Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 42823 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 42823 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME Svizzera il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/01/2024 della Corte Appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza,
in accoglimento del secondo motivo di ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza pronunciata il 30 gennaio 2024 la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della pronuncia emessa il 10 luglio 2023 dal Tribunale di Bergamo, ha ritenuto NOME COGNOME, nella sua qualità di amministratore unico, prima, e di liquidatore, poi, della società RAGIONE_SOCIALE, responsabile del delitto previsto dall’art. 4 d.lgs n. 74 del 2000, così riqualificato il fatto di cui al 2 d.lgs. n. 74 del 2000 (per aver indicato nel Modello IVA relativo al periodo di imposta 2015 fatture per operazioni inesistenti emesse dalla RAGIONE_SOCIALE per un imponibile di euro 2.830.918,00 ed IVA per euro 622.723,00) inizialmente contestato e ritenuto dal giudice di primo grado, e, ferma restando la continuazione esterna, già riconosciuta in primo grado, con il reato giudicato al
capo 2) della sentenza della Corte di appello di Brescia n. 2575 del 19 ottobre 2021, ritenuto più grave quest’ultimo, ha ridetermiNOME la pena in aumento in mesi sei di reclusione, in luogo di quella di anni uno di reclusione determinata in primo grado, così pervenendo alla condanna del ricorrente alla pena finale complessiva di anni due di reclusione (in parziale riforma di quella di anni due, mesi sei di reclusione, irrogata dal giudice di primo grado) in essa assorbita la pena di anni uno e mesi sei di reclusione inflitta con la menzionata sentenza n. 2575/2021, oltre al pagamento delle spese processuali, alle pene accessorie, riducendone la durata in anni due ed oltre alla trasmissione alla Procura della Repubblica di Bergamo del verbale di accertamento ai fini delle determinazioni di sua competenza; confermava nel resto la pronuncia di prima grado che aveva revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena riconosciuta con la sentenza ritenuta in continuazione ed aveva disposto la confisca del profitto del reato per un ammontare di euro 1.401.304,00 in via diretta nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE e, in caso di impossibilità di reperire la somma, per equivalente nei confronti dello COGNOME.
Avverso l’indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, affidandosi a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, la parte deduce la violazione di legge e la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione al mutamento del titolo di reato, per essere stato ritenuto in sentenza un fatto diverso da quello contestato,
Si premette cha la Corte di appello ha assolto l’imputato dal reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, ritenendo la natura bifasica del menzioNOME delitto e non raggiunta la prova del compimento di entrambe le fasi, salvo poi, contestualmente, condannarlo per il diverso delitto di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 che, al tempo dei fatti, prevedeva una clausola di esclusione espressa («Fuori dai casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito…»), che si ritiene rendesse incompatibile la qualificazione della condotta imputata con quella prevista dall’art. 4 d.lgs. cit. Né, si aggiunge, la parte avrebbe potuto difendersi in relazione all’ipotesi di reato per la quale è stata condannata sol perché, come affermato dalla Corte di appello, nel capo di imputazione vi era il richiamo al processo verbale di contestazione e all’avviso di accertamento (quest’ultimo non conosciuto dalla parte, perché ritorNOME al mittente per compiuta giacenza).
Si conclude quindi per la illegittimità della riqualificazione del fatto, in quanto assunta in violazione del diritto di difesa.
2.2 Con il secondo motivo, deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale per essere il fatto non punibile per non aver superato i limiti di fatturato individuati dalla normativa vigente all’epoca dei fatti.
A seguito della riqualificazione del fatto, la Corte territoriale ha ritenuto l sussistenza di elementi passivi inesistenti per un importo corrispondente a quello descritto al rigo VE23 pari ad euro 2.830.918,00, e dunque superiore alla soglia minima di punibilità (pari a 2.000.000,00 di euro) prevista tuttavia dalla nuova disposizione di cui all’art. 4 d.lgs cit., non anche da quella vigente all’epoca dei fatti (che risalgono al 2015 e sono esposti nella dichiarazione del 2016), in base alla quale la soglia minima era di tre milioni di euro. Si evidenzia che l’abbattimento della soglia di punibilità da tre a due milioni di euro è stata prevista dal d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, entrato in vigore il 27/10/2019 e convertito con modificazioni dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157.
