata a COGNOME NOME, che si dichiarava falsamente inoccupata.
Il Collegio evidenzia come, effettivamente, per un verso, di tale reddito non è fornita alcuna quantificazione, essendosi la Corte territoriale limitata ad evidenziare l’ammontare degli acquist effettuati nell’anno 2017 (22.000 euro) e del canone di locazione annuo (euro 7.200) pattuito per il locale di Agropoli, INDIRIZZO, e, per l’altro, ad asserire l’inverosimiglianza tesi dell’improduttività dell’impresa in parola, confutando l’allegazione difensiva dello sfratto morosità della bel giudice con la discutibile massima di esperienza per la quale «la quotidiana esperienza insegna di negozi i cui titolari, pur conseguendo lauti guadagni, non pagano il canone di locazione».
Tuttavia, tale lacuna motivazionale supera la prova di resistenza, in quanto anche la COGNOME ha inoltrato la domanda di accesso al RDC utilizzando la (mendace) dichiarazione ISEE della madre COGNOME, come emerge con evidenza dalla stessa contestazione, la quale testualmente precisa che il fatto è stato commesso «avvalendosi della “Dichiarazione Sostitutiva Unica per il calcolo dell’ISEE modello Mini” del 23/02/2019 a nome della madre COGNOME NOME».
L’infondatezza dei motivi determina il rigetto dei ricorsi, cui consegue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 04/06/2024.