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Dichiarazione mendace RdC: la condanna è inevitabile

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per due donne, madre e figlia, per il reato di dichiarazione mendace finalizzata all’ottenimento del reddito di cittadinanza. Avevano omesso di dichiarare redditi da pensione, beni immobili e mobili, e la titolarità di un’impresa individuale. La Corte ha ritenuto le omissioni determinanti, in particolare il reddito da pensione non dichiarato che, da solo, superava la soglia massima di legge per l’accesso al beneficio, rendendo così la condanna inevitabile per entrambe.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Reddito di Cittadinanza e Dichiarazione Mendace: La Cassazione non perdona le omissioni

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito la severità della legge nei confronti di chi presenta una dichiarazione mendace per ottenere il reddito di cittadinanza. Il caso in esame ha visto la conferma della condanna per due donne, madre e figlia, che avevano volontariamente omesso informazioni cruciali sulla loro situazione economica e patrimoniale. Questa decisione sottolinea un principio fondamentale: la completezza e la veridicità delle informazioni fornite sono requisiti non negoziabili per l’accesso ai benefici statali.

I Fatti del Caso: Omissioni Determinanti per il Beneficio

Il procedimento penale è scaturito da una serie di omissioni nella Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU) presentata per richiedere il Reddito di Cittadinanza. Le imputate non avevano dichiarato:

* Diversi veicoli, tra cui un’auto di un certo pregio.
* Una quota di proprietà di un immobile.
* Un importo di quasi 15.000 euro percepito a titolo di ratei pensionistici arretrati spettanti a un familiare defunto.
* La titolarità, da parte della figlia, di un’impresa individuale, avendo lei dichiarato falsamente di essere disoccupata.

Le corti di merito avevano già ritenuto queste omissioni sufficienti per integrare il reato, condannando le due donne a una pena di 2 anni e 4 mesi di reclusione ciascuna.

L’Appello e le Argomentazioni Difensive

Nel ricorrere in Cassazione, la difesa ha sostenuto che alcuni dei beni omessi, come le autovetture e la piccola quota immobiliare, fossero di valore trascurabile e quindi irrilevanti per l’ottenimento del beneficio. Inoltre, si contestava che la Corte d’Appello non avesse verificato se, anche includendo i redditi non dichiarati, il nucleo familiare avrebbe effettivamente superato la soglia di reddito prevista dalla legge. Per quanto riguarda l’impresa della figlia, si sosteneva che fosse sostanzialmente inattiva e non produttiva di reddito.

La Decisione della Cassazione: Analisi sul reato di dichiarazione mendace reddito di cittadinanza

La Suprema Corte ha rigettato entrambi i ricorsi, considerandoli infondati. La decisione si articola su due punti principali, uno per ciascuna ricorrente, che meritano un’analisi approfondita.

Il Ricorso della Madre: Un Semplice Calcolo Matematico

Per la posizione della madre, la Corte ha effettuato un ragionamento puramente aritmetico. Ha evidenziato che il solo importo della pensione non dichiarata (circa 14.752 euro) era di per sé superiore alla soglia di reddito massima consentita per quel nucleo familiare per accedere al beneficio (pari a 12.600 euro annui, calcolata secondo i parametri della scala di equivalenza). Di conseguenza, l’omissione non era una mera irregolarità, ma un elemento determinante che ha permesso di percepire indebitamente il sussidio. La falsità della dichiarazione era quindi penalmente rilevante in modo palese, rendendo superflua ogni altra valutazione sugli altri beni omessi.

Il Ricorso della Figlia e la “Prova di Resistenza”

Per la figlia, la Corte ha riconosciuto una parziale carenza nella motivazione della sentenza d’appello, la quale non aveva quantificato il reddito effettivo derivante dalla sua attività imprenditoriale. Tuttavia, questo difetto è stato superato applicando il principio della “prova di resistenza”. La Corte ha osservato che anche la figlia aveva presentato la domanda per il reddito di cittadinanza utilizzando la stessa DSU mendace compilata dalla madre. Poiché quella dichiarazione era già intrinsecamente falsa per via dell’omissione del reddito da pensione, la condotta della figlia risultava comunque penalmente illecita, a prescindere dal reddito della sua impresa. In pratica, l’aver utilizzato un documento consapevolmente falso per ottenere il beneficio è stato sufficiente a fondare la sua responsabilità penale.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sulla base della natura del reato previsto dall’articolo 7 del d.l. n. 4/2019. Il reato si configura con la semplice presentazione di una dichiarazione che contiene informazioni false o omette dati rilevanti, a condizione che tale falsità sia determinante per l’ottenimento del beneficio. Nel caso di specie, la materialità e la rilevanza delle omissioni erano indiscutibili. Il superamento della soglia di reddito a causa della sola pensione non dichiarata ha reso la condotta delle imputate palesemente illecita. La restituzione delle somme percepite, sebbene avvenuta, è stata interpretata dalla Corte non come un’attenuante, ma come un’ammissione di colpa, una “natura sostanzialmente confessoria”.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un monito chiaro sull’obbligo di diligenza e trasparenza nella richiesta di sussidi pubblici. Le conclusioni che possiamo trarre sono nette:
1. Nessuna Omissione è Trascurabile: Ogni elemento reddituale e patrimoniale deve essere dichiarato. La valutazione sulla rilevanza spetta all’ente erogatore, non al cittadino.
2. La Rilevanza è Matematica: Se l’omissione di un singolo reddito è sufficiente a superare le soglie di legge, il reato sussiste in modo inequivocabile.
3. Responsabilità Condivisa: L’utilizzo di una dichiarazione falsa rende responsabili tutti i componenti del nucleo familiare che se ne avvalgono per richiedere il beneficio.
Questo pronunciamento rafforza il principio secondo cui l’accesso ai benefici sociali è subordinato a un patto di fiducia con lo Stato, la cui violazione comporta conseguenze penali severe.

Omettere beni di scarso valore nella domanda per il reddito di cittadinanza è reato?
La sentenza chiarisce che, sebbene alcuni beni possano essere di valore irrilevante, la valutazione si basa sulla totalità dei redditi e del patrimonio. Se altre omissioni, come redditi non dichiarati, sono sufficienti a superare le soglie di legge, il reato di dichiarazione mendace sussiste a prescindere dai beni di minor valore.

Se un reddito non dichiarato, una volta sommato agli altri, non fa superare la soglia di legge, si commette comunque il reato di dichiarazione mendace reddito di cittadinanza?
La sentenza si concentra su un caso in cui il reddito omesso era palesemente superiore alla soglia. Implicitamente, però, conferma che la rilevanza penale della falsità è legata alla sua idoneità a far ottenere indebitamente il beneficio. Se l’omissione non avesse alterato il diritto al beneficio, la situazione sarebbe stata diversa, ma in questo specifico caso l’omissione era assolutamente determinante.

Se più persone di un nucleo familiare usano la stessa dichiarazione ISEE falsa per richiedere un beneficio, sono tutte responsabili?
Sì. La Corte ha confermato la condanna anche della seconda ricorrente proprio perché ha utilizzato la medesima dichiarazione ISEE mendace presentata dalla madre per inoltrare la propria domanda, rendendola pienamente responsabile della falsità dichiarata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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