Nel caso di specie la soglia minima di punibilità non era raggiunta, in quanto all’epoca essa era di tre milioni di euro, e dunque, in caso di mancato accoglimento del primo motivo di doglianza, la decisione andrebbe annullata in ragione del secondo motivo di doglianza.
2.3 Con il terzo motivo, si lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per mancanza di una dichiarazione infedele.
Si evidenzia che la dichiarazione infedele si ha quando il contribuente inserisce elementi passivi fittizi ovvero occulta elementi attivi. Nel caso di specie la Corte di appello dichiara sia gli elementi attivi che quelli passivi, ricadenti negli articoli 2 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, ma non già l’ipotesi residuale di cui all’art. 4 d.lgs. n 74 del 2000, che riguarda una realtà alterata, ma comunque esistente.
2.4 Con il quarto ed ultimo motivo ci si duole dell’inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui la sentenza accerta ma non dispone la sospensione della pena.
Si premette che la sentenza del Tribunale di Bergamo ha revocato la sospensione condizionale della pena in quanto, con la condanna inflitta, la pena complessiva superava la soglia minima dei due anni. La Corte di appello ha invece determiNOME la pena complessiva in anni due, che avrebbe dovuto essere (rectius, continuare ad essere) condizionalmente sospesa.
Con requisitoria scritta il Sost. AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza impugnata in accoglimento del secondo motivo di doglianza
CONSIDERATO IN DIRITTO
ZA.120 1. Il primo ed il cuArto motivo di ricorso, che vanno trattati congiuntamente riguardando la riqualificazione del fatto per cui era intervenuta condanna in primo
grado nel delitto di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, e la sussistenza degli elementi costitutivi dello stesso, sono inammissibili.
1.1. La parte ricorrente deduce vizio di violazione di legge e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione al mutamento del titolo di reato e alla sussistenza di una dichiarazione infedele, per essere stato ritenuto dalla Corte di appello un fatto diverso da quello contestato e per il quale l’imputato era stato dichiarato responsabile in primo grado, assumendo che la Corte territoriale ha assolto dal reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 ed ha pronunciato condanna per il diverso delitto di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 che, al tempo dei fatti, prevedeva una clausola di esclusione espressa («Fuori dai casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito…»). La clausola di esclusione espressa, a dire della difesa, rendeva incompatibile la qualificazione della condotta imputata con quella prevista dall’art. 4 d.lgs. cit., che nel caso in esame – come dedotto nel terzo motivo di ricorso – deve comunque ritenersi insussistente, proprio per la mancanza di una dichiarazione infedele, posto che quest’ultima si ha quando il contribuente inserisce elementi passivi fittizi ovvero occulta elementi attivi, mentre nella fattispecie in esame la Corte di appello ha considerato sia gli elementi attivi che quelli passivi, ricadenti negli articoli 2 e 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, m non già l’ipotesi residuale di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, che riguarda una realtà alterata, ma comunque esistente.
1.2 Le doglianze difensive in punto di riqualificazione del fatto di reato e di sussistenza degli elementi costitutivi del reato di dichiarazione infedele sono manifestamente infondati.
1.3 Nessuna censura può essere mossa ai giudici di appello in punto di riqualificazione del fatto contestato, in un altro delitto, per altro meno grave di quello per il quale era intervenuta condanna in primo grado, avendo gli stessi fatto corretta applicazione dei principi espressi dalla giurisprudenza in materia: lungi dall’aver assolto l’imputato dal reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 – come sostenuto dalla difesa – la Corte di appello ha riqualificato la condotta nel diverso delitto di cui all’art. 4 d.ls. cit., valorizzando gli elementi di prova acquisit processo e fondando la decisione sugli stessi, così pervenendo, correttamente, ad una pronuncia di condanna per un unico reato, nel quale è stata sussunta la condotta contestata, meno grave di quello inizialmente contestato.
