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Dichiarazione infedele: soglia di punibilità di 3M€

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per il reato di dichiarazione infedele, contestata a un amministratore per aver indicato elementi passivi fittizi per oltre 2,8 milioni di euro. Il motivo dell’annullamento risiede nell’errata applicazione della soglia di punibilità. La Corte d’Appello aveva applicato la soglia di due milioni di euro, introdotta da una legge successiva, mentre al momento dei fatti (dichiarazione del 2016 per l’anno 2015) la soglia era di tre milioni di euro. Poiché l’importo contestato era inferiore alla soglia vigente all’epoca, il fatto potrebbe non costituire reato. La Cassazione ha rinviato il caso alla Corte d’Appello per una nuova valutazione basata sulla normativa corretta.

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Pubblicato il 10 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Dichiarazione Infedele: la Soglia di Punibilità è quella Vigente al Momento del Reato

Con la sentenza n. 42823/2024, la Corte di Cassazione riafferma un principio fondamentale in materia di diritto penale tributario: per valutare la punibilità del reato di dichiarazione infedele, si deve fare riferimento alla soglia di punibilità in vigore al momento della commissione del fatto, e non a quella modificata da leggi successive. Questa decisione ha portato all’annullamento con rinvio di una condanna, sottolineando l’importanza del principio del tempus regit actum.

I Fatti del Processo

Il caso riguarda l’amministratore e liquidatore di una società, inizialmente accusato del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 d.lgs. 74/2000). L’accusa si basava sull’indicazione nel Modello IVA relativo al 2015 di fatture passive fittizie per un imponibile di oltre 2,8 milioni di euro.

In primo grado, il Tribunale aveva condannato l’imputato per tale reato. Tuttavia, la Corte d’Appello ha parzialmente riformato la sentenza. I giudici di secondo grado hanno ritenuto non provata la prima fase del reato previsto dall’art. 2 (la registrazione delle fatture nelle scritture contabili), assolvendo l’imputato da questa accusa. Contestualmente, hanno però riqualificato il fatto nel reato meno grave di dichiarazione infedele (art. 4 d.lgs. 74/2000), confermando una condanna basata su questa nuova fattispecie.

I Motivi del Ricorso e la Soglia di Punibilità per la Dichiarazione Infedele

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi. Il punto cruciale, accolto dalla Suprema Corte, riguardava l’erronea applicazione della soglia di punibilità per il reato di dichiarazione infedele.

La difesa ha evidenziato che la Corte d’Appello aveva ritenuto superata la soglia di punibilità facendo riferimento alla normativa attuale, che la fissa a due milioni di euro per gli elementi passivi fittizi. Tuttavia, i fatti contestati risalgono al 2015 (con dichiarazione presentata nel 2016). All’epoca, la legge prevedeva una soglia di punibilità ben più alta: tre milioni di euro.

L’importo degli elementi passivi fittizi contestati, pari a 2.830.918,00 euro, era quindi superiore alla soglia attuale ma inferiore a quella vigente al momento della commissione del reato. Di conseguenza, secondo la difesa, il fatto non avrebbe dovuto essere considerato penalmente rilevante.

La questione della riqualificazione del reato

Tra gli altri motivi, la difesa contestava anche la legittimità della riqualificazione del reato da parte della Corte d’Appello. La Cassazione ha respinto questa doglianza, chiarendo che la riqualificazione in un reato meno grave, il cui nucleo essenziale è contenuto nell’accusa originaria, non viola il diritto di difesa dell’imputato, il quale ha modo di contestare la nuova qualificazione nei successivi gradi di giudizio.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo relativo all’errata individuazione della soglia di punibilità. Gli Ermellini hanno ribadito che, in applicazione del principio di legalità e di successione delle leggi penali nel tempo, la norma da applicare è quella in vigore al momento in cui il reato è stato commesso.

La legge che ha abbassato la soglia da tre a due milioni di euro (D.L. n. 124/2019) è entrata in vigore solo nel 2019, anni dopo i fatti contestati. Pertanto, la Corte d’Appello ha commesso un errore di diritto nel giudicare la condotta sulla base di una norma successiva e più sfavorevole all’imputato.

La Corte ha specificato che spetta al giudice di merito (in questo caso, la Corte d’Appello in sede di rinvio) verificare concretamente se gli elementi passivi indicati superino la soglia di tre milioni di euro, come richiesto dalla legge applicabile all’epoca dei fatti. Questo accertamento è un’indagine di fatto preclusa alla Corte di Cassazione.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello di Brescia. Il nuovo giudice dovrà riesaminare il caso applicando la corretta soglia di punibilità di tre milioni di euro. Se, come sembra dai dati in atti, tale soglia non risulterà superata, l’imputato dovrà essere assolto perché il fatto non costituisce reato. La decisione si estende anche alla questione della sospensione condizionale della pena, la cui valutazione dipende dall’esito del giudizio sulla responsabilità penale.

Quando un reato tributario come la dichiarazione infedele diventa punibile?
Diventa punibile solo quando l’ammontare degli elementi attivi sottratti all’imposizione o degli elementi passivi fittizi indicati supera specifiche soglie quantitative (es. un determinato valore assoluto o una percentuale del totale) stabilite dalla legge.

Quale soglia di punibilità si applica se la legge cambia dopo la commissione del reato?
Si applica la soglia di punibilità prevista dalla legge in vigore al momento della commissione del reato. Se una legge successiva introduce una soglia più bassa (quindi più sfavorevole per l’imputato), questa non può essere applicata retroattivamente.

È possibile per un giudice modificare l’accusa iniziale in un reato diverso durante il processo?
Sì, il giudice può riqualificare il fatto in un reato diverso e meno grave rispetto a quello originariamente contestato, a condizione che il nucleo essenziale del fatto rimanga invariato e che l’imputato abbia la possibilità di difendersi rispetto alla nuova qualificazione giuridica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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