1.4 Sotto questo profilo, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi espressi da questa Corte in tema di riqualificazione del fatto, dovendo considerarsi applicabile anche alla Corte di appello il principio, espresso per il giudice di primo grado, secondo cui l’osservanza del diritto al contraddittorio in ordine alla natura e alla qualificazione giuridica dei fatti di cui l’imputato è chiamato a rispondere, sancito dall’art. 111, comma terzo, Cost. e dall’art. 6 CEDU, comma
primo e terzo, lett. a) e b), così come interpretato nella sentenza della Corte EDU nel proc. Drassich c. Italia, è assicurata anche quando il giudice di primo grado provveda alla riqualificazione dei fatti direttamente in sentenza, senza preventiva interlocuzione sul punto, in quanto l’imputato può comunque pienamente esercitare il diritto di difesa proponendo impugnazione (Sez. 4, n. 49175 del 13/11/2019, D, Rv. 277948-01), nel caso di specie innanzi alla Corte di cassazione.
Pur se riferito ad una fattispecie differente, è infatti altrettanto pacifico che non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza la decisione con cui l’imputato, rinviato a giudizio per partecipazione ad associazione mafiosa, sia condanNOME per concorso esterno alla stessa associazione, trattandosi non di due diverse ipotesi delittuose, ma di distinte modalità della partecipazione criminosa, purché il fatto materiale per cui vi è stata condanna risulti sufficientemente descritto nell’imputazione. Neppure può ipotizzarsi una violazione del contraddittorio e del correlato diritto dell’imputato ad un equo processo, dal momento che l’imputato è stato messo in condizione di interloquire pienamente sulla riqualificazione giuridica operata dal tribunale, dapprima con l’atto di appello e, in seguito, con il ricorso per cassazione (Sez. 6, n. 49820 del 05/12/2013, Bilizzi, Rv. 258138-01).
Per altro, come già detto, nel caso di specie viene in rilievo la riqualificazione del fatto in una fattispecie di reato meno grave, ipotesi, questa, in cui non sussiste alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e difesa, quando – come nel caso di specie – il nucleo essenziale del fatto contestato non ha subito alcun significativo mutamento e la possibilità di una diversa qualificazione giuridica era nota o, comunque, prevedibile per l’imputato e non ha determiNOME in concreto alcuna lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novità che da tal modifica scaturiscono (in questo senso, il principio di diritto enucleabile da Sez. 3, n. 25922 del 17/06/2020, Turano, Rv. 280078-01 e da Sez. 3, n. 18146 del 10/03/2021, A, Rv. 281608-01).
1.5 Quanto, nello specifico, alla ritenuta sussistenza del delitto di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 e alla clausola di esclusione espressa contenuta nella citata disposizione, questa Corte ha già avuto modo di affermare, in materia di reati tributari, che il carattere residuale del reato di dichiarazione infedele, di cui all’art 4 d.lgs n. 74 del 2000, ne esclude il concorso con il delitto di frode fiscale, previsto dall’art. 2 del citato d.lgs., quando la condotta materiale abbia ad oggetto la medesima dichiarazione (Sez. 3, n. 28226 del 09/02/2016, Disparra, Rv. 26740901), mentre non opera nel caso in cui siano contestate condotte diverse, una per le omissioni di elementi attivi del reddito e l’altra per elementi passivi inesistenti. (Sez. 3, n. 41260 del 17/01/2018, S., Rv. 274068-01).
1.5 Nel caso di specie, la Corte di appello non ha ritenuto il concorso tra reati, ma ha riqualificato il fatto di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 nella diver condotta di dichiarazione infedele, con motivazione logica ed adeguata, fondata su elementi obiettivi, avendo la Corte correttamente considerato che l’importo indicato come elemento passivo fittizio corrispondeva all’importo complessivo delle 174 fatture emesse nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, amministrata dall’imputato, dalla ditta RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME – risultata essere inconsistente, non avendo alcuna capacità e struttura imprenditoriale, ed avendo quindi natura totalmente fittizia – ed utilizzate dall’imputato, in tale qualità, nell dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta del 2015, e che tali fatture risultavano non essere state conservate ai fini di prova, come emerge dalla circostanza che lo COGNOME (unitamente al legale rappresentante della ditta D.M: RAGIONE_SOCIALE) è stato condanNOME, in via definitiva, per il reato di distruzione della contabilità e delle fatture di cui si discute.
Nessuna censura può essere mossa alla Corte di appello che, tenuto conto della circostanza che le fatture non erano state acquisite presso l’emittente apparente DM RAGIONE_SOCIALE, che le aveva inserite nella propria dichiarazione dei redditi, né erano state prodotte dall’imputato, ha escluso la sussistenza del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, per la mancanza della «prima parte della condotta – bifasica – necessaria per la sua integrazione, ossia la registrazione delle fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti nelle scritture contabili o la loro detenzione a fini di prova» ed ha ritenuto, per converso, sussistente la condotta di dichiarazione infedele, così applicando, correttamente, i principi di diritto espressi da questa Corte, posto che il delitto di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, se, a determinate condizioni, non può concorrere con il delitto di frode fiscale, è comunque integrato, sussistendo i duplici presupposti di cui alle lettere a) e b) dalla disposizione normativa, anche dalla indicazione nella dichiarazione dei redditi e sul valore aggiunto di elementi passivi.
2. Fondato è il secondo motivo di ricorso
2.1. Rileva il difensore dell’imputato che in base alla normativa applicabile in relazione al delitto di dichiarazione infedele riguardante redditi del 2015, dichiarati nel 2016, non può ritenersi raggiunta la soglia minima di punibilità dell’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione che, all’epoca dei fatti, non era di tre milioni di euro, ma di due milioni di euro.
2.2. Il rilievo è fondato.
La normativa applicabile ai fatti per i quali è stata pronunciata sentenza di condanna è quella antecedente alla riforma introdotta dal d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, entrato in vigore il 27/10/2019, e convertito con modificazioni dalla legge 19
dicembre 2019, n. 157, il cui art. 39, comma 1, lett. f), come dedotto dalla difesa, ha innalzato la soglia minima di punibilità da due a tre milioni di euro.
La Corte di appello, a seguito della riqualificazione del fatto ha affermato la sussistenza di elementi passivi inesistenti per un importo corrispondente a quello descritto al rigo VE23, pari ad euro 2.830.918,00, e ha pertanto ritenuto integrato il reato di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, in ragione del superamento della soglia minima prevista alla lettera b) della menzionata disposizione, omettendo tuttavia di considerare che i fatti contestati risultano essere stati commessi nel 2016, quando la soglia minima di punibilità non era due milioni di euro ma appunto tre milioni di euro.
2.3 Si impone pertanto l’annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia perché verifichi, con un accertamento in fatto che non compete a questa Corte ma al giudice di merito, se gli elementi passivi individuati integrino il reato di dichiarazione infedele e se sia stata superata o no la soglia minima di tre milioni di euro richiesta all’epoca dei fatti dal disposto di cui all’ar 4 d.lgs. n. 74 del 2000, nella formulazione antecedente alla modifica introdotta con il d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito con modificazioni dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157, che prevedeva che l’imposta evasa dovesse essere superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro “centocinquantamila” (così l’art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. cit ante riforma) e che l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, dovesse essere superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, superiore ad “euro tre milioni” (così l’art 4, comma 1, lett. b), d.lgs. cit. ante riforma).
3 Il disposto annullamento con rinvio per le ragioni appena esplicitate si riverbera anche sulla sospensione condizionale della pena, oggetto dell’ultimo motivo di ricorso, con il quale la parte ha chiesto a questa Corte di annullare la sentenza impugnata in punto di omessa (rectius: mantenimento della) concessione della sospensione condizionale della pena, posto che con la sentenza del Tribunale di Bergamo era stata disposta la revoca della sospensione condizionale della pena in quanto, con la condanna inflitta, la pena complessiva superava la soglia minima dei due anni, mentre la Corte di appello ha determiNOME la pena complessiva in anni due, che avrebbe dovuto essere (rectíus, continuare ad essere) condizionalmente sospesa.
Il rilievo è fondato: ove la Corte di appello, in sede rescissoria, attenendosi ai principi di diritto sopra espressi al § 2.3, concluda per la penale responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 (nel formulazione vigente all’epoca dei fatti), si impone anche una riponderazione del
trattamento sanzioNOMErio conseguente (essendo il delitto in questione sanzionat all’epoca in termini meno gravosi rispetto a quelli attuali), che si ripercuote a sulla valutazione in ordine alla sospensione condizionale della pena, alla sua revo o alla sua concessione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con riferimento al punto concernente il superamento della soglia di punibilità e al punto concernente la sospension condizionale della pena, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Cor di appello di Brescia.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 14/10/